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Domenico34 – Il cammino di un popolo – Dall’Egitto alla terra di Canaan. Sommario, Prefazione ed Introduzione. Capitoli 1-14

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2012 00:30
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28/01/2012 00:30

Infine, Raamses, oltre ad evocare le tante sofferenze fisiche, il pianto straziante di tante mamme nel veder gettati nel Nilo i loro neonati maschi, ricordava loro il modo con cui la mano potente di Dio li aveva liberati dalla schiavitù (Deuteronomio 6:12; 7:19).

Ecco perché il testo sacro (Numeri 33:3) afferma che quando gli Israeliti partirono da Raamses alla volta di Succot, lo fecero a testa alta (pieni di baldanza, N. Diodati; a mano alzata, Diodati e CEI).

L’atteggiamento di un popolo che per tantissimi anni era stato il bersaglio della spietata tirannia degli Egiziani era totalmente cambiato, grazie all’intervento di Dio.

Se il faraone mandò via dal suo paese gli Israeliti non fu perché non erano più di suo gradimento o perché non ricavava più vantaggi dalla loro produttività (come negli anni passati), ma perché fu costretto dalla mano potente del Signore che si era abbattuta su tutti gli Egiziani e aveva fatto morire tutti i loro primogeniti, sia degli uomini che degli animali.

Se Dio non avesse colpito gli Egiziani in quel modo, il faraone non avrebbe mai acconsentito a lasciare partire Israele, e la schiavitù di questo popolo non avrebbe mai avuto fine.

Davanti alla chiara manifestazione della potenza di Dio in loro favore, gli Israeliti che lasciarono l’Egitto avevano tutte le ragioni per uscire a testa alta, pieni di baldanza e a mano alzata.

Questo per dimostrare a tutti, e agli Egiziani in modo particolare, che non stavano lasciando l’Egitto da sconfitti ed umiliati ma come veri trionfatori, grazie al loro Dio onnipotente.

Dalla storia della liberazione del popolo d’Israele, il cristianesimo può ricavare una brillante illustrazione, applicabile alla salvezza di ogni peccatore per opera di Gesù Cristo.

Infatti, chi libera dalla schiavitù del peccato, è solamente il Figlio di Dio, avendo sacrificato la sua vita come prezzo di riscatto (Matteo 20:28).

Una persona o un popolo che viene messo in libertà, ha motivo di alzare la testa, a dimostrazione della riacquistata libertà su chi lo ha tenuto schiavo per tanto tempo e a lode di Colui che lo ha reso veramente libero dal peccato (Giovanni 8:32-36). A Lui la gloria!

Ogni cristiano, nel corso della sua vita, conosce il suo Raamses, il suo luogo di sofferenze e lacrime.
Per alcuni, i dolori e i travagli sono tantissimi e sembrano interminabili, ma bisogna tenere sempre presente quello che lasciò scritto l’apostolo Paolo:

Io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo (Romani 8:18).

Le sofferenze del tempo presente non si possono paragonare alla gloria futura perché, qualitativamente, la differenza è abissale e perché, anche in senso quantitativo, le prime hanno una durata, cioè sono limitate, mentre la seconda è illimitata, cioè abbraccia l’eternità.

Anche se i quattrocentotrent’anni di permanenza in Egitto, sotto il peso schiacciante di soprusi e angherie, furono lunghissimi, arrivò il momento della liberazione. Dal giorno in cui Israele uscì dal paese di Egitto cominciò una nuova era, non solo di libertà, ma anche con la rosea prospettiva di entrare in possesso della terra di Canaan, che Dio aveva promesso ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe.

Ogni persona salvata mediante la potenza del vangelo e resa libera dalla schiavitù del peccato comincia una nuova vita (2 Corinzi 5:17), realizza la fedeltà e la bontà di Dio, e ha la certezza di entrare in possesso di una eredità incorruttibile, conservata in cielo (1 Pietro 1:4), che il Signore ha promesso a tutti quelli che Lo amano (1 Corinzi 2:9).

Succot


Il primo accampamento d’Israele dopo la partenza da Raamses fu a Succot.
Questo luogo, che si trova nella valle del Giordano (vicino a Sartan, (1 Re 7:46), ci fa ripensare a Giacobbe e a quello che egli fece in questa stessa località, dopo la riconciliazione con suo fratello Esaù.

Giacobbe partì alla volta di Succot, costruì una casa per sé e fece delle capanne per il suo bestiame; per questo quel luogo fu chiamato Succot (Genesi 33:17).

Visto che la Bibbia non riporta eventi particolari verificatisi durante il primo accampamento di Israele, l’unico elemento di riflessione lo prenderemo proprio dal nome: Succot, che significa “capanne”.

Una capanna, come dice il dizionario, è «una piccola costruzione di pietra, legno, canne, frasche, ecc., usata come rifugio provvisorio (e anche come abitazione o come ricovero per il bestiam dai pastori, dai carbonai, dai contadini o dagli alpinisti. – Per similitudine, casa piccola e povera (specialmente in campagn; tugurio» [S. Battaglia, GDLI, (Grande Dizionario della lingua italiana) Vol. II, pag. 675].

Di solito le capanne erano costruite con frasche o canne ma, anche se fatte con pietre, erano comunque senza fondamenta. Un’abitazione di questo tipo non ha un gran valore perché non è stabile, non resiste alla furia di una bufera, viene facilmente sradicata e quindi non dà nessuna garanzia a chi l’abita.

Si proseguirà il prossimo giorno...
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