00 10/07/2010 15:07


INDICE DEL VOLUME

Introduzione..11
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Capitolo 1: VOCAZIONE DI GIONA. FUGA E PUNIZIONE DEL PROFETA..14
1.La vocazione di Giona..14
Il testo..14
La fuga di Giona..18
La punizione del profeta..21
Giona davanti alla tempesta..26
Riflessioni..27
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Capitolo 2: GIONA NEL VENTRE DI UN PESCE..30
Il testo..30
L’esperienza di Giona nel ventre del pesce..33
La preghiera di Giona..34
Riflessioni..38
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Capitolo 3: LA PREDICAZIONE DI GIONA A NINIVE..42
Il testo..42
Dio parla nuovamente a Giona..43
I Niniviti davanti al messaggio divino..45
1)I Niniviti credettero a Dio..45
2)I Niniviti proclamarono un digiuno..49
3)I Niniviti si vestirono di sacchi..52
4)Per ordine del re, tutti gli uomini dovevano gridare a Dio con forza..55
5)Ognuno doveva convertisi dalla sua malvagità..55
Riflessioni..57
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Capitolo 4: IRRITAZIONE DI GIONA; RIMPROVERI DEL SIGNORE..60
Il testo..60
La reazione negativa di Giona..61
Risposta alle domande formulate..63
La preghiera che Giona fece al Signore 65 Giona esce dalla città..66
Riflessioni..69
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Conclusione..72
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INTRODUZIONE

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Giona, uno dei dodici profeti minori, ha delle caratteristiche che lo distinguono dagli altri profeti, non solo tra quelli denominati “profeti minori”, ma anche dagli altri. Il nome di questo profeta è menzionato nella Bibbia 27 volte, 17 dei quali si trovano nel libro che porta il suo nome. Per quanto riguarda le occorrenze, sono così distribuite: una volta in (2 Re 14:25) e 9 volte nel Nuovo Testamento, precisamente 5 volte nel vangelo di Matteo e 4 volte in quello di Luca.
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«Nome personale ebr. che significa “colomba”. Profeta ebreo vissuto ai tempi del regno di Geroboamo II, nell’VIII sec. a.C. Era originario di Gat¬Efer, città nel territorio di Zabulon, situata nei pressi di Nazareth. Suo padre si chiamava Amittai (Il nome Amittai significa «[mio] veritiero»); cfr. John D. Hannah, Investigate le Scritture, Antico Testamento, pag. 1531). Predisse l’espansione territoriale d’Israele che fu poi attuata da Geroboamo a scapito della Siria (II Re 14:25). Lo stesso Giona è anche il protagonista del libro che porta il suo nome, il quinto dei dodici profeti minori. È un libro che differisce notevolmente dagli altri profeti dell’A.T. poiché ha uno stile quasi interamente narrativo e non contiene lunghi oracoli profetici» (D. F. Payne, in Dizionario Biblico GBU, pag. 709).
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Intorno al profeta Giona e al libro che porta il suo nome si son dette tante cose, sia per quanto riguarda il suo contenuto, sia per ciò che concerne la sua storicità. Quei critici che non sono tanto disposti ad accettare l’evento miracoloso hanno gettato ombre di scetticismo per il salvataggio di Giona nel ventre del pesce e per la pianta di ricino che è nata in una notte e in una notte è perita. Inoltre, per ciò che concerne il contenuto del libro, si è pensato a un'allegoria, o addirittura a una parabola. C’è stato anche scetticismo per lo stesso personaggio di Giona, come se si trattasse di una leggenda e non di una persona che visse in un preciso periodo storico. Se si pensa a Geroboamo II e al suo regno (793¬753 a. C), personaggio che non si può negare, storicamente parlando, non è possibile smentire neanche la storicità di Giona, dato che egli visse in quel periodo.
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Infine, come se non bastassero questi rilievi, quando si pensa alle affermazioni che Gesù fece di Giona, chiamandolo prima profeta, poi riferendosi ai tre giorni e alle tre notti che rimase nel ventre del pesce e la predicazione che fece a Ninive (Matteo 12:39¬41; Luca 11:32), non è possibile accettare quello che i critici hanno detto su Giona e il libro che porta il suo nome.
