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16. UNA PRECISA DISPOSIZIONE A NON DARE CIÒ CHE È SANTO AI CANI

Non date ciò ch’è santo ai cani e non gettate le vostre perle dinanzi ai porci, che talora non le calpestino coi piedi e rivolti contro a voi non vi sbranino (Matteo 7:6).

La prima osservazione che va fatta, riguarda i cani e i porci, per sapere a chi volesse alludere Gesù. È certo che Gesù non faceva riferimento ai due animali così specificatamente nominati, come se Egli volesse dare istruzione ai suoi discepoli circa la loro alimentazione.

Che il detto di Gesù va inteso nel senso letterale, ci sembra ovvio. Dal momento che non si tratta di aver a che fare con cani e porci, è interessante capire a chi voleva alludere Gesù, parlando di questi animali. Qualcuno ha affermato che i cani e i porci rappresentavano i Gentili e probabilmente il senso viene applicato ai rapporti con quelli che sono fuori della comunità cristiana [R. E. Nixon, Commentario Biblico, III, pag. 55].

Un altro ha detto: «Cani e porci significano i profani ed i sensuali. Il cane rappresenta la classe dei violenti e selvaggi avversari del Vangelo, e il porco, quella degli impuri e dei depravati [R. G. Stewart, L’evangelo secondo Matteo e Marco, pag. 72]. Infine, un altro ha detto, facendo riferimento alla (2 Piet. 2:21,22) che «L’associazione del cane, della troia, e del santo comandamento, di cui erano indegni, indicano anche il senso di questa parabola: non gettate il santo insegnamento, cioè la legge del Signore, che è santa, buona e giusta (Romani 7:12) in pasto a coloro che hanno dimostrato con ostinata chiarezza di non volerne sapere e di esserne indegni [G. Miegge, Il sermone sul monte, pag. 249].

Facendo un confronto con quello che la Scrittura ci dice a proposito dei cani e dei porci, specie in quei passi ove il senso figurativo è sicuro, possiamo meglio cogliere e capire il valore della disposizione di Cristo contenuta in Matteo 7:6.

Nel (Salmo 22), ch’è un salmo squisitamente messianico, il salmista paragona i suoi nemici ed avversari come cani. Poiché cani m’hanno circondato (v. 16). Nel (Salmo 59), Davide, parlando dei suoi nemici, dei suoi aggressori, degli operatori d’iniquità, degli uomini di sangue, li descrive con le seguenti parole: Tornano la sera, urlano come cani - e vanno attorno per la città (v. 6). Ai capi del popolo ebreo, secondo Isaia 56:10,11, viene rivolta una accusa, con queste parole: Sono cani ingordi, che non sanno cosa sia essere satolli.

Quando dagli scritti dell’A.T. ci spostiamo a quelli del N.T., e precisamente a Filippesi 3:2, Paolo fa una ferma raccomandazione, pensando soprattutto a tutti quelli che non facilitano la propagazione dell’Evangelo di Cristo, e così si esprime:

Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quei della mutilazione.

Quando si pensa che l’ultimo capitolo dell’Apocalisse, loca i cani con gli
stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gl’idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna (Apocalisse 22:15),

con un perentorio fuori, allora appare in tutta la sua luce, la disposizione di Gesù a non dare ciò ch’è santo ai cani.

Per quanto riguarda i porci, la Scrittura dice:
Considerate come impuro il porco (Levitico 11:7). E,: Quelli che mangiano carne di porco saranno consumati (Isaia 66:17).

Se poi a questi due testi si aggiunge 2 Piet. 2:22, in cui è detto:

È avvenuto di loro quel che dice con verità il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito, e la troia lavata è tornata a voltarsi nel fango (cfr. Proverbi 26:11).

Nelle parole di Gesù: Non date ciò ch’è santo ai cani, si è voluto vedere la forma rituale del sacerdozio levitico, secondo la quale, nessuno, tranne il sacerdote e la sua famiglia, a certe precise condizioni, poteva mangiare le cose sante, che poi era tutto quello che si offriva al Signore (cfr. Esodo 29:33; Levitico 2:3; 22:10-16; Numeri 18:8-19).

C’era una norma che addirittura vietava di portare nella casa del Signore il prezzo della vendita di un cane (Deuteronomio 23:18). Più tardi, la forma cultuale di questo detto di Gesù, suggerì di porlo in rapporto culto della Chiesa, e precisamente alla partecipazione dell’Eucaristia:

«Ma nessuno mangi o beva della vostra Eucaristia, se non quanti sono battezzati nel nome del Signore. Poiché a questo proposito il Signore ha detto: Non date ai cani ciò che è santo» [Didaché IX, 5. NOTA: Didaché (= dottrina. Scritto scoperto intorno al 1875, a carattere didascalico per l’istruzione dei catecumeni, redatto in greco nei primi del II secolo; è uno degli antichi testi cristiani. Noto anche come titolo di Dottrina degli apostoli].

Anche se le parole di (Matteo 7:6) possono suggerire un certo raccordo alla formula cultuale di cui sopra, non crediamo che le parole di Gesù, abbiano a che fare con quanto prescriveva la legge di Mosè. D’altra parte, la missione di Gesù, non aveva come obbiettivo di mettere in risalto tutto quello che veniva fatto ai tempi di Mosè. C’erano i capi religiosi che ne parlavano e ne spiegavano il valore. Gesù, secondo le parole di Marco 1:14,15, predicando, diceva:

Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: ravvedetevi e credete all’evangelo.

Era a questa buona novella che i discepoli di Cristo dovevano pensare e le sue parole dovevano essere intese in questa prospettiva. È chiaro allora, che quando parlava dei cani, si riferiva agli uomini; non alludeva ad una partiare classe esseri umani, individui di tutti i ceti che oppongono resistenza all’evangelo. Dato che l’Evangelo non è una cosa profana e vana, bisogna trattarlo come concetto santo, perché tale è e non deve essere dato ai cani, come se fosse un cibo adatto per loro.

A questo punto sorge una spontanea domanda come si fa ad individuare una persona con la caratteristica di un cane, per non darle l’evangelo e tutto ciò ch’è santo? La disposizione di Cristo, mirava forse a fare una certa selezione per mettere da parte qualcuno come persona indegna dell’evangelo? Per rispondere a queste due domande, bisogna fare una specificazione. Anzitutto, Cristo non è venuto sulla terra solo per alcuni, e non per alcuni soltanto immolò la sua vita e procurò loro la salvezza.

La missione di Cristo è universale perché appunto abbraccia tutta l’umanità, senza alcuna discriminazione di sorta. L’uomo non nasce vile, violento ed arrogante; non nasce con la predisposizione a rigettare tutto ciò che Dio gli offre nella sua bontà, anche se la sua natura, essendo figlio di Adamo è depravata e corrotta. È con l’esercizio della sua volontà che l’uomo determina certe cose nella sua vita.

L’uomo incredulo, non potrà mai vedere la gloria di Dio. Ma se ad un certo momento lascia la sua incredulità, quella stessa persona che prima, in conseguenza del suo scetticismo, aveva sbarrato la via alla manifestazione della gloria di Dio, ora si apre e dà la libertà alla grazia di Dio di manifestarsi.

Ci sono persone che sono ostili all’evangelo, un’una ostilità quasi sconfinata. Non è la grandezza dell’ostilità di un uomo che determina la sua esclusione dell’evangelo, ma il suo persistere in quella direzione.

Quando un uomo ostinato rifiuta di accettare l’evangelo e poi cessa di essere ostinato, in quel momento di cambiamento cessa di avere la caratteristica di un cane; ma se persevera ad oltranza in quella peculiarità, rimane una bestia, Gesù ordina di non dare ciò ch’è santo ai cani. Lo stesso discorso si può fare per le perle, da non gettarle davanti a porci. La perla è preziosa per chi l’apprezza, ma per il profano, è una cosa di nessun valore.

Si continuerà il prossimo giorno...