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Al disopra delle varie debolezze che una mamma potrebbe avere nei confronti dei propri figli, dando loro qualche consiglio e qualche ordine sbagliato, c’è sempre da mettere in risalto che ogni mamma - ad eccezione di qualcuna che va fuori dal seminato - pensano al bene dei loro figli.
Quando i figli arrivano all’età di maggiorenne, le mamme dovrebbero misurare le loro parole in materia di consigli e di ordini, e ricordarsi sempre che una pressione sulla loro vita, potrebbe significare indurli a fare scelte sbagliate, con conseguenze catastrofiche ed incalcolabili.

Rebecca, per usare la sua forza di persuasione nella vita di suo figlio Giacobbe, finì, non solo per causargli un grosso problema, ma anche fu responsabile dei tanti anni - venti per esattezza - di lontananza del figlio prediletto Giacobbe, dalla sua casa.

Tutto ciò che avvenne nella vita di Giacobbe, la sua partenza dalla casa i tanti peripezie che incontrò, fu la diretta conseguenza dei consigli e degli ordini che Rebecca, nonché la forza di persuasione che esercitò nella vita di suo figlio (Giacobbe).

Se abbiamo parlato un po’ della responsabilità di Rebecca, non l’abbiamo fatto per ignorare quella di Giacobbe. Infatti, qui di seguito, non solo cercheremo di esaminarla, per meglio valutare la responsabilità di quest’uomo, ma soprattutto la considereremo ai fini di fare una giusta applicazione per la nostra vita. Dopo che Giacobbe andò dal gregge per prendere due bei capretti, perché sua madre li preparasse nella maniera che piaceva a Isacco, e indossato i vestiti di Esaù suo fratello, si reca dal padre con la pietanza saporita in mano, e gli dice:

Padre mio! Isacco. Eccomi; Chi sei tu, figlio mio?
Allora Giacobbe dice a suo padre: Sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fato come tu mi hai detto
(Genesi 27:18-19).

Da questo momento in poi, non solo ha inizio ua serie di bugie, ma entra in piena fase quella che noi chiamiamo la “responsabilità di Giacobbe”. A questo punto si potrebbe domandare: Una piccola bugia, potrebbe rappresentare una seria minaccia per l’integrità di una persona?

Senza esitazione, rispondiamo, sì! Lo diciamo non solamente dal punto di vista di una coscienza cristiana, ma soprattutto in base al detto della Scrittura: Un abisso chiama un’altro abisso (Salmo 42:7). Così una bugia ne chiama un’altra, fino a tal punto da causare una vera valanga. Ecco la dimostrazione. Giacobbe non era Esaù, sia come persona e sia anche come carattere; ma in quel memorabile giorno, egli ha dovuto mentire a suo padre, che chiedeva: Chi sei tu, figlio mio?

Si potrebbe chiedere se Giacobbe era già preparato a queste specie di domande precise del padre. Non serve a niente supporre se il figlio era preparato come rispondere ad una eventuale domanda. Giacobbe non è un ragazzino, che può essere trascinato qua e la senza sapere quel che fa; è un uomo che ha più di quaranta anni, e in base alla sua età, è in piena responsabilità di quello che dice.

La bugia, era sua com’era anche la parola e la bocca dalla quale esce. In altre circostanze, Giacobbe, non avrebbe detto facilmente di essere Esaù, anche perché si rendeva bene conto che suo fratello, non aveva il suo stesso carattere, indipendentemente dal fatto che egli era “peloso”.

Ma in quel giorno, come se tutto andasse per il giusto verso, dichiarò per la prima volta di essere Esaù, e ciò davanti a suo padre. Questa sua prima bugia, lo indusse a dirne un’altra: Ho fatto come tu mi hai detto.

Anzitutto, Isacco, non aveva parlato a Giacobbe, ma a Esaù. Giacobbe non aveva ascoltato la voce del padre, aveva ascoltato invece quella della madre, che gli aveva fatto sapere quello che Isacco aveva detto ad Esaù. Ma qui, Giacobbe, non solo si camuffa per Esaù, ma si presenta addirittura come un figlio obbediente che fa esattamente quello che ha detto il padre.

Al vecchio e cieco padre, non sembra che tutto vada bene; abbia sentito che suo figlio Esaù - così credeva almeno lui - fosse già davanti a sé con un bel piatto saporito.

Figlio! Come hai fatto a trovarne così presto, figlio mio? Egli rispose: Perché l’Eterno, il tuo DIO, l’ha fatta venire a me (Genesi 27:20).

Quest’altra bugia che Giacobbe pronuncia - forse non si aspettava da suo padre una simile domanda -, non è solamente “un’altra bugia”, è quella che chiama in causa l’Eterno. Pronunciare il nome di Dio, per far credere che la bugia è verità, è estremamente dannoso per l’integrità dell’anima. Dio ordina al suo popolo di non usare il nome dell’Eterno invano, perché l’Eterno non lascerà impunito chi usa il suo nome invano (Esodo 20:7).

Da parte sua, Paolo, ammonisce:

Ritraggasi dall’iniquità chiunque nomina il nome del Signore (2 Timoteo 2:19).

A questo punto, Isacco, non potendo fare uso dei suoi occhi, perché cieco, per accertarsi se la persona che è davanti a sé è veramente suo figlio Esaù, dice:

Avvilasciati e lasci che ti palpi, figlio mio, per sapere se sei proprio mio figlio Esaù, o no.
Giacobbe dunque si avvicinò a Isacco suo padre; e, come questi lo ebbe palpato disse: la voce appartiene a Giacobbe, ma le mani di Esaù.
Così non lo riconobbe, perché le mani di lui erano pelose come le mani di Esaù suo fratello; e lo benedisse.
E disse: Sei tu veramente mio figlio Esaù? Egli rispose: Sì
(Genesi 27:21-24).

Davanti alla chiara manifestazione di incertezza che il vecchio padre manifesta, soprattutto quando dice: la voce appartiene a quella di Giacobbe, e poi quando chiede: - forse con un accento particolare – Sei tu veramente mio figlio Esaù? Giacobbe avrebbe dovuto tremare e fermarsi dal persistere nella menzogna. Ma ormai il cuore si è incallito, non avverte più i battiti sconvolti del cuore, e con ferma voce dice: . Qui termina la storia dei preparativi per la benedizione.

Davanti a questa storia di Giacobbe, che parla eloquentemente della tenace persistenza di dire menzogne, fino ad usare il nome dell’Eterno, non solo dovremmo seriamente riflettere, ma soprattutto tremare, perché se un uomo potè essere ingannato, non si pensi di poter ingannare Dio. Non vi ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà (Galati 6:7)

LA BENEDIZIONE DATA DA ISACCO A GIACOBBE E AD ESAÙ

Dopo la triste constatazione che abbiamo fatto della persistenza menzognera di Giacobbe, arriviamo al momento in cui questo uomo viene benedetto. La benedizione che egli riceve da Isacco, non è certamente il frutto dei suoi “meriti”, ma la manifestazione della “misericordia di Dio”. L’uomo non riceve mai dalla mano di Dio una qualsiasi benedizione, basandosi sopra i propri meriti, ma sempre sulla base della bontà di Dio. La Scrittura è chiara a questo proposito, quando afferma:

Si continuerà il prossimo giorno...
[Modificato da Domenico34 12/12/2010 12:55]