Una simile precisazione, non lascia spazi a nessuna alternativa: se si perdona, si riceve il perdono; se non si perdona, non si ottiene il perdono. Davanti a una precisione dogmatica di questo genere, non solo non esistono diverse soluzioni, ma lo stesso futuro, cioè l’eternità, è subordinata alla scelta che si farà. Che il testo suesposto riguardi l’eternità, e non miri solamente al tempo della dimora sulla terra, non c’è nessun dubbio. Inoltre, i due testi di Matteo, fanno chiaramente riferimento a due diverse realtà: una riguarda “gli uomini”, e l’altra “i fratelli”. Il perdono di cui si parla, non è diverso nella sua struttura, sia che riguardi il primo caso, come anche il secondo; sono diversi i soggetti a cui è destinato.
Per gli “uomini”, Gesù si riferiva, senza dubbio, a tutte quelle persone che sono al di fuori del cerchio dei Suoi seguaci, cioè che non appartengono ai credenti, cioè che non sono membri della famiglia di Dio. In termini moderni si direbbe: tutti quelli che non sono convertiti. Il riferimento al perdono, si trova alla fine della preghiera che Gesù insegnò ai Suoi discepoli, cioè il “Padre nostro”. Tenuto conto che in questa preghiera, il credente chiede al Padre celeste il perdono dei propri debiti, cioè dei propri peccati, come anche lui perdona ai propri debitori, era l’occasione propizia per insegnare la verità riguardante il perdono, dal punto di vista pratico. Infatti, una cosa è pregare che i peccati, o come precisa il testo “le offese”, (N. Diodati) siano perdonate, e ben altro è che l’orante perdoni le offese degli uomini.
Nel caso specifico, sono gli “uomini” che hanno recato offese al credente, e non il fedele agli uomini. Visto che il credente ha ricevuto questo torto, (prima della conversione, o dopo?), deve essere lo stesso a perdonare. Se per “uomini”, Gesù intendeva parlare degli inconvertiti (e non vediamo come possa avere un diverso significato), l’iniziativa di perdonare, non poteva essere affidata a quest’ultimi, in quanto gli inconvertiti, non hanno quella sensibilità che deriva loro dalla conoscenza della verità, mentre il credente la possiede, di conseguenza deve essere lui a fare il passo, e dimostrare all’inconvertito, dal punto di vista pratico, la differenza che c’è tra chi conosce la verità e chi l’ignora.
Notate che Gesù non dà un comando al suo discepolo; si limita a consigliarlo. Però, nell’eventualità che il discepolo respinga la Sua parola, deve prendere atto che, a sua volta, lo stesso Padre celeste, al qual è stata avanzata la richiesta di perdonare il proprio debito = peccato, sarà Colui che non concederà il perdono al richiedente. Come si può notare, non è una cosa di poca importanza, ma riveste una tale portata, che tocca da vicino l’eternità, cioè il destino per la vita d’oltretomba.
L’altro caso invece, riguarda i “fratelli”, cioè i credenti della stessa fede. Qui il discorso è tutto diverso, rispetto al precedente caso, per il semplice fatto che si tratta di pensare a persone della stessa fede. Trattandosi di fratelli in fede, (non necessariamente della stessa chiesa o comunità), si possono applicare le parole di Paolo:
Siate benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo (Efesini 4:32).
Infatti, il credente sà, per propria esperienza, che il perdono che Dio gli ha concesso, gli è stato accordato in Cristo, cioè per i Suoi meriti. Di conseguenza, non può pensare che si tratti di un atto meritorio, ma unicamente per la grazia divina. E, visto che si tratta di un atto della misericordia di Dio, il credente deve tenere presente che la stessa bontà che il Signore ha avuto per lui, lui deve usarla nei confronti degli altri. A questo punto, la parabola del creditore spietato, secondo il testo dell’evangelista Matteo, si adatta benissimo, per farci comprendere il comportamento che deve tenere chi è stato beneficato dalla bontà del Signore.
«Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello;
ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni.
Se rifiuta d’ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d’ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano.
Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo.
E in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli.
Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Allora Pietro si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?»
E Gesù a lui: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Perciò il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi.
Avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti.
E poiché quello non aveva i mezzi per pagare, il suo signore comandò che fosse venduto lui con la moglie e i figli e tutto quanto aveva, e che il debito fosse pagato.
Perciò il servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: "Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto".
Il signore di quel servo, mosso a compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Ma quel servo, uscito, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari; e, afferratolo, lo strangolava, dicendo: "Paga quello che devi!"
Perciò il conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me, e ti pagherò".
Si continuerà il prossimo giorno…