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Quando la moglie raccontò al marito l’apparizione che aveva avuto e il messaggio che le era stato rivolto, circa il suo concepimento e la nascita di un figlio e le condizioni cui avrebbe dovuto attenersi durante tutto il tempo della sua gravidanza, il marito fece una richiesta al Signore, perché l’uomo di Dio, ritornasse nuovamente da loro. Dio esaudì la preghiera di Manoà, l’Angelo del Signore apparve di nuovo alla moglie mentre era seduta nel campo, quest’ultima chiamò subito il marito, il quale poté ascoltare le stesse parole della prima apparizione.

Per avere più informazioni di questo essere che era apparso, Manoà si spinse a chiedere il suo nome. Il motivo della sua richiesta era: … affinché, quando si saranno adempiute le tue parole, noi ti rendiamo onore?» (v. 17). Al che il messaggero divino rispose: «Perché mi chiedi il mio nome? Esso è meraviglioso» (v. 18). La storia si conclude: Poi la donna partorì un figlio, cui pose nome Sansone (v. 24).

LA MADRE DI MICA

Della madre di Mica si parla in (Giudici 17:1-4). In questo passaggio si afferma che Mica rubò a sua madre millecento sicli d’argento. Sua madre, alla presenza del figlio, pronunciò una maledizione, e questi, forse spaventato da quella maledizione, non solo confessò di essere stato lui a compiere quell’atto, ma restituì anche quanto aveva preso.

LA CONCUBINA DI UN LEVITA

In (Giudici 19:1-10,20-30) c’è la raccapricciante storia della concubina di un levita. Si precisa che il levita, di cui parla il racconto biblico, abitava nella zona montuosa di Efrain, e si era preso per concubina una donna di Betlemme di Giuda. A causa della sua infedeltà, la concubina lasciò il levita e ritornò in casa di suo padre a Betlemme. Il levita, che forse amava quella donna, andò nella casa del suocero con l’intenzione di parlare al cuore della figlia e ricondurla a sé.

Arrivato in casa del padre della concubina, fu accolto festosamente, tanto che per tre giorni, rimase in quella casa mangiando e bevendo e pernottando là. Vi rimase ancora per altri due giorni, mangiando e bevendo, dietro l’insistenza del suocero. Al sorgere di un altro giorno, quando il levita aveva fatto i preparativi per ritornare a casa sua, avendo con sé la concubina e un suo servo, il padre della ragazza, ritornò a sollecitare nuovamente il genero a rimanere in casa sua, adducendo la ragione che il giorno stava per declinare e che la sera, ormai vicina, non era adatta per intraprendere un viaggio. Però a questo punto, il levita fu fermo nella sua decisione: invece di rimanere nella casa del suocero e passarvi la notte, prese la concubina e partì. Quando arrivarono di fronte a Iebus, che è Gerusalemme, era quasi notte.

Il suggerimento che il servo del levita diede al suo padrone di passare la notte nella città del Gebusei, non venne ascoltato, per il semplice fatto che gli abitanti di quella città non erano i figli d’Israele. Così, proseguendo nel loro cammino arrivano a Ghibea, che appartiene a Beniamino. Tenuto conto che a Ghibea arrivarono di notte, nessuno degli abitanti di quella città, li accolse in casa loro. Ora il levita, la concubina e il servo, sono rassegnati a passare la notte nella piazza della città. Quando ogni speranza di ospitalità ormai era tramontata, un vecchio agricoltore che ritornava dai campi, della regione montuosa di Efraim che abitava come forestiero a Ghibea, li accolse in casa sua.

Mentre gli ospiti stavano rallegrandosi in casa del vecchio agricoltore, arrivarono alla sua casa gente perversa. E picchiando alla porta di quella casa, chiedevano che il visitatore venisse fuori della casa, perché loro volevano abusare di lui. Il vecchio li supplicò a non commettere una simile infamia, offrendo in cambio la propria figlia vergine e la concubina del levita. Visto che quella marmaglia di gente perversa non volle ascoltare, la concubina del levita venne data a quella gente, i quali la violentarono per tutta la notte, tanto che quella donna al mattino, fu trovata morta alla soglia della porta del vecchio agricoltore.

Il marito della concubina, caricata sul suo asino, arrivò a casa sua, e, di lì, tagliata la donna in dodici pezzi, che mandò per tutto il

territorio d’Israele. Tutti quelli che videro ciò dissero: «Una cosa simile non è mai accaduta né si è mai vista, da quando i figli d’Israele salirono dal paese d’Egitto, fino al giorno d’oggi! Prendete a cuore questo fatto, consultatevi e parlate» (v. 30).

Questa raccapricciante storia ci fa vedere cosa è capace l’uomo di compiere, quando in lui c’è della perversità.

LE QUATTROCENTO VERGINI DI IABES

La storia di queste quattrocento vergini di Iabes, è narrata nel capitolo 21 dei Giudici. Il corpo tagliato a pezzi della concubina del levita e spedito in tutto il territorio d’Israele, di cui abbiamo parlato sopra, suscitò sdegno e indignazione tra i figli d’Israele. Ben presto vennero radunati quattrocentomila fanti, dei figli d’Israele, per andare a combattere contro i Beniaminiti, che avevano un esercito di ventiseimila uomini.

In tre giorni di battaglia, tra i due schieramenti, ci fu un numero rilevante di morti: tra i figli d’Israele ne caddero 430.000 e tra i Beniaminiti 25.100; solo 600 Beniaminiti riuscirono a fuggire e mettersi in salvo. Siccome i figli d’Israele fecero un giuramento davanti al Signore di non dare le loro figlie per mogli ai Beniaminiti, si cercò tra tutti i convocati, di sapere chi non aveva risposto per andare alla battaglia. Si credette che quelli di Iabes di Galaad, non erano saliti per combattere. Per punirli, venne ordinato di distruggere tutti gli abitanti di Iabes, uomini e donne, e risparmiare solamente quelle femmine vergini che non avevano avuto rapporti sessuali con uomini. Il numero di queste vergini, ammontò a quattrocento, le quali, vennero date in moglie ai superstiti Beniaminiti. Siccome però non tutti gli uomini scampati dal massacro ebbero la propria donna, fu consigliato agli altri di rapire le danzatrici delle figlie di Silo; così tutti i superstiti, ebbero la propria donna per moglie.

Si continuerà il prossimo giorno...