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Dopo che Giuseppe venne stabilito quale seconda persona del regno d’Egitto, Faraone lo chiamò Tsofnath-Paneah, egiz. significa: Abbondanza di vita, o abbondanza di cibo per il vivente (Genesi 41:45). Gli ebrei, basandosi sulla pronuncia del nome, dichiararono che significa “rivelatore di segreti”.

Da quando Giuseppe, all’età di diciassette anni ricevette in dono la “veste lunga” e poi fece i sogni che parlavano della sua grandezza, passarono esattamente tredici anni, dato che ora ne aveva trenta anni, allorché venne dichiarato seconda persona del regno. Se Giuseppe arrivò a questa grandezza, non lo fu certamente perché il padre, con il dono della “veste lunga”, sanciva questa meta.

Né si può fare riferimento all’”impertinente fratello minore coccolato dal padre e sfrontatamente insuperbito dai suoi sogni di grandezza”, perché quanto abbiamo detto fin qui, non ha niente che possa autorizzare a pensarla in questa maniera.

Sì, Giuseppe è diventato grande, pieno di gloria e di magnificenza, perché Dio lo ha voluto. I principi di Dio sono validi anche per i nostri tempi:

Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli v’innalzi al tempo opportuno. Perché Dio resiste ai superbi e dà grazia gli umili (1 Pietro 5:5,6).

6. I DUE FIGLI DI GIUSEPPE E IL LORO SIGNIFICATO

Oltre alla grandezza e alla gloria, Giuseppe ebbe come moglie, Asenath, figlia di Poteferah, dalla quale ebbe due figli. Se al primo venne dato il nome di Manasse, che significa: “Che fa dimenticare”, fu perché Giuseppe disse: DIO mi ha fatto dimenticare ogni mio affanno e tutta la casa di mio padre; e se il secondo fu chiamato Efraim, che significa: “Doppiamente fecondo”,

fu perché disse: DIO mi ha reso fruttifero nel paese della mia afflizione (Genesi 41:51,52).

Se all’inizio di questo capitolo, abbiamo affermato che nei significati dei due nomi dei figli di Giuseppe, c’è la descrizione di tutta la sua storia, davanti alla specificazione che appena abbiamo letto, non possiamo che ripetere la stessa cosa. La storia di Giuseppe, così come la presenta il libro della Genesi, è piena di affanni.

Si comincia con l’odio dei suoi fratelli, la loro invidia, il fatto che non gli possono parlare in modo amichevole, lo spogliano della sua veste lunga, lo gettano nel pozzo, lo vendono agli Ismaeliti per venti sicli d’argento, finisce in casa di Potifar come uno schiavo, viene accusato come uno che vuole violentare sua moglie, viene messo in prigione, e finisce col rimanere lì per due anni.

Più piena di affanni di così, la vita di una persona non può essere, specie quando si considera che Giuseppe non meritava tutto quello che subì a causa dei suoi fratelli.

Come avrebbe fatto quell’uomo a dimenticare i suoi affanni, se non fosse stato per l’intervento di Dio nella sua vita? Non è la sua abilità che viene messa in mostra, né la sua spiritualità, come si direbbe oggi; è DIO che gli ha fatto dimenticare ogni suo fanno e tutta la casa di suo padre.
Quest’ultima frase non bisogna intenderla come se Giuseppe avesse rinnegato la sua casa e si vergogni di aver fatto parte della discendenza di Giacobbe.

Giuseppe non ha voluto affermare che Dio gli aveva fatto dimenticare i suoi fratelli e suo padre, ma gli affanni della sua vita. I suoi sono sempre vivi e presenti nella sua mente e nel suo cuore. I fratelli e suo padre, anche se quest’ultimo, col dono della “veste lunga”, gli ha procurato l’odio e l’invidia, nondimeno sono nel suo cuore.

Da quando è intervenuto nella sua vita, Dio gli ha fatto passare via quei brutti ricordi, che sicuramente hanno tenuto per tanti anni in una morsa di dolore, la vita di questo splendido Giuseppe.

A questo punto credo che non si possa ignorare una delle grandi lezioni che ci viene offerta e che dobbiamo imparare. A parte che Dio è sempre lo stesso, anche se cambiano gli uomini, le situazioni, come Egli ha saputo intervenire nella vita di Giuseppe per fargli dimenticare i suoi affanni, così interverrà anche nella nostra per compiere un’opera che Lui solo sa compiere e può compiere.

Non si tratta qui di pensare agli affanni degli altri; si tratta invece di tenere presente ai nostri affanni. Ognuno di noi, nel corso nella propria vita, incontra immancabilmente tanti affanni: chi per una cosa e chi per un’altra. In questa maniera la vita si snoda facilmente in mezzo a tante avversità. Non sempre le avversità che incontriamo sono dovute alla nostra infedeltà.

Spesso la nostra indolenza; invece, è il risultato del risentimento e dell’invidia, da parte di persone che pur vivendo vicini a noi, si comportano come se vivessero lontani, come se non ci avessero mai conosciute, non ci fosse nessuna amicizia e come se non ci fosse il legame della fratellanza.
Dimenticare un’offesa ingiusta da un amico, un torto immeritato da un congiunto, un oltraggio e un danno, - sia materiale che morale -, da un fratello, - non tanto di quelli della stessa famiglia carnale quanto di quelli della stessa fede -, non è certo una cosa facile.

Quando però, Dio, compie una azione miracolosa nella vita dell’uomo, allora e soltanto allora, si ha tanta forza, tanto coraggio, e soprattutto tanto amore, per dimenticare tutto ciò che è stato causa di affanno e di dispiacere.

7. LA PROVA CHE GIUSEPPE AVEVA DIMENTICATO OGNI SUO AFFANNO

Giuseppe è ormai la seconda persona del regno di Egitto, ha tutto sotto di sé, nel senso che controlla ogni situazione della vita dell’intera nazione, è pieno di gloria e di grandezza, sa esattamente tutto quello che dovrà accadere nei primi sette anni, da quando è stato costituito viceré d’Egitto e sa anche che dopo i sette anni di straordinaria abbondanza, seguiranno sette anni di orribile carestia.

Ha inoltre una bella moglie dalla quale ha avuto due bei figli, e soprattutto ha un passato pieno di affanni, che per grazia di Dio, ha dimenticato.

Giuseppe non perde tempo, da quando è stato elevato alla massima dignità di seconda persona del regno, si mette subito al lavoro; predispone tutto in maniera che nei primi sette anni di abbondanza, si immagazzini tutto, per servire i sette anni di grande carestia.

In termini moderni si direbbe che ci fu in quel tempo, un vero e proprio boom edilizio, per i tanti lavori di costruzione, sia per ingrandire i granai esistenti come anche per edificarne altri.
Sicuramente non saranno mancate quelle persone che avranno detto: Da quando Faraone ha nominato Giuseppe come viceré di Egitto, non si sono mai visti tanti lavori come ora. Veramente Giuseppe è la persona che ci voleva, l’uomo ideale per tutta economia dell’Egitto. Col decreto che venne emanato,

di prelevare il quinto dei prodotti del paese di Egitto (Genesi 41:34), si ammassò tanto grano durante i sette anni di abbondanza, come la sabbia del mare, in così gran quantità, che si smise di tenere i conti perché era incalcolabile (Genesi 41:49).

Quando i sette anni di abbondanza che vi furono nel paese di Egitto, finirono,
e cominciarono a venire i sette anni di carestia, come Giuseppe aveva detto, ci fu carestia in tutti i paesi, ma in Egitto vi era del pane
(Genesi 41:53,54).

Si continuerà il prossimo giorno...