Il libro di Giona è formato di quattro capitoli, ognuno dei quali illustra le varie fasi della vita e del comportamento di questo profeta. Nel corso dell’esame che condurremo su questo personaggio, metteremo in evidenza le sue caratteristiche e, nello stesso tempo, cercheremo di capire le lezioni che possiamo imparare, seguendo lo svolgimento della sua storia, così come il libro lo presenta.
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La versione che adopereremo in questo nostro lavoro sarà quella della Nuova Riveduta e, quando crederemo opportuno rifarci ad altre traduzioni, non mancheremo di specificarle. Il migliore augurio che possiamo formulare è quello che tutti quelli che avranno tra le mani quest’opera facciano tesoro di quanto leggeranno; questa è la migliore ricompensa che ci attendiamo dal presente lavoro
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Niagara Falls, settembre 2008
Domenico Barbera
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VOCAZIONE DI GIONA. FUGA E PUNIZIONE DEL PROFETA

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1. La vocazione di Giona
Il testo
1 La parola del SIGNORE fu rivolta a Giona, figlio di Amittai, in questi termini: 2 «Alzati, va’ a Ninive, la gran città, e proclama contro di lei che la loro malvagità è salita fino a me». 3 Ma Giona si mise in viaggio per fuggire a Tarsis, lontano dalla presenza del SIGNORE. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis e, pagato il prezzo del suo viaggio, si imbarcò per andare con loro a Tarsis, lontano dalla presenza del SIGNORE (Giona 1:1¬3).
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Giona era un profeta del Signore. Secondo la prassi che vigeva in mezzo a Israele, quando GDio doveva rivolgere un messaggio a una nazione, un popolo o un individuo, di solito, lo faceva per mezzo di un suo profeta, persona scelta da Dio e autorizzata da Lui a svolgere questo compito. La frase iniziale: La parola del Signore fu rivolta a..., è quella che leggiamo continuamente negli scritti profetici dell’Antico Testamento. Il profeta, infatti, era lo strumento che generalmente Dio usava per comunicare all’uomo il Suo messaggio. Prima che il profeta si presentasse davanti al popolo per proclamare il messaggio divino, in sede privata, cioè tra lui e Dio, il Signore gli faceva conoscere quello che doveva dire. Questo avveniva di solito attraverso una visione o per mezzo di un sogno (Numeri 12:6). In certi casi particolari, il profeta conosceva il messaggio divino mentre guardava una scena di lavoro. È il classico esempio di Geremia che venne inviato dal Signore a recarsi in casa di un vasaio per osservare il suo lavoro.
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1 Ecco la parola che fu rivolta a Geremia da parte del SIGNORE: 2 «Alzati, scendi in casa del vasaio, e là ti farò udire le mie parole». 3 Allora io scesi in casa del vasaio, ed ecco egli stava lavorando alla ruota; 4 il vaso che faceva si guastò, come succede all’argilla in mano del vasaio; da capo ne fece un altro come a lui parve bene di farlo. 5 La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini: 6 «Casa d’Israele, non posso io far di voi quello che fa questo vasaio?» Dice il SIGNORE. «Ecco, quel che l’argilla è in mano al vasaio, voi lo siete in mano mia, casa d’Israele!(Geremia 18:1¬6).
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Tenuto conto che Giona era un profeta del Signore, il comando fu di recarsi nella città di Ninive per proclamare che la malvagità di quella popolazione era salita fino al cielo. Anche se in questo primo capitolo non è specificata la punizione che i Niniviti riceveranno a causa della loro malvagità, è però specificato in 3:4 Giona cominciò ad inoltrarsi nella città per una giornata di cammino e proclamava: «Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta!»
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Bisogna subito mettere in risalto che la parola del Signore indirizzata a Giona era nella forma imperativa: Alzati va’ a Ninive....I comandi del Signore, ben diversi da quelli dell’uomo, esigono prontezza e ubbidienza da chi li riceve. Se da parte dell’uomo non c’è prontezza e ubbidienza, il semplice ascoltare non ha nessun valore. È molto importante tenere presente quello che dice la Scrittura: Tu ci hai ordinato di osservare i tuoi comandamenti con cura (Salmo 119:4) [Nuova Diodati].
