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Durante tutti gli anni della vita terrena, Gesù non aveva mai provato, neanche per un attimo, la tristezza mortale. Poteva ricordare il turbamento che provò, quando incontrò Maria che piangeva per la morte di suo fratello Lazzaro (Giovanni 11:33) e il pianto che fece, nel giorno del suo ingresso trionfale a Gerusalemme (Luca 19:41).

Spiegare quello che Gesù provò nel giardino del Getsemani, senza tener presente la sua umanità, non sarà facile riuscirci. Gesù sapeva che il calice della sua immane sofferenza, glielo porgeva il Padre (Giovanni 18:11). Questo Egli lo affermò nel giardino del Getsemani, nello stesso giorno in cui avvertiva la “tristezza mortale”, davanti a Pietro, che cercò di difenderlo, quando, sguainando la sua spada, colpì il servo del sommo sacerdote, recidendogli l’orecchio destro, un momento prima del Suo arresto (v. 10).

L’esortazione che Gesù rivolse a Pietro, Giacomo e Giovanni a vegliare con lui, prima che Egli si fosse gettato con la faccia a terra e avesse pregato suo Padre, (Matteo 26:38-39) che allontanasse da lui quel calice (Marco 14:36), dà l’impressione come se Gesù avvertisse la presenza di qualcuno in quella notte, pronto a lottare con lui. Infatti, il vegliate con me, che Matteo riporta, è come un grido di aiuto che Gesù invoca, rivolgendosi ai suoi discepoli. Logicamente i tre discepoli in quella notte, non comprendendo l’importanza e l’urgenza di quell’implorazione, invece di vegliare con lui, si addormentarono, come per dire, lasciarono il Maestro solo.

La seconda volta che Gesù adopera la stessa espressione non siete stati capaci di vegliare con me un’ora sola? (v. 40), non ha solamente il senso di un velato rimprovero, ma vuole anche mettere in risalto il bisogno che Egli avvertiva in quella particolare circostanza.

Il vegliate e pregate, per non cadere in tentazione (Marco 14:38), mette invece in risalto il bisogno che i discepoli hanno, per non cadere sotto gli attaccati pressanti del tentatore. Questa è la scena che viene configurata dal racconto dell’agonia di Gesù, nel giardino del Getsemani.

Rientra nella logica umana chiedere: perché Gesù chiese a suo Padre di allontanare il calice, quando Egli ben sapeva che non era un uomo che gli porgeva quel calice, ma suo Padre? Che cosa rivela quella sua richiesta fatta in varie riprese? Se si considerano attentamente le parole che Gesù usò in quella particolare preghiera, non sarà difficile notare che Egli in quella notte manifestò, in un primo momento, la volontà umana. Era, infatti, l’umano, che si esprimeva e si manifestava in quel modo e che voleva rifiutare di bere il calice. Però, quello che conta ed ha valore, in quella notte memorabile, è che Gesù non fece prevalere la volontà umana, ma quella divina, quando dichiarò subito e con fermezza: Non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi.

Da queste parole, abbiamo tanto da imparare! La lezione più importante è questa: per ogni cristiano che veramente vuole seguire Gesù e fare la volontà di Dio, c’è un Getsemani = frantoio, che lo attende, per essere schiacciato e frantumato, nella parte umana del suo essere. È in questo luogo che si rimane soli, anche se vicino a noi abbiamo dei fratelli, i quali, invece di vegliare con noi si addormentano! È nel Getsemani che si dovrà rinunciare, facendo perdita della volontà umana, per accettare in pieno e con gioia, quella divina.

Che ognuno di noi sappia dire, con coraggio e determinazione, non quello che io voglio, o Signore, ma quello che vuoi Tu!

IV. Il testo di Atti 20:31

L’esortazione che Paolo rivolse a vegliare, si trova in un contesto del discorso che l’apostolo tenne a Mileto, agli anziani di Efeso.

Quando giunsero da lui, disse loro: «Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi,
servendo il Signore con ogni umiltà, e con lacrime, tra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei;
e come non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunziate e insegnate in pubblico e nelle vostre case,
e ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo.
Ed ecco che ora, legato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, senza sapere le cose che là mi accadranno.
So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni.
Ma non faccio nessun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine con gioia la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio.
E ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno, non vedrete più la mia faccia.
Perciò io dichiaro quest’oggi di essere puro del sangue di tutti;
perché non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio.
Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue.
Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge;
e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli.
Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime.
E ora, vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia, la quale può edificarvi e darvi l’eredità di tutti i santificati.
Non ho desiderato né l’argento, né l’oro, né i vestiti di nessuno.
Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano con me.
In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere"»
(Atti 20:18-35).

Che nel discorso di Paolo ci fosse una parte profetica, la si può notare subito, dalla menzione dei lupi rapaci che si sarebbero introdotti in mezzo agli anziani, dopo la sua dipartita, i quali non avrebbero risparmiato il gregge e dal sorgere tra loro, di uomini che avrebbero insegnato cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Una simile predizione, oltre ad essere paragonata come un serio campanello d’allarme, giustificava in pieno anche l’esortazione a vegliare.

Si potrebbe chiedere, perché i lupi rapaci e gli uomini che avrebbero insegnato cose perverse, si sarebbero introdotti in mezzo alle comunità, dopo la partenza di Paolo? Con la presenza dell’apostolo in tra gli anziani, non sarebbe stato facile a questi fomentatori di disordini e di traviamenti, penetrare nelle comunità, senza essere scoperti. La conoscenza che aveva Paolo, per quanto riguardava la sana dottrina, non era comune, nel senso che questa si trovava in tutti gli anziani. In Paolo, oltre ad esserci una conoscenza particolare che poteva smascherare le più raffinate simulazioni, c’era anche il discernimento dello spirito, che gli permetteva di vedere il male, là dove gli altri non ne avevano il minimo sospetto.

Considerando il serio pericolo che minacciava le comunità, l’apostolo avverte gli anziani a vegliare. Si direbbe, perché l’esortazione alla vigilanza è rivolta a questi anziani, e non ai comuni fratelli? Perché loro erano stati costituiti vescovi, (cioè sorveglianti) per pascere la chiesa di Dio. Quando si è investiti di un onore di questo genere, c’è anche una grande responsabilità che pesa nella vita del dirigente.

I dirigenti delle nostre comunità, non devono pensare solamente a consolidare la loro posizione economica; devono sentire il peso della responsabilità del gregge che è stato affidato alla loro custodia, per non permettere ai lupi rapaci e agli insegnanti di cose perverse, di produrre danni e sviamenti in mezzo al gregge. I lupi, anche se si presentano con una veste di pecora (Matteo 7:15) — e in pratica questo lo fanno spesso —, restano sempre tali nella loro natura, perseguendo sempre lo stesso scopo, che è quello di rapire e disperdere le pecore (Giovanni 10:12). Inoltre, secondo la parola di Gesù, i lupi sono i falsi profeti.

Si continuerà il prossimo giorno...