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La prospera vecchiaia di Abramo, di cui parla il testo, la si può notare dopo la morte di sua moglie Sara, avvenuta quando questa aveva centoventisette anni e lui centotrentasette (Genesi 23:1); nel matrimonio di suo figlio Isacco con Rebbecca e nel secondo matrimonio con Chetura, dalla quale ebbe sei figli.

Della morte di Abramo si afferma che spirò in prospera vecchiaia, attempato e sazio di giorni, e fu riunito al suo popolo, e morì all’età di centosettantacinque anni (Genesi 25:1-2,7-8).

17) Morì in prospera vecchiaia, sazio di giorni, di ricchezze e di gloria. Salomone, suo figlio, regnò al suo posto (1 Cronache 29:28).

Anche se la Scrittura non riferisce che Davide visse lungamente come Abramo, di lui però si afferma che morì in “prospera vecchiaia”, pieno di ricchezze e di gloria.

18) La loro discendenza prospera sotto i loro sguardi intorno ad essi, i loro germogli fioriscono sotto gli occhi loro (Giobbe 21:8).

Nella risposta che Giobbe dà al discorso di Sofar, si riscontre che anche la discendenza degli empi prospera sotto i loro sguardi. Questo però non vuol significare che tutti gli empi e la loro discendenza avranno sempre prosperità; significa semplicemente che anche per loro si profila una simile eventualità.

19) Tu sei giusto, SIGNORE, quando io discuto con te; tuttavia io proporrò le mie ragioni: perché prospera la via degli empi? perché sono tutti a loro agio quelli che agiscono perfidamente? (Geremia 12:1)

Per Geremia si poneva il problema della prosperità degli empi, tanto che egli, essendo perplesso, fa addirittura una domanda al Signore per sapere perché l’empio prosperava. Dalla risposta ricevuta, comprende che quella non è la norma; e che il giusto non può essere giudicato da quello che si passa nella sua vita.

20) Non cercherai mai la loro pace né la loro prosperità, finché tu viva (Deuteronomio 23:7).

Leggendo il contesto di questo passaggio, si rileva che cosa Dio ordinò ad Israele intorno a due popoli: gli Ammoniti e i Moabiti, essi non dovevano entrare nell’assemblea del Signore, neppure alla decima generazione, specificandone il motivo (vv.1-5).

Inoltre, Israele era esortato a non cercare mai la prosperità di questi due popoli. Questo significa che nel vedere quella prosperità, (e senza dubbio qui si parla della prosperità materiale) il popolo di Dio era come spinto a desiderarla, e soprattutto a “cercarla”, per possederla.

Si direbbe: che male c’è nel cercare la “prosperità” che hanno gli altri? Non si tratta di porre la domanda in questi termini; si tratta invece di tener presente l’elemento significativo, cioè che la prosperità di quegli stranieri non era fondata sulla benedizione di Dio.

Tenuto conto che quella prosperità non era il frutto dell’ obbedienza e della fedeltà a Dio e alla Sua legge, ma che probabilmente aveva il suo fondamento su inganni e falsità, Dio esortava il suo popolo a mantenersi alla larga. Questo perché, siccome Israele era il popolo di Dio, scelto per essere diverso dagli altri popoli, veniva esortato a comportarsi diversamente, senza imitare su quelli che non camminavano secondo la legge del Signore.
Nel mondo, ci sono tanti modi per conquistare la prosperità materiale, che rispecchia la disonestà e l’ingiustizia; i cristiani devono fare molta attenzione a questo tipo di comportamento, per non farsi coinvolgere nel traviamento.

21) ...non ci ho creduto finché non sono venuta io stessa e non ho visto con i miei occhi. Ebbene, non me n’era stata riferita neppure la metà! La tua saggezza e la tua prosperità sorpassano la fama che me n’era giunta! (1 Re 10:7).

Che alla regina di Seba le è sembrata una “esagerazione”, le notizie pervenutole della prosperità di Salomone, si comprende dal modo come lei si espresse. Però, quando vide con i suoi occhi, non poté fare a meno di confessare che non era un'esagerazione quello che si diceva di Salomone; addirittura non rispondeva neanche alla metà, dell’effettiva prosperità che aveva quest’uomo.

Per Salomone, la sua prosperità era un sinonimo di ricchezza, e questa, era venuta dal Signore, senza che fosse stata richiesta (cfr. 1 Re 3:13).

22) ...non date le vostre figlie ai loro figli, e non prendete le loro figlie per i vostri figli, e non ricercate la loro prosperità né il loro benessere, e così diventerete voi forti, mangerete i migliori prodotti del paese, e potrete lasciarlo in eredità perenne ai vostri figli (Esdra 9:12).

La stessa esortazione che Dio rivolse ad Israele ai tempi di Mosè (Deuteronomio 23:6), [Cfr. capitolo 3, sezione, 1)] ora viene rivolta da Esdra, aggiungendo la prospettiva di “lasciare in eredità perenne” ai figli, la loro esperienza fatta nel paese promesso.

Come elemento di riflessione, chiediamo: che tipo di eredità si lascia ai nostri figli? Solamente beni materiali? Se questa fosse la nostra risposta, a questa domanda, non sarà certamente quella “eredità” di fedeltà e obbedienza a Dio, dalla quale i nostri figli potranno essere spinti ed incoraggiati a seguirci in questo nobile sentiero, che permetterà loro di fare esperienze significative per la loro vita spirituale.

23) Il disprezzo per la sventura altrui è nel pensiero di chi vive nella prosperità; esso è sempre pronto a colpire, se uno ha il piede che vacilla (Giobbe 12:5).

Se si considera obbiettivamente e seriamente l’affermazione di Giobbe, le sue parole trovano una chiara corrispondenza nella vita pratica degli uomini di tutti i tempi. Si dice in gergo che “chi ha la pancia piena non crede a chi l'ha vuota”.

La prosperità a cui si riferisce il nostro testo, non necessariamente deve riferirsi al benessere materiale; può anche avere il senso di “stare bene in salute”, non “avere sventure nella vita”. Per chi si trova in queste condizioni, non sarà facile comprendere chi soffre a causa di una sventura, di una malattia, o di una prova in genere.

24) «Riconciliati dunque con Dio; avrai pace, ti sarà resa la prosperità (Giobbe 22:21).

Tenuto conto che Elifaz considerava Giobbe un uomo che non era in regola con Dio, lo esortava a “riconciliarsi” con Lui, per avere pace e prosperità. Che il suo giudizio severo non rispondesse a verità, sta nel fatto che Giobbe non era l’uomo che veniva dipinto come una persona che non camminava nelle vie di Dio; era piuttosto un essere umano che aveva il timore di Dio e si ritirava dal male (Giobbe 1:8).

Che le parole di Elifaz contengano una preziosa verità, applicabile a tutti, non si può negare. Se l’uomo vuole veramente avere pace (non importa a quale strato sociale appartenga): se è povero o ricco, se è colto o analfabeta, se è bianco e di colore) la riconciliazione con Dio, è l’elemento indispensabile per averla.

Quando l’essere umano fa pace con Dio, e questo lo può ottenere solamente per mezzo di Gesù Cristo, che è la nostra pace (Efesini 2:14), egli potrà sicuramente godere la vera tranquillità nella sua vita, che gli permetterà di rimanere pacifico e sereno anche in mezzo alle tempeste.

Avere poi la prosperità, non significa necessariamente il benessere materiale (anche se questa non è esclusa) ma può anche significare che la salute e la vita in genere andranno bene e nel giusto verso.

Si continuerà il prossimo giorno...