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Domenico34 – Il cammino di un popolo – Dall’Egitto alla terra di Canaan. Sommario, Prefazione ed Introduzione. Capitoli 1-14

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2012 00:30
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07/02/2012 00:16

Il SIGNORE disse a Mosè: «Scrivi questo fatto in un libro, perché se ne conservi il ricordo, e fa’ sapere a Giosuè che io cancellerò interamente sotto il cielo la memoria di Amalec.
Allora Mosè costruì un altare, che chiamò: «Il SIGNORE è la mia bandiera»; e disse:
Una mano s’è alzata contro il trono del SIGNORE, perciò il SIGNORE farà guerra ad Amalec di generazione in generazione» (Esodo 17:8-16).

Chi erano gli Amalechiti e Amalec il loro capostipite? Troviamo la risposta in Genesi 36:12:

Timna era la concubina di Elifaz, figlio di Esaù; ella partorì Amalec a Elifaz. Questi furono i figli di Ada, moglie di Esaù.

Il nome di Esaù evoca un passato torbido, pieno di odi, rancori e sentimenti ostili che egli manifestò nei confronti del fratello Giacobbe.
Sappiamo che Esaù, per venti anni, alimentò nel proprio cuore un odio crudele e la determinazione di vendicarsi. Una simile attitudine non è generale.

Col trascorrere degli anni spesso i rancori e gli odi, generati da torti subiti (veri o presunti), si affievoliscono e si allontanano dal cuore e dalla mente umana.

Non fu così per Esaù, perché, a distanza di vent’anni, voleva ancora vendicarsi di suo fratello Giacobbe e se questo non si verificò fu solo perché Dio, nella Sua misericordia, intervenne ed evitò lo spargimento di sangue.

Esaù quindi rappresenta l’odio spietato e l’insincerità che, nascondendosi sotto il manto dell’ipocrisia, cerca di far del male al prossimo.

La tattica di Amalec, quella di attaccare la retroguardia del popolo d’Israele prendendo di mira soprattutto i deboli e approfittandosi della loro stanchezza, denota una marcata dose di cattiveria, proprio come quella del loro capostipite Esaù.

La vittoria sugli Amalechiti fu la prima che Israele conseguì sopra i nemici, nella prima battaglia dopo l’uscita dal paese d’Egitto. Non è un particolare privo di significato il fatto che Amalec venne a combattere contro Israele a Refidim.

Sicuramente la ragione fu l’abbondanza di acqua potabile, che l’Eterno stesso aveva provveduto in questa località. Difatti questa fu la causa frequente di molte contese fra i popoli antichi.

Se Amalec non si fosse alzato contro Israele e non l’avesse aggredito, probabilmente non ci sarebbe stato quel combattimento; ma, una volta ricevuta la sfida, gli Israeliti non potevano rimanere indifferenti.

Stando a quello che si legge in Deuternomio 25:17-19:
Ricordati di quel che ti fece Amalec durante il viaggio, quando uscisti dall'Egitto:
Egli ti attaccò per via, piombando da dietro su tutti i deboli che camminavano per ultimi, quando eri già stanco e sfinito e non ebbe alcun timore di Dio.
Quando dunque il SIGNORE, il tuo Dio, ti avrà dato pace liberandoti da tutti i tuoi nemici che ti circondano nel paese che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà come eredità perché tu lo possegga, cancellerai la memoria di Amalec sotto al cielo; non te ne scordare!»


Davanti alle provocazioni di Amalec, che attaccava alle spalle gli ultimi, i deboli e i più stanchi tra il popolo, Israele non poteva rimanere passivo.
Purtroppo non sono pochi coloro che, come gli Amalechiti, non hanno scrupoli nel alzarsi contro chi è sfinito.

Gente che non ha la minima sensibilità verso chi soffre, anzi, approfitta della debolezza altrui per levarsi e manifestare tutta la propria spietata cattiveria.

Nello scenario della battaglia contro Amalec, quattro persone si distinsero, ognuna nel rispettivo ruolo: Mosè, nella veste di capo supremo; Giosuè, come selezionatore dei combattenti e condottiero in battaglia; Aaronne e Cur [In riferimento a Cur, qualcuno pensa che si trattava del cognato di Mosè, marito di sua sorella Miriam (cfr. Il Commentario di M. Henry, Vol. 1, pag. 444] nella funzione di sostenitori di Mosè.

Giosuè ricevette l’ordine di selezionare l’esercito per la guerra e venne subito rassicurato: Mosè non sarebbe rimasto nella sua tenda, anzi, avrebbe seguito le fasi della battaglia dalla vetta del colle col bastone in mano, in compagnia di Aaronne e di Cur.

Mosè fece questa promessa rassicurante a Giosuè non solamente nella sua veste di capo supremo del popolo, ma anche in qualità di guida spirituale.
Non dimentichiamo che il bastone che teneva in mano non era come quello di un comune pecoraio, ma quello che nell’Esodo è definito il bastone di Dio, simbolo dell’autorità ricevuta direttamente da Dio.

Il fatto poi che Mosè si portò in vetta al colle non era solo per seguire l’evolversi del combattimento ma anche e soprattutto perché Giosuè, vedendo Mosè col bastone sollevato, riacquistasse forza e coraggio per sconfiggere Amalec.

Il testo precisa, infatti, che quando Mosè alzava la sua mano, Israele vinceva, quando invece l’abbassava, Amalec vinceva (Esodo 17:11). Il segreto della vittoria erano le mani alzate di Mosè!

Per quanto tempo Mosè tenne le sue mani alzate, non ci è dato di sapere; ma non sorprende leggere che a un certo punto le mani di Mosè si facevano pesanti (v. 12), per l’ovvia stanchezza sopraggiunta.

Si proseguirà il prossimo giorno...
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