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Prima che i sette anni di carestia terminassero, tutto il denaro di Egitto, andò a finire nelle casse di Faraone. Dopo che gli egiziani non avevano più denaro per comprarsi da mangiare, vendettero alla casa di Faraone, le loro terre, il loro bestiame e la loro stessa vita, per sopravvivere. Dato che la carestia non risparmiò il paese di Egitto, ma si estese anche in Canaan, paese dove abitava la famiglia di Giacobbe. Fu a causa della pesante carestia che c’era in Canaan, che i dieci figli di Giacobbe andarono in Egitto per comprare il grano.

I figli di Israele giunsero dunque per comprare del grano, in mezzo agli altri arrivati, perché nel paese di Canaan vi era la carestia.
Or Giuseppe era il governatore del paese; era lui che vendeva il grano a tutta la gente del paese; e i fratelli di Giuseppe vennero e si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra.
Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma si comportò come un forestiero con loro e usò parole dure con loro, e disse loro: Da dove venite? Essi risposero: Dal paese di Canaan per comprare viveri.
Così Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma essi non riconobbero lui
(Genesi 42:5-8).

Sembrerebbe strano che nel giro di più di venti anni, - tanti erano trascorsi a partire da quando Giuseppe aveva avuto in dono da suo padre, la “veste lunga” - che i fratelli di Giuseppe non lo riconoscessero più. Eppure questi uomini erano davanti a lui, senza che avessero la minima percezione che quel personaggio illustre ed importante, era proprio il loro fratello Giuseppe.

Se Giuseppe aveva avuto una veste lunga fino ai piedi, prima che fosse stato venduto agli Ismaeliti; la veste che attualmente indossa, non ha niente da paragonarla a quella, non tanto per la sua lunghezza quanto per la sua qualità. Pensando e credendo che questa persona che vende il grano, è un alto Ufficiale egiziano, i figli di Giacobbe non hanno nessuna esitazione a prostrarsi davanti a lui con la faccia a terra. Avrebbero fatto lo stesso, se avessero riconosciuto Giuseppe?

Lasciando da parte la risposta a questa domanda, pensiamo piuttosto a quello che il testo dice in seguito: Giuseppe allora si ricordò dei sogni (Genesi 42:9). Sicuramente fu in quel preciso momento che i suoi fratelli si prostrarono con la faccia a terra davanti a lui, come intravide nei sogni.
Sembra che non sia affatto vero che Giuseppe abbia dimenticato i suoi affanni, soprattutto nel modo di agire, quando classifica i suoi fratelli come spie, venuti appositamente per vedere i punti indifesi del paese (Genesi 42:12), e li tiene in prigione per tre giorni.

Tutto il rimanente del racconto, smentirà questa supposizione e rivelerà chiaramente perché Giuseppe agì in quel modo. Quando al terzo giorno i figli di Giacobbe vengono liberati dalla prigione, e viene trattenuto uno di loro, - (Simeone) - in attesa che venga condotto in Egitto il loro fratello minore - (Beniamino) -, il testo sacro precisa:

Allora si dicevano l’un l’altro: Noi siamo veramente colpevoli nei confronti di nostro fratello, perché vedemmo l’angoscia dell’anima sua quando egli ci supplicava, ma non gli demmo ascolto! Ecco perché ci è venuta addosso questa sventura.
Ruben rispose loro: Non ve lo dicevo io: Non commettete questo peccato contro il fanciullo? Ma voi non mi deste ascolto. Perciò ecco, ora ci si chiede conto del suo sangue.
Essi non sapevano che Giuseppe li capiva, perché fra lui e loro vi era un interprete. Allora egli si allontanò da: loro e pianse
(Genesi 42:21-24).