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Non solo Dio esige ubbidienza da parte dell’uomo quando Egli parla, questo lo fece anticamente per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato l’universo (Ebrei 1:1¬2), ma anche l’ubbidienza si misura dalla prontezza che il credente (in modo particolare) manifesta alla parola del Signore.
L’atteggiamento dell’uomo, dal punto di vista generale, di solito è di rimandare a un prossimo futuro, cioè a un tempo migliore. L’individuo trova sempre le giustificazioni ai suoi rimandi: al momento no, sono occupato, ho degli impegni improrogabili, più il là cercherò di rendermi disponibile e così via. Questo tipo di ragionamento che spesso si fa, anche se rientra nella logica dell’uomo, non torna, però, in quella di Dio. Quando Dio parla vuole essere ascoltato nello stesso momento che Egli rivolge la Sua parola e il prestare l’attenzione, dal punto di vista biblico, chiama in causa l’ubbidienza dell’essere umano. «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori, come nel giorno della ribellione» (Ebrei 3:15).
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L’oggi di Dio, generalmente, si manifesta per mezzo della parola scritta, cioè le Sacre Scritture, ovvero la Bibbia. Quando leggiamo la Sacra Scrittura, o la sentiamo attraverso la predicazione dei servi di Dio, dobbiamo accettarla per quello che essa ci comunica. Se viene rivolto un comando, non si deve pensare che sia l’uomo a volgerci quel messaggio, ma il Signore per mezzo della strumentalità umana; non resta altro da fare se non ubbidire, cioè metterlo in pratica. Si tenga presente, infine, che «Il SIGNORE gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’ubbidire alla sua voce? No, l’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni (1Samuele 15:22). È sorprendente come Giona, quale messaggero di Dio, invece di ubbidire al comando divino e recarsi a Ninive se ne fugge a Tarsis. Di tutti i profeti menzionati nell’A.T., Giona è l’unico a comportarsi in quel modo. Il motivo della sua fuga lo chiarisce lui stesso: Allora pregò e disse: «O SIGNORE, non era forse questo che io dicevo, mentre ero ancora nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis. Sapevo, infatti, che tu sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà e che ti penti del male minacciato (Giona 4:2).
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La fuga di Giona

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Non è solamente sorprendente la fuga di Giona, ma lo è anche la mancanza di pietà che questo profeta aveva nei confronti della popolazione di Ninive. Tutto questo era motivato dal fatto che Giona, consapevole della misericordia di Dio, credeva che Dio si sarebbe pentito del male minacciato e non avrebbe punito i niniviti. A che cosa pensava Giona quando ideò di fuggire in Tarsis lontano dalla presenza del Signore? Tenuto conto che tra Ninive e Tarsis c’era una certa distanza, Giona pensava che in quella località sarebbe stato lontano dalla presenza del Signore, cioè si sarebbe potuto sottrarre dall’essere controllato da Dio. Però, egli si sbagliava quando teneva presente la distanza e non considerava che Dio potesse trovarsi in qualsiasi luogo.
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Le distanze per Dio non esistono. Lo sono per noi esseri umani. Egli, infatti, non può essere racchiuso dentro certi confini, come se fosse un comune mortale che non è capace trovarsi in un determinato luogo per esercitare il controllo delle situazioni e delle persone. Per Dio non ci sono distanze che Egli non può raggiungere. Davide conosceva molto bene questa verità quando, in uno dei suoi Salmi, diceva:
7 Dove potrei andarmene lontano dal tuo spirito, dove fuggirò dalla tua presenza? 8 Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là. 9 Se prendo le ali dell’alba e vado ad abitare all’estremità del mare, 10 anche là mi condurrà la tua mano e mi afferrerà la tua destra. 11 Se dico: «Certo le tenebre mi nasconderanno e la luce diventerà notte intorno a me», 12 le tenebre stesse non possono nasconderti nulla e la notte per te è chiara come il giorno; le tenebre e la luce ti sono uguali (Salmo 139:7-12).
