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«L’anno di primavera si è naturalmente mantenuto quando i nomi babilonesi dei mesi hanno sostituito i numeri ordinali. Un solo passo fa difficoltà. Secondo Nehemia 1:1 e 2:1, il mese di Kisleu e il mese seguente di Nisan sarebbero caduti nello stesso ventesimo anno di Artaserse e questo indicherebbe un anno d’autunno. Ma è inverosimile che Nehemia, che viveva alla corte di Persia, dove si seguiva il calendario babilonese, e che si serviva dei nomi babilonesi dei mesi, non abbia pure seguito, per l’anno, il computo ufficiale. D’altra parte il testo ebraico di Nehemia 1:1 porta solo «il ventesimo anno» senza il nome del re regnante, particolare molto strano. Il testo deve essere guasto e la cosa più verosimile è che non ha contenuto originariamente, o che abbia perduto accidentalmente, la menzione dell’anno, la quale in seguito è stata meccanicamente supplita secondo Nehemia 2:1: si tratterebbe, infatti, del diciannovesimo anno di Artaserse. Si è anche voluto ritrovare un anno d’autunno in un papiro di Elefantina, ma la data è chiaramente falsa» [Cfr. R. De Vaux, O. P. Le Istituzioni dell’Antico Testamento, pag. 199. Anche A. E. Cundall, Commentario Biblico, vol. I, pag. 497, dice quasi lo stesso, quando scrive: «V’è tuttavia l’errore di un copista o qui o in 2:1, dove la data è Nisan, il primo del mese. Probabilmente in 1:1 si deve leggere «dell’anno diciannovesimo»].

Se si accetta l’argomentazione dei due studiosi che abbiamo appena citato, lo spazio di tempo che intercorse tra le notizie ricevute e il permesso di andare a Gerusalemme fu di quattro mesi. Durante questo periodo, si aprì una nuova era nella vita di questo grande e zelante servitore di Dio, che in un certo senso trasformerà la sua stessa esistenza e la storia del popolo d’Israele. Però, durante l'attesa di quest'evento, Nehemia rimane ancora alla corte reale a porgere il vino al re Artaserse.

Il testo Sacro precisa che Nehemia, non era mai stato triste nella presenza del re; ma nel mese di Nisan, contrariamente a quella che era la normale regola per tutte le persone che servivano alla corte reale (poiché non era consentito di tenere un aspetto triste davanti al re, pena di essere punito anche con la morte), l’afflizione che aveva riempito il cuore di quest'uomo, nei mesi precedenti, non poté più mantenersi nascosta; si manifestò palesemente, attraverso l’aspetto triste, tanto che il re poté affermare che non si trattava di un male fisico, dato che Nehemia non era malato, ma certamente di un’afflizione del cuore. Davanti a questa precisa affermazione, appare più che giustificata la grandissima paura da cui Nehemia fu preso, pensando soprattutto alle norme severe che vigevano alla corte Persiana per ciò che riguardava il personale di servizio.

2. L’intervento di Artaserse nei confronti di Nehemia


Rendendosi conto che il re Artaserse avesse parlato seriamente, data la precisa domanda che gli venne rivolta, era necessario che Nehemia desse una altrettanto precisa risposta. Il testo dice:

... «Viva il re per sempre! Come potrebbe il mio volto non essere triste quando la città dove sono i sepolcri dei miei padri è distrutta e le sue porte sono consumate dal fuoco?» (2:3).

Con ogni probabilità, Nehemia, non si aspettava che proprio in quel giorno, seduta stante, il re, senza tener conto del regolamento severo che vigeva alla corte reale circa il personale di servizio, dovesse mostrarsi così benigno nei confronti del suo coppiere da chiedergli: Che cosa chiedi? La preghiera che Nehemia fece all’IDDIO del cielo, immediatamente, dimostra che non si aspettava una simile parola da parte del re e che la stessa richiesta non era preparata. Eppure Nehemia aveva pregato a lungo con lacrime e digiuni durante i quattro mesi che erano trascorsi da quando seppe che il suo popolo si trovava in gran miseria e la città di Gerusalemme devastata.

Ma nella richiesta del re: Che cosa domandi?, Nehemia intuisce che è il momento favorevole per capire quello che aveva progettato per il suo popolo e per Gerusalemme. Anche se il testo Sacro precisa che Nehemia prima di fare la sua richiesta al re pregherà l’Iddio del cielo, non per questo si deve pensare che egli si sia messo in ginocchio ed abbia elevato una preghiera a Dio a mani alzate. Sicuramente la preghiera che Nehemia fece nel suo cuore fu cortissima anche se le parole che avrà detto al Signore, non ci sono note. Ma è certo però che in quel momento, Nehemia ha compreso che le sue preghiere fatte al Signore in precedenza in favore del suo popolo e di Gerusalemme erano state esaudite e che la richiesta che si apprestava a formulare al re, per andare a Gerusalemme, era una chiara prova che il tempo era arrivato.

Dobbiamo imparare anche noi a rivolgerci al Signore prima di intraprendere una qualsiasi cosa, perché Egli possa guidare la nostra vita nei Suoi sentieri e condurla secondo il piano della Sua volontà.

...Se questo piace al re e il suo servo ha trovato favore agli occhi tuoi, lasciami andare in Giudea, nella città dei sepolcri dei miei padri, perché possa ricostruirla (2:5).

Con il permesso che ottiene da Artaserse e tutte le necessarie autorizzazioni, Nehemia, nel giro di poco tempo si trova a Gerusalemme.

Quando però Sanballat, l'Horonita, e Tobiah, il servo ammonita, vennero a saperlo, furono grandemente turbati, perché era giunto un uomo che cercava il bene dei figli d’Israele (2:10).

Quando ci sono persone che hanno in cuore dei buoni propositi e cercano il bene per gli altri, i nemici del popolo di Dio vengono grandemente turbati. Tutte le buone azioni tendenti a liberare qualcuno dalla miseria, a risollevare qualche problema, ad infondere sicurezza allo smarrito e speranza di vita al moribondo, tutte queste azioni hanno sempre infastidito Satana e tutti i suoi alleati.

Si continuerà il prossimo giorno...