Quando Giuseppe si face conoscere dai suoi fratelli, leggiamo queste frasi:

* Si prostrarono davanti a lui con la accia a terra (Genesi 42:6);
* e si inchinarono fino a terra davanti a lui (Genesi 43:26);
* E si inchinarono per rendergli riverenza (Genesi 43:28);
* e si gettarono a terra: davanti a lui (Genesi 44:14).

Per ben dieci volte chiamarono Giuseppe “ signore “, e quando ritornarono con le “vesti stracciate” a seguito del ritrovamento della coppa d’argento nel sacco di Beniamino, Giuda, che si presenta per intercedere per la vita di suo fratello Beniamino, pronuncia le più terrificante parole che Giuseppe avesse mai potuto immaginare:

Giuda rispose: Che diremo al mio signore? Quali parole useremo, o come ci potremo giustificare? DIO ha ritrovato l’iniquità dei tuoi servi. Ecco, siamo schiavi del mio signore, tanto noi quanto colui in mano del quale è stata trovata la coppa (Genesi 44:16).

Quando poi Giuda finisce la sua lunga supplica a Giuseppe, perché lui resti in carcere e Beniamino se ne ritorni da suo padre Giacobbe, Giuseppe, non potendo più contenersi (Genesi 45:1), grida a voce forte: Fate uscire tutti dalla mia presenza! Non sapremmo che cosa avranno pensato e provato in quell’istante i figli di Giacobbe, ora che si trovano soli con Giuseppe.

Probabilmente sono con gli occhi rossi pieni di lagrime, e aspettano da un momento all’altro, la terrificante parola di condanna che Giuseppe pronunzierà. Forse sono col capo chino, con le mani in testa; non hanno il coraggio di guardare in faccia Giuseppe, perché consapevoli del loro reato, e perché soprattutto si rendono conto

che DIO ha ritrovato il loro peccato. Io sono Giuseppe; è mio padre ancora in vita? Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere perché erano sgomenti alla sua presenza.
Allora Giuseppe disse ai suoi fratelli: Deh, avvicinatevi a me! Quelli si avvicinarono, ed egli disse: Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse condotto in Egitto
(Genesi 45:3,4).

Non saprei dire esattamente quante volte, nel corso dei miei circa cinquanta anni di fede, ho letto la storia di Giuseppe. Non mi vergogno di affermare che non c’è stata una sola volta che leggendo questa storia, non abbia fatto ricorso al fazzoletto per asciugarmi le lagrime.

Posso capire perché in quel momento i fratelli di Giuseppe non potevano rispondere alla sua domanda. Probabilmente, per la troppa commozione, avranno avuto un nodo alla gola che non permetteva loro di parlare. Giuseppe, da persona intelligente, capisce lo stato d’animo dei suoi fratelli, perché anche lui in quel momento è commosso; con la differenza che lui riesce a parlare, mentre i suoi fratelli non possono parlare.

Non possono parlare, nella stessa maniera di venti anni addietro, quando non gli potevano parlare in modo amichevole, ma probabilmente perché si vergognano di tutto il male che gli hanno fatto. Giuseppe intuisce la situazione, e per, dimostrare a loro che DIO gli aveva fatto dimenticare tutti i suoi affanni, dice loro:

Ma ora non vi contristate e non vi dispiaccia di avermi venduto, perché io fossi condotto quaggiù, poiché DIO mi ha mandato davanti a voi per preservarvi la vita.
DIO mi ha mandato davanti a voi, perché sia conservato per voi, e per preservarvi la vita con una grande liberazione.
Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è DIO; egli mi ha stabilito come padre del Faraone, come signore di tutta la casa e governatore di tutto: il paese d’Egitto
(Genesi 45:5,7-8).

Dopo che Giuseppe finì di dare tutte le istruzioni ai suoi fratelli, riguardante Giacobbe loro padre, si legge:

Egli baciò pure tutti i suoi fratelli e pianse stretto a loro. Dopo questo, i suoi fratelli si misero: a parlare con lui (Genesi 45:15).

Si continuerà il prossimo giorno...