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La fuga di Giona non era solamente basata su un'errata convinzione, cioè che trovandosi lontano dalla presenza del Signore credeva di ritrovarsi al riparo, ovvero fuori del controllo divino; era anche un modo di evadere dalla sua responsabilità. Questa tragica constatazione si nota nella vita di tante persone, soprattutto in quelle che non riconoscono l’attributo dell’Onnipresenza di Dio. Infatti, se si terrà presente e si crede che Dio è onnipresente, cioè che si trova in ogni luogo, non è possibile pensare che possono esserci luoghi in cui Egli non sia presente. Purtroppo, con i loro atteggiamenti, una buona parte dell’umanità manifesta l’assurda convinzione che, per loro, Dio è lontano e non può vedere il loro male, la loro ribellione e la loro insubordinazione a ogni forma di buona etica.
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Viviamo in tempi in cui l’umanità vive come se Dio non esistesse, protesa verso il più sfrenato libertinaggio e intenta solamente ad appagare i più turpi desideri carnali. L’evasione dell’uomo si manifesta in tutti i settori della vita associata; non solo per ciò che riguarda il dovere di pagare le tasse, riguarda anche e soprattutto la legge divina che non viene solamente ignorata, ma anche calpestata e disprezzata. Con il pretesto di condurre la propria esistenza nella piena libertà, senza restrizioni di sorta, si condanna quella sana moralità e la si considera come un vero tabù che appartiene all’antica generazione e non è degna di stare al passo del progresso sociale. Spesso si ripete: non siamo nel medioevo, in cui l'oscurantismo imperava sovrano sulla coscienza degli uomini, privandoli della loro libertà e collegandoli in celle di schiavitù. Oggi viviamo in tempi moderni, grazie all’evoluzione, in cui certe muraglie di proibizionismo sono state abbattute. L’uomo di oggi, però, non è diverso da quello dell’antichità: ha la stessa natura, le stesse tendenze e le medesime inclinazioni alla dissoluzione, nelle svariate forme. Anche se nell’era moderna non c’è più l'oscurantismo dell’antichità, (visto che l’essere umano si è evoluto nella cultura, nella tecnica), nondimeno la tendenza al peccato, alla ribellione e al rifiuto dei sani principi di buona moralità sono rimasti, anzi si sono accentuati.
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L’uomo moderno vive in una continua fuga, pensando di sottrarsi al controllo divino, alla legge del Signore, ai sani insegnamenti divini dati per mezzo della Bibbia e all’interesse per le cose di Dio. In conclusione, quante sono quelle persone che sanno ripetere, perché lo credono fermamente: Dove potrei andarmene lontano dal tuo spirito, dove fuggirò dalla tua presenza? Pochi, rispetto alla massa!
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La punizione del profeta

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1 Il SIGNORE scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave era sul punto di sfasciarsi. 2 I marinai ebbero paura e invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono a mare il carico di bordo, per alleggerire la nave. Giona, invece, era sceso in fondo alla nave, si era coricato e dormiva profondamente. 6 Il capitano gli si avvicinò e gli disse: «Che fai qui? Dormi? Alzati, invoca il tuo dio! Forse egli si darà pensiero di noi e non periremo». 7 Poi si dissero l’un l’altro: «Venite, tiriamo a sorte e sapremo per causa di chi ci capita questa disgrazia». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. 8 Allora gli dissero: «Spiegaci dunque per causa di chi ci capita questa disgrazia! Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?» 9 Egli rispose loro: «Sono Ebreo e temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma». 10 Allora quegli uomini furono presi da grande spavento e gli domandarono: «Perché hai fatto questo?» Quegli uomini infatti sapevano che egli fuggiva lontano dalla presenza del SIGNORE, perché egli li aveva messi al corrente della cosa. 11 Poi gli dissero: «Che dobbiamo fare di te perché il mare si calmi per noi?» Il mare infatti si faceva sempre più tempestoso. 12 Egli rispose: «Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa gran tempesta vi piomba addosso per causa mia». 13 Tuttavia quegli uomini remavano con forza per raggiungere la riva; ma non riuscivano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso. 14 Allora gridarono al SIGNORE e dissero: «SIGNORE, non lasciarci perire per risparmiare la vita di quest’uomo e non accusarci del sangue innocente; poiché tu, SIGNORE, hai fatto come ti è piaciuto». 15 Poi presero Giona, lo gettarono in mare e la furia del mare si calmò. 16 Allora quegli uomini furono presi da un grande timore del SIGNORE; offrirono un sacrificio al SIGNORE e fecero dei voti (Giona 1:4-16).
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La decisione di Giona di fuggire lontano dalla presenza del Signore spinse il profeta a recarsi al porto di Iafo per imbarcarsi su una nave diretta a Tarsis. Per raggiungere la meta a cui mirava, Giona ha dovuto comprare il biglietto, salire sulla nave e sistemarsi in essa. Quanto tempo impiegò la nave per arrivare a Tarsis non ci viene detto. Sembra che Giona sia tranquillo, apparentemente. Il fatto, però, che egli se n’è andato nel fondo della nave a dormire, non solo ci suggerisce l’idea che, probabilmente, non voleva essere disturbato, ma ci rivela anche qualcosa che si nascondeva nell’interno del suo essere. Sappiamo, infatti, che se il profeta si trovava sopra quella nave era per il fatto che stava fuggendo dalla presenza del Signore. Prima che Giona scendesse nel fondo della nave per mettersi a dormire e prima ancora che si scatenasse la tempesta, quelli della nave sapevano perché Giona si trovava a bordo con loro.
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Quegli uomini, infatti, sapevano che egli fuggiva lontano dalla presenza del SIGNORE, perché egli li aveva messi al corrente della cosa (v. 10). Che distanza ha percorso la nave prima che arrivasse la tempesta non ci viene dato da sapere. Inoltre, dal racconto biblico non trapela nessuna informazione riguardante l’approssimarsi di una spaventevole bufera. Questo ci porta a credere che la tempesta sia arrivata all’improvviso, cioè senza che ci fossero stati segni di un preavviso, come di solito accade nel mare, all’arrivo di un temporale. Che il mare tempestoso non fosse un evento normale appare abbastanza chiaro dal racconto biblico. Si sa, infatti, che quella tempesta si levò perché il Signore scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave era sul punto di sfasciarsi (v. 4). Quella bufera non aveva lo scopo di fare affondare la nave con tutto il suo equipaggio. Dio non l’aveva permesso per causare una tragedia, ma solamente per punire Giona e fargli comprendere le conseguenze che si subiscono quando non si ubbidisce al Signore. Nell’era moderna, le persone del nostro tempo, attaccano violentemente l’atteggiamento di ubbidire a Dio e alla Sua Parola. Questo tipo di persone vorrebbero sradicare dalla coscienza cristiana il senso della sottomissione a Dio, giudicandola come un qualcosa d'ingannevole e di dannoso per il benessere della vita umana. Non si rendono conto, però, che il loro atteggiamento, oltre a essere un atto di aperta ribellione a Dio e alla Sua legge, non fanno altro di danneggiare la loro esistenza.
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Anche se buona parte dell’umanità non tiene presente del detto della Scrittura che recita: 1 Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. 2 Perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna (Galati 6:7-8), perché non ci credono, tuttavia, si verificherà esattamente quello che Dio dice, anche se l’uomo non ci presta fede.
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La vita umana può essere paragonata a una nave che si muove sulle acque di questo mondo, con una precisa destinazione: Lontano dalla presenza del Signore. Andare al fondo della nave e mettersi a dormire, pensando di dimenticare la nostra disubbidienza a Dio, è una pura illusione e un inganno di Satana. L’ostinazione e la caparbietà dell’essere umano a sottomettersi a Dio, ascoltandolo e ubbidendolo in tutto ciò che Egli dice, è il peggiore nemico dell’uomo, che lo condurrà inesorabilmente verso la rovina. Certo, Dio non vuole la morte dell’empio. Egli desidera che l’empio si ravveda e viva (Ezechiele 18:23; 33:11). Se le persone, davanti a certe particolari circostanze, non sanno riconoscere e apprezzare i richiami amorevoli divini al ravvedimento, non ci sarà nessuno che possa cambiare il corso della loro vita. Anche se si manifesta un'apparente tranquillità e si cerca di evadere davanti alla realtà, rimane sempre l’inquietudine interiore che non potrà mai essere eliminata o cancellata.
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Giona davanti alla tempesta

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Mentre Giona si trova a dormire nel fondo della nave, si leva una furiosa tempesta che minaccia seriamente la vita delle persone che si incontrano sulla nave. I marinai, non sapendo spiegarsi quell’evento inaspettato, intuiscono che tra quelli che si trovano a bordo qualcuno deve essere considerato il responsabile di quella spaventosa bufera. Ma chi sarà? Come si farà a individuare il colpevole? Quale metodo usare per scoprire la persona? Qualcuno suggerisce di tirare a sorte fra tutti quelli che si trovano sulla nave. La sorte indica Giona come il responsabile di quella tragica situazione. Probabilmente ci sarà stato grande stupore tra i presenti, perché forse nessuno avrà pensato a lui. Però, una volta che la sorte l’ha scelto, subito Giona viene interrogato e gli vengono poste quattro domande: Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni? (v.8).
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La risposta che seguì fu: «Sono Ebreo e temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma» (v.9). Anche se Giona si limitava a indicare il popolo cui apparteneva, cioè un Ebreo, il fatto, però, che egli aggiunse temo il Signore, Dio del cielo..., non solo procurò spavento ai suoi interlocutori, ma li spinse anche a domandare: «Perché hai fatto questo?» (v.10), visto che Giona aveva rivelato che stava fuggendo lontano dalla presenza del Signore.
A questa domanda Giona non risponde. Però, quando gli chiedono che cosa devono fare di lui perché il mare si calmi, risponde subito:
«Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si tranquillizzerà per voi; perché io so che questa gran tempesta vi piomba addosso per causa mia» (v.12). Il fatto che il testo precisi che quegli uomini remavano con forza per raggiungere la riva (v.13), ci fa pensare che volevano risparmiargli la vita. Però, tenuto conto che non riuscirono nel loro intento di approdare in terra ferma e siccome la tempesta si faceva sempre più minacciosa, presero Giona e lo gettarono in mare e la furia del mare si calmò (v.14).
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Riflessioni
A questo punto si impone fare qualche riflessione.

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1. Quelli che fuggono, lontani dalla presenza del Signore, presto o tardi saranno raggiunti in un modo che loro non se l’aspettano. Anche se si sistemano in luoghi solitari e si addormentano, pensando che tutto procede bene, ben presto saranno svegliati e messi davanti alle loro responsabilità. Non vale la pena seguire l’esempio di Giona!
2. Tirare a sorte, per conoscere un segreto o per individuare un colpevole, non si praticava solamente in mezzo a Israele. Gli scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento forniscono una chiara documentazione in merito. Questa pratica era anche conosciuta tra i pagani, dimostrata dal fatto che quelli che tirarono la sorte sulla nave non erano Ebrei.
3. Chi pensa di sfuggire al controllo divino ben presto dovrà ricredersi, soprattutto quando i segreti saranno palesati. Questo, naturalmente, non accadrà solamente nel giorno della resa dei conti, cioè nell’aldilà, vale a dire dopo la morte, ma si verifica anche mentre si vive sulla terra. Nascondersi, pensando che neanche Dio ci vede, sarà la più triste e amara esperienza che si potrà fare. Non vale la pena seguire l’esempio di Giona!
4. A che vale dichiarare di essere un Ebreo, un cristiano e di temere il Signore, quando la condotta non corrisponde con la confessione che si fa? Il cristiano non si conosce come tale dalle belle parole che pronuncia, come quelle di Signore, Signore (Matteo 7:22) o da certi distintivi che porta, ma dal modo con cui agisce in mezzo alla società. Il cristiano potrà essere una vera, luce in questo mondo intenebrato, se vivrà in obbedienza alla Parola del Signore e alla Sua volontà.
5. Riconoscere i propri sbagli e non avere vergogna di confessarli è la dimostrazione più tangibile di un vero pentimento. Anche se sarà innegabile raccogliere il frutto di quello che si sarà seminato, con il ravvedimento, si avrà la certezza di essere perdonati da parte di Dio.
[Modificato da Info. 10/07/2010 16:07]