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Dal passato della storia di Giacobbe apprendiamo:

a) A Sichem, edificò un altare all’Eterno, al quale assegnò il nome di El-Elohey-Israel = il potente Dio d’Israele (Genesi 33:20). In questo non si fa nessun accenno a sacrifici offerti a Dio.
b) Mentre Giacobbe si trova a Sichem, Dio gli ordina di andare a Bethel e fare lì un altare (Genesi 35:1). Neanche in questo luogo, Giacobbe offrì sacrifici a Dio. Inoltre, da Abrahamo viene affermato che a Beer-Seba invocò il nome dell’Eterno (Genesi 21:33); mentre Isacco vi costruì un altare e invocò il nome dell’Eterno (Genesi 26:23,25).

È chiaro il primo riferimento a Giacobbe, il quale ‘offrì sacrifici’ a Dio, quando arrivò a Beer-Seba. L’avrà fatto sullo stesso altare che aveva costruito suo padre? Nulla si può dire con certezza in proposito. Quello che secondo noi è importante, non è tanto sapere se i ‘sacrifici’ Giacobbe li abbia offerti all’Eterno sullo stesso altare che aveva costruito suo padre Isacco, quanto conoscere in che cosa consistessero quei sacrifici, cosa fossero effettivamente quei sacrifici. Noi crediamo che quei ‘sacrifici’ possano certamente essere ritenuti le ‘preghiere’ che Giacobbe innalzò al suo Dio.

Ci sembra chiaro che queste preghiere e queste invocazioni vengono per invocare la benedizione del Signore sul suo trasferimento in Egitto, soprattutto alla luce della risposta di Dio.

Ritorna però la domanda: quello che il patriarca fa a Beer-Seba, non poteva farlo prima di mettersi in cammino, quando si trovava a Hebron? Forse l’emozione per la bella notizia che il suo prediletto Giuseppe era ancora in vita, gli avrà fatto dimenticare un preciso dovere: pregare il suo Dio, consultarsi con Lui sull'opportunità o meno di andare in Egitto.

Un vecchio proverbio dice: meglio tardi che mai. Anche se Giacobbe lo fa con ritardo, è apprezzabile che

a) Giacobbe a Beer-Seba fermi la marcia della sua famiglia, come se qualcuno dall’interno gli avesse detto: «Ma perché continui a camminare ancora?»
b) Egli riconosca di aver commesso un errore per non essersi rivolto a Dio prima di partire;
c) senta il bisogno di rivolgersi al suo Dio per consultarsi con Lui in merito al suo futuro;
d) cerchi la guida di Dio.

E allora qual è il motivo per cui Giacobbe si ferma a Beer-Seba? Come abbiamo detto Beer-Seba era il confine della terra di Canaan. La promessa fatta a Dio contenuta in Genesi 28:15 sarà ritornata nella mente del patriarca e con essa una profonda preoccupazione e una grande paura avranno invaso il suo cuore. Si sarà forse chiesto se questo passo, per caso, non fosse in contrasto con il piano che Dio aveva fatto per lui e violava la volontà di Dio. Se in quel giorno non ci fosse stata la risposta alla sua preghiera e se Dio si fosse opposto e avesse dato un segno della sua collera, Giacobbe senza dubbio sarebbe ritornato a Hebron.

Anche se c’era un forte desiderio di rivedere il suo prediletto, c’era anche in Giacobbe la ferma volontà di attenersi al volere di Dio. Dio non poteva ignorare la richiesta di Giacobbe, come se non fosse vitale per il suo futuro. I ‘sacrifici’ che gli vengono offerti, richiedono una precisa risposta, per non lasciare nell’incertezza la vita di Giacobbe. Ed ecco che Dio si rivela in favore del patriarca.

2) LE PROMESSE DI DIO RINNOVATE

DIO parlò ad Israele in visioni notturne e disse, «Giacobbe, Giacobbe!». Egli rispose: «Eccomi» (Genesi 46:22).

Dio si rivolge direttamente alla persona interessata, chiamandola prima col nuovo nome Israele e poi con quello vecchio di Giacobbe. Non ha tanta importanza che Dio parli in visioni notturne o diurne; se Egli avesse preferito il giorno, il significato sostanziale della sua parola non sarebbe certamente cambiato. Per Lui, infatti, la notte e il giorno, sono uguali (Salmo 139:11-12). Chiamandolo due volte col vecchio nome: Giacobbe, Giacobbe, ci ricorda la chiamata di Samuele (1Samuele 3:10). Più tardi Gesù userà la formula ripetitiva da Lui preferita: in verità, in verità vi dico... quasi a rafforzare la verità della Sua parola, verità assoluta .

Pronunciando due volte il nome di Giacobbe, Dio voleva rafforzare l'importanza della verità, ma anche sottolineare che ciò che stava per dire era di fondamentale aiuto per il vecchio patriarca e richiamare con forza la sua attenzione. Giacobbe, da parte sua, pur non conoscendo quello che Dio gli avrebbe detto, senza indugio risponde: «Eccomi, sono pronto per ascoltare quello che hai da dirmi». Dio non potrà mai parlare all'uomo, se questi non è disposto ad ascoltarlo. Parla, perché il tuo servo ascolta (1Samuele 4:10).

Dio allora disse: «Io sono Dio, il DIO di tuo padre; non temere di scendere in Egitto... scenderò con te in Egitto... (Genesi 46:3-4).

L'imperativo ‘non temere’, sottolinea la paura di Giacobbe, non tanto perché egli avesse dubbi sull’accoglienza di suo figlio Giuseppe o della mancanza di un sostentamento, quanto per il dubbio che il suo spostamento non rientrasse nella volontà di Dio.

Era pertanto necessario che Giacobbe avesse la certezza che la sua discesa in Egitto non fosse in opposizione ai piani divini, né per lui, né per la sua discendenza. Se Dio avesse solamente approvato la discesa di Giacobbe liberandolo dal timore, sarebbe stato sufficiente a sciogliere l’incertezza e la preoccupazione. Aggiunge però «Io scenderò con te in Egitto», assicurandogli che Egli in persona, (non un suo angelo) sarebbe stato al suo fianco nella nuova destinazione.
Davanti a tale affermazione, non c’era più nessun motivo per fermare la marcia. Ecco perché il testo precisa: allora Giacobbe partì da Beer-Seba (Genesi 46:5).

3) IL FUTURO DI GIACOBBE E DELLA SUA DISCENDENZA, VIENE ASSICURATO

L'Eterno, non dà solamente il suo nulla osta a Giacobbe, ma allude anche al suo futuro e a quello della sua discendenza. In Egitto ti farò diventare una gran nazione... ...e ti farò anche risalire. Questo significava che, non solo la discesa in Egitto realizzava la promessa divina fatta a Bethel, sia la prima che la seconda volta e con essa la promessa si sarebbe ‘pienamente’ adempiuta (Genesi 28:13-14; 35:11), ma che anche la sua permanenza e quella della sua discendenza, sarebbe durata per un certo periodo di tempo, dopo il quale sarebbero stati fatti risalire nella loro terra dall’Eterno stesso.
Quando Dio fece la promessa ad Abrahamo che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo (Genesi 15:5), aggiunse anche che, sarebbe rimasta come straniera in un paese che non era loro, e sarebbero stati trattati come degli schiavi e oppressi per quattrocento anni (Genesi 15:13).

L’Egitto, è vero, non veniva menzionato, ma era sicuramente a quel luogo che Egli si riferiva. Giacobbe è, dunque, la persona con cui si adempie la promessa divina. Dio acconsente alla sua discesa in Egitto. Ciò è necessario per attuare i piani di Dio.

UN INSEGNAMENTO DI VITA PRATICA

Dalla vita di Giacobbe possiamo trarre un esemplare insegnamento di esistenza pratica. I cristiani devono saper controllare il loro entusiasmo e pregare Dio, prima di mettersi in movimento. Questo servirà loro ad avere idee chiare in merito al loro spostamento, senza poi cadere in timori e incertezze sul loro futuro.

Dio, certamente, non lascerà soli coloro che si rivolgono a Lui, senza incoraggiarli ed illuminarli. Avere il Suo incoraggiamento ed essere ‘illuminati’ da Lui è molto importante per non cadere nella trappola dello scoraggiamento e dell’abbattimento. Con la luce divina nella nostra mente e nel nostro cuore, si può camminare con passo fermo sulle vie di Dio. Anche se durante il cammino della vita si incontreranno difficoltà, (e nell'esistenza cristiana non mancano) chi ha in sé la luce celeste, sarà fermo e deciso e affronterà coraggiosamente ogni prova.

Si continuerà il prossimo giorno...