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Mettendo in risalto che egli non sapesse che in quel luogo c’era con ‘certezza’ Dio, con il nome di Behetl, il patriarca in pratica sigillava la sua convinzione della reale presenza di Dio in quella località. Infatti, parlare di una casa senza fare riferimento a chi l’abita, oltre a non avere senso, non ha nessuna importanza; mentre se si fornisce il nome di chi vi dimora, il luogo in se stesso si guarda sotto un altro aspetto. Col chiamare quel luogo: Bethel = Casa di Dio, Giacobbe ha voluto dire a sé e a chi verrà in seguito, (i cristiani in un modo particolare) che quando si arriva a Bethel, non si arriva in una qualsiasi località; si arriva nella casa di Dio, dove Egli si trova.

Sotto l’aspetto puramente spirituale, è impossibile che un credente resti indifferente o non avverta la presenza del soprannaturale, là dove c’è Dio e la sua casa. Nella casa di Dio, non c’è solamente la convinzione della Sua presenza, c’è anche la consapevolezza che quel luogo è anche la porta del cielo. Con questi rilievi, si possono meglio capire e valutare le parole di Gesù. Egli un giorno affermò che se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo (Giovanni 11:9). Paolo, da parte sua dice che, i credenti sono figli della luce e figli del giorno (1Tessalonicesi 5:5).

Siccome il sole fu creato da Dio non solo per recare luce sulla terra, ma anche per il governo del giorno (Salmo 136:8), e dato che Gesù si definì luce del mondo (Giovanni 8:12), ed esorta le persone a camminare mentre hanno con loro la luce (Giovanni 12:35), i figli di Dio, faranno bene ad imparare da Giacobbe, a fermarsi al calare dell’oscurità, e riprendere il loro viaggio, quando il sole divino, Gesù Cristo, ritornerà a risplendere sul loro sentiero.

Anche se Giacobbe nella sua prima giornata di cammino, era sicuramente stanco, per le quaranta miglia che aveva percorso, la fermata a Bethel, = Casa di Dio, gli serviva per riposarsi e smaltire la stanchezza, in modo che al sorgere di un nuovo giorno, potesse proseguire nel suo viaggio. Le fermate che si compiono nella casa di Dio, sono salutari per l’anima e per il corpo; e, ognuno, ne trarrà sicuramente beneficio.

Una notte a Bethel


Allora prese una delle pietre del luogo, la pose sotto la sua testa e in quel luogo si coricò.

Passare una notte per dormire e riposare nella condizione in cui venne a trovarsi Giacobbe, dopo la fatica di una giornata di cammino, non fu sicuramente una delle migliori notti della sua vita, dal punto di vista umano. Avere poi per cuscino una pietra e per materasso un suolo duro, quale era il terreno, questi non erano sicuramente elementi che favorivano un dolce sonno e una notte di riposo. Eppure, fu in quella condizione che Giacobbe, passò una notte memorabile, per il sogno che fece e per quello che gli venne detto da parte di Dio, che senza dubbio, ha lasciato segni indelebili nella sua vita.

Che cos’altro potrebbe significare quella pietra, se non Gesù Cristo stesso, sul quale i cristiani pellegrini devono posare la loro testa, durante la notte della vita umana? Avendo Gesù come nostro guanciale di riposo, specie se si tengono presenti le sue parole.

Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo (Matteo 11:28),

le varie situazioni della vita, anche quelle meno desiderabili, appariranno meno fastidiose, perché sarà in mezzo a quelle circostanze che il divino avrà il sopravvento, a tutto beneficio della persona che riposa in Gesù.

Quella ‘scala’ che appoggiata sulla terra, e la cui cima toccava il cielo, è un mezzo di collegamento tra la terra e il cielo. Sappiamo che l’unico mezzo che collega la terra e il cielo, tra il divino e l’umano, è solamente Cristo Gesù, il mediatore tra Dio e gli uomini (1 Tim 2:5). Egli stesso un giorno fornì quest'interpretazione quando parlando con Natanaele, affermò:

«In verità, in verità io vi dico che da ora in poi vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Giovanni 1:51).

Gesù non è solamente il mezzo attraverso il cui dobbiamo essere salvati (Atti 4:12); la ‘porta del cielo’, attraverso la quale si va al Padre (Giovanni 14:6), ma è anche Colui che ci ha aperto il cielo. Se Gesù non fosse venuto sulla terra e non avesse dato la sua vita sulla croce del Calvario, il cielo, per l’uomo peccatore, sarebbe rimasto sempre chiuso, senza nessuna possibilità di accesso. Ma una volta che Egli è venuto e ha compiuto l’opera di redenzione per tutta l’umanità, a mezzo del sacrificio della vita, il cielo si è aperto e aperto per tutti, a condizione che ognuno creda in Cristo Gesù e accetti per fede, quello che Egli ha fatto per l’uomo.

Le promesse divine

Tutte le promesse che sono nella Bibbia, non sono fatte mai per Dio, ma sempre per l’uomo. Che poi l’uomo le creda o no per riceverle, ciò dipenderà esclusivamente da lui e non dalla disponibilità di Dio. Tra le promesse divine, vi sono quelle che riguardano la vita umana, quella materiale che si vive sulla terra e quelle celesti che riguardano la vita dello spirito e l’eternità nella gloria. Tra le promesse materiali, vi sono quelle che riguardano esclusivamente Israele e nessun altro le può reclamare. La promessa che Dio fece a Giacobbe di dare la terra sulla quale era coricato, a lui e alla sua discendenza, oltre ad essere una promessa personale, era anche un giuramento materiale, cioè parlava della terra fisica.

Si Continuerà il prossimo giorno...