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Ruben rispose loro dicendo: Non ve lo dicevo io: Non commettete questo peccato contro il fanciullo? Ma non mi deste ascolto. Perciò ecco, ora ci si chiede conto del suo sangue (Genesi 42:21,22).

Questo testo e la Genesi (37:21,22), ci dicono con estrema certezza che Ruben, il primogenito dei figli di Giacobbe, non era d’accordo con i fratelli, quando progettarono di uccidere Giuseppe. Ci dicono anche che lo stesso Ruben non era presente quando Giuseppe viene tratto dal pozzo e venduto agli Ismaeliti. Infatti la Genesi (37:29,30) dice:

Or Ruben tornò al pozzo, ed ecco, vide Giuseppe nella cisterna giù nel pozzo. Allora egli stracciò le vesti. Poi tornò dai suoi fratelli e disse: Il fanciullo non c’è più; e io, dove andrò io?

Anche se il testo non ci dice dove va Ruben e per quale motivo si allontana dai fratelli, è facile supporre intendesse poi ritornare per trarlo dal pozzo. Dal momento che Ruben non era d’accordo col piano omicida dei suoi fratelli e voleva salvare la vita di Giuseppe, sicuramente si sarà allontanato da essi per non condividere minimamente quello che essi si proponevano di fare. A questo punto i commentatori hanno fatto delle osservazioni e si sono chiesti dove fosse andato Ruben e per quale motivo si fosse allontanato. Diverse sono le spiegazioni, e, fra le tante, una è particolarmente convincente.

La spiegazione più semplice è quella maggiormente possibile. Quando appare da lungi la carovana, Ruben, il più coscienzioso di tutti i fratelli, agendo in conformità al suo carattere, si allontana per montare la guardia al gregge: non ci si poteva fidare di quegli stranieri di passaggio in quanto avrebbero potuto portar via qualche bel capo di bestiame. Ruben rimane, quindi, di guardia finché la carovana sparisce. Pertanto, quando Ruben raggiunge il gruppo dei fratelli, Giuseppe è stato già venduto ed è andato via con i compratori; i fratelli decidono, in seguito, di mandare il suo vestito macchiato di sangue a Giacobbe.

Indubbiamente l’animo di Ruben è amareggiato e, ancor più, arrabbiato con i fratelli, per il male perpetrato. Un fatto è certo. Ruben nel momento della vendita non era con i fratelli e rimane lontano per parecchio tempo, durante il quale i fratelli concludono un affare commerciale con gli Ismaeliti, vendendo Giuseppe che (Genesi 42:21) supplicò i suoi fratelli con l’anima angosciata. Perché quella supplica? Anche se il testo sacro non ce lo specifica, non è difficile supporlo.

Quando Giuseppe arriva dai suoi fratelli,
lo spogliarono della sua veste, della lunga veste fino ai piedi che indossava. Poi lo presero e lo gettarono nel pozzo (Genesi 37:23,24).

Sicuramente la supplica non viene fatta perché non gli tolgano la veste lunga, ma perché non sia gettato nel pozzo. Giuseppe non sapeva che il pozzo era vuoto, senz’acqua; lo sapevano i fratelli, invece.
Pertanto la supplica di Giuseppe si pone come l'inevitabile reazione di chi sa di stare per perdere la vita, annegando nel pozzo. Ma, nonostante quella supplica, nonostante le lacrime, i fratelli di Giuseppe, induriti nei loro cuori, senza la minima compassione nei suoi confronti, compiono l' atto sacrilego. L’odio e l’invidia, non solo portano a compiere azioni tragiche, ma tolgono qualsiasi possibilità di "pietas".

L’INTERVENTO DI GIUDA

Dopo che Giuseppe è stato spogliato della lunga veste e gettato nel pozzo, ecco, si presenta un’occasione d’oro. È Giuda che a questo punto si fa avanti e dice:

«Guardate, ecco una carovana di Ismaeliti che si sta avvicinando con i loro preziosi carichi di spezie, di balsamo, e di mirra, in viaggio per l' Egitto...
Che guadagno avremo a uccidere nostro fratello e a nascondere il suo sangue?
Venite, vendiamolo agli Ismaeliti e non lo colpisca la nostra mano, perché è nostro fratello, e nostra carne
(Genesi 37:25-27).

Così Giuseppe, per venti sicli d’argento, è venduto agli Ismaeliti, i quali lo conducono in Egitto. C’è una certa somiglianza tra la storia di Gesù, per quanto riguarda il prezzo di vendita. Giuseppe fu venduto per venti sicli d’argento, su proposta di Giuda; Gesù Cristo fu venduto per trenta sicli d’argento, per la mediazione di Giuda Iscariota.

Quello che accomuna i due personaggi è il denaro. Sia nell’uno che nell’altro caso, i traditori pensano al denaro, al buon affare commerciale da non lasciarsi sfuggire. Il denaro ha sempre avuto una cattiva influenza sulla vita dell’uomo e spesso lo ha indotto a compiere perfide azioni, sottovalutando la realtà.

Aveva perfettamente ragione Paolo quando affermò: L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali (1Timoteo 6:10). Più tardi lo stesso Apostolo, dirà: Or sappi questo; che negli ultimi giorni verranno tempi difficili, perché gli uomini saranno amanti di se stessi, avidi di denaro... (2Timoteo 3:1).

Tutto sembra sistemato nel migliore dei modi: Giuda consiglia che non c’è nessun guadagno nel gettare Giuseppe nel pozzo e nello spargimento del sangue, e i fratelli finiscono con l 'accettare l’offerta in denaro degli Ismaeliti. Essi, ora, possono licenziarsi da Giuseppe, con l'ipocrita consapevolezza di non avere versato il sangue del fratello.

La cosa più importante era togliere la veste lunga a Giuseppe. I perfidi avranno pensato "Ora il nostro fratellino andrà in Egitto e sarà considerato e trattato come uno schiavo e noi restiamo in Canan. Che ne sarà dunque dei suoi sogni?"

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e noi risponderemo con premura