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Domenico34 – I segni che accompagneranno coloro che avranno creduto

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2011 00:06
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24/09/2011 00:16

Che lo stesso H. Lindsey non condivide l'interpretazione di «questi molti studiosi della Bibbia» (a titolo di curiosità vorremmo conoscere i loro nomi, è provato da quanto egli afferma.

«Per ammissione di molti, questo è un brano della Scrittura difficile, ma io sono portato a credere che la «perfezione»

si riferisce ad una condizione che sarà vera quando Cristo tornerà per la Chiesa e ci darà dei corpi glorificati come il suo». Leon Morris, a sua volta afferma: «La perfezione, to telaio, dà l'idea dello scopo ultimo, evidentemente con riferimento al piano di Dio. Quando sarà giunta la fine, tutto ciò che è parziale sarà abolito» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 221]. Anche per N. Hillyer, il testo di 1 Corinzi 13.10 va interpretato: «Quando la perfezione sarà venuta: non la perfezione in senso qualitativo, ma nel senso di completezza, cioè la piena conoscenza di Dio» [N. Hillyer, Commentario Biblico, III, pag. 372].

Anche se non avessimo autori che dissentono, l'esegesi di quegli studiosi che interpretano il testo di 1 Corinzi 13:10 nel senso dell'epoca in cui è stato completato il Canone del N.T., c'induce a condurre un esame critico del testo, per vedere se Paolo avesse mai avuto nella sua mente una simile interpretazione, o se questa interpretazione è capace di superare la prova. Anche se il termine teleios come abbiamo riferito, ha in primo luogo il significato di «Finito, completo, compiuto», a cui sicuramente gli studiosi in questione si sono aggrappati, non vediamo come si possa armonizzare col verbo venire: elthē, che Paolo adopera prima di to teleion.

Che il verbo venire erxomai, viene ampiamente usato nel N.T. con riferimento ad una persona, ad un evento partiare e a giorni decisivi, mentre la forma elthē, presso gli antichi, s'impiegava per la venuta del dio [J. Schneider, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. III, 913-937], tutto questo è largamente documentato. Se Paolo avesse avuto nella sua mente «l'epoca in cui è stato completato il Canone del N.T.», in questo testo di (1 Corinzi 13:10), certamente non avrebbe usato il verbo venire elthé, che non s'addice per quanto riguarda il completamento del Canone del N.T. Tutto invece è normale, se con il termine teleios, s'intende «una condizione», o il completamento della salvezza, che chiuderà il ciclo della venuta del Signore.

È a quel tempo che Paolo allude in 1 Corinzi 13:10, e sa che è in quel tempo, che la profezia, la conoscenza e il parlare in lingue, non avranno nessun motivo di esistere, quindi cesseranno nel loro normale esercizio di manifestazione dello Spirito. Ma in attesa di questo straordinario avvenimento, non c'è nessuna ragione plausibile, perché i doni dello Spirito debbano essere annullati anticipatamente, e non servano più per il benessere lettivo.

Doni e ministeri nella Chiesa

Abbiamo rilevato che i doni dello Spirito, non vengono dati per il bene di chi li riceve, ma per il bene comune. La Chiesa, che è il corpo di Cristo, viene edificata, non solo direttamente dal suo fondatore, Gesù Cristo, ma anche per mezzo dei doni dello Spirito. Per dissipare ogni ombra d'incertezza, circa la funzione e l'utilità dei doni e dei ministeri, Paolo afferma che

Dio ha costituito nella Chiesa (o come altri traduce: Dio ha posto nella Chies in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come dottori (o maestri (1 Corinzi 12:28).

Apostoli, profeti e dottori, fanno parte dei ministeri che Paolo menziona in (Efesini 4:11). Se questi ministeri Dio li ha posti nella Chiesa (e qui Chiesa, non ha il senso di una Comunità locale, come si potrebbe pensare, per Esodo alla chiesa di Corinto), ma l'insieme della cristianità, la totalità di ogni singola Comunità. È impossibile restringer il valore e la dimensione della Chiesa, al solo periodo apostolico. Il tempo della Chiesa, non abbraccia solamente l'era apostolica, si estende fino alla parusia, trattandosi della stessa Chiesa nella quale Dio ha posto i ministeri.

Non vediamo, d'altra parte, come l'affermazione paolina, può intendersi in maniera diversa. Nello stesso testo di 1 Corinzi 12:28, Paolo precisa,
Poi i miracoli; poi i doni di guarigione, i doni di governo, la diversità delle lingue.

In questa seconda parte del testo, vengono nominati tre doni dello Spirito, secondo 1 Corinzi 12:8-10 e due, secondo (Romani 12:6-8). La diversità delle lingue, o il parlare in lingue, Dio li ha costituito o posto nella Chiesa, al pari dell'apostolo, del profeta, dell'insegnante, delle potenti operazioni, delle guarigioni, ecc. senza il minimo accenno, al cosiddetto «tempo apostolico». Se il problema del parlare in lingue si affronta nella maniera come l'apostolo Paolo l'ha esposto, cioè inteso come manifestazione dello Spirito per il bene comune e posto da Dio stesso nella Chiesa, non si può arrivare alla conclusione che la glossolalia fu solamente per la sola epoca apostolica, e che ai giorni nostri è impensabile una continuazione delle stesse manifestazioni.

Quando poi si passa ad esaminare le sette domande formulate nel testo di 1 Corinzi 12:29,30, e tenendo presente la validità dei doni e dei ministeri posti da Dio nella Chiesa, non si può desumere che sol perché l'apostolo Paolo dice che non tutti parlano le lingue, che il fenomeno estatico della glossolalia, debba essere considerato annullato, non avendo niente di utilità ai nostri giorni. Una volta che il testo di 1 Corinzi 13:10, usato per provare la cessazione del parlare in lingue, ha un diverso significato di come è stato interpretato, ogni argomentazione che si è fatta per sostenere quella prova, si trova priva di fondamento, basata su un'errata interpretazione, priva di un qualsiasi legame esegetico e storico, solo per sostenere un punto di vista che non ha niente di scritturale e di teologico.

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25/09/2011 00:29

Un necessario chiarimento

Da quello che leggiamo nel libro di H. Lindsey, di cui abbiamo fatto qualche riferimento, ci sembra che sia necessario un chiarimento per mettere nel giusto posto, “il dono dello Spirito, di cui Atti 2:38, promessa estesa a
quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà (v. 39), e i doni dello Spirito, dati dallo stesso Spirito Santo a ciascuno in partiare come egli vuole (1 Corinzi 12:11).

Se non si fa questa netta distinzione, come la Parola di Dio lo fa, si fa presto, non solo ad alimentare confusione, ma anche ad emettere giudizi di condanna, tacciando facilmente di non prendere le Scritture come base delle nostre convinzioni.

Quando Gesù ordinò ai suoi apostoli di non andare via da Gerusalemme finché dall'alto siate rivestiti di potenza, in attesa dell'adempimento della promessa del Padre (Luca 24:49; Giovanni 14:26; Atti 1:4), in quella circostanza venne fatta una specificazione:

Poiché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra non molti giorni (Atti 1:5).

Al v. 8 si precisa:
Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

Che lo Spirito Santo non è ancora venuto sugli apostoli, è cosa provata dalle stesse parole di Gesù:
Egli v'è utile che io me ne vada; poiché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò (Giovanni 16:7),

e dalla parola di Pietro:
Egli dunque, essendo stato esaltato alla destra di Dio, ed avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete ed udite (Atti 2:33).

Nel giorno della Pentecoste, i 120 ricevettero quello che Gesù aveva promesso, cioè lo Spirito Santo. Che poi Pietro definisca «dono» lo Spirito Santo, ciò è con riferimento al fatto del libero donare del Padre e del Figliolo. Se lo Spirito Santo venne nel giorno di Pentecoste su oro che l'aspettavano, fu perché il Padre e il Figlio lo mandò. Gesù non fece la promessa agli apostoli che avrebbero ricevuto i doni dello Spirito Santo, perché sapeva che una volta venuto lo Spirito Santo, Egli stesso avrebbe pensato a darli. Nel giorno di Pentecoste, la promessa che venne fatta fu:

Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo.

Pietro non affermò che tutti quelli che Dio avrebbe chiamato, avrebbero ricevuto i doni dello Spirito ma specificatamente il dono dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è dato al credente dal Padre e dal Figliolo; mentre i doni dello Spirito, sono dati esclusivamente dallo Spirito Santo.

Quando si afferma che «il dono del parlare in lingue è riportato per la prima volta nel libro degli Atti», si vuole chiaramente affermare che nel giorno della Pentecoste, i 120 radunati nell'alto solaio, ricevettero, non il dono dello Spirito, ma il «dono del parlare in lingue». Questo perché in quel giorno ha avuto inizio il fenomeno estatico della glossolalia, ha seguito della venuta dello Spirito Santo. Che nel giorno della Pentecoste abbia avuto inizio il parlare in lingue, non vuol dire affatto che i 120 che parlarono in lingue ricevettero dallo Spirito il «dono del parlare in lingue».

Il parlare in lingue nel giorno della Pentecoste stava ad indicare che lo Spirito Santo promesso era venuto. Sia la profezia di Gioele e sia la promessa di Gesù, non affermavano che quando fosse venuto lo Spirito Santo, ci sarebbe stato questo segno visibile del parlare in lingue, come prova della venuta dello Spirito Santo promesso. Nonostante ciò, Pietro non ebbe nessuna diffità ad affermare che quello che si vedeva e si udiva in quel giorno, era esattamente quello che il profeta Gioele aveva predetto (Gioele 2:28﷓32; Atti 2:16) e che la promessa di Gesù si era adempiuta (Atti 2:33). Se il parlare in lingue nel giorno della Pentecoste, dice chiaramente che lo Spirito Santo era venuto e che in occasione di quella divina venuta, si ebbe quel fenomeno di parlare in lingue, questa manifestazione deve essere essenzialmente intesa come prova visibile dell'adempimento profetico e della promessa di Gesù.

Che le lingue parlate nel giorno della Pentecoste furono secondo come lo Spirito dava loro d'esprimersi (Atti 2: 4), cioè che era lo Spirito che li faceva parlare in quella maniera, ciò è chiaramente detto. Non è però chiaramente detto (può darsi che si verificò in seguito), che in quel giorno, lo Spirito Santo ha dato anche il «dono del parlare in lingue».

È forse un puro caso che la venuta dello Spirito Santo è stata manifestata parlare in lingue? Perché Dio scelse questo modo e questa manifestazione, al sorgere di questo straordinario evento? Il parlare in lingue come prova della venuta dello Spirito Santo, fu soltanto un caso isolato, limitatamente il giorno della Pentecoste, oppure continuò con la medesima manifestazione? Quale fu il criterio degli apostoli per stabilire se un credente avesse ricevuto lo Spirito Santo?

In tutti i casi che il N.T. registra, cioè che lo Spirito Santo è stato sparso, (Atti 2:33), ricevuto (Atti 8:17), caduto (Atti 10:44) e sceso (Atti 11:15; 19:6), si tratta sempre di ricevere lo Spirito Santo. In nessuno di questi passi citati si parla, nè implicitamente, né esplicitamente, che quei credenti avessero ricevuto il «dono del parlare in lingue», sol perché parlarono le lingue (quasi per tutti è detto specificatamente, tranne per (Atti 8:17 e 9:17), ma chiaramente è detto per tutti, compreso (Atti 8:17 e 9:17), che ricevettero lo Spirito Santo.

Il volere ignorare volutamente questa precisa specificazione che il N.T. fa, significa in ultima analisi, non solo far dire alla Bibbia quello che essa non vuol dire, ma significa anche e soprattutto, trincerarsi su posizioni altamente preconcette con il vanto di volersi mantenere fedeli all'insegnamento del N.T.

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26/09/2011 14:26

Per quanto riguarda i doni dello Spirito Santo, così come l'apostolo Paolo li specifica in 1 Corinzi 12:8﷓10, vengono dati per il bene comune. Dato che il parlare in lingue, come dono dello Spirito, è incluso nell'elenco dei doni, anche questo dono deve essere inteso e valutato come gli altri doni, avendo la stessa finalità.

La frase: Parlan tutti in altre lingue?, che spesso viene citata come dimostrazione per confutare chi crede al parlare in lingue, viene usata in una maniera impropria e fuori contesto. Se chi ripete questa frase, tenessero conto che Paolo disse quelle parole nel contesto dei doni dello Spirito, e il parlare in altre lingue, è sempre presentato in questa prospettiva, si accorgerebbero che una cosa è parlare in lingue come prova che lo Spirito Santo è venuto, e un'altra è parlare in lingue come dono che lo Spirito Santo ha dato per il bene comune.

È chiaro, dunque, che trattandosi di “doni dello Spirito”, non tutti i credenti ricevono lo stesso dono. Abbiamo osservato che lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni a ciascuno come egli vuole (1 Corinzi 12:11). Quale criterio usi lo Spirito Santo nel distribuire i suoi doni, non ci viene dato di sapere.

1) IL PARLARE IN LINGUE, NELL'ESERCIZIO DEL DONO RICEVUTO

(1 Corinzi 14:1-39)


Per descrivere adeguatamente l'esercizio di un dono ricevuto, con particolare riferimento a quello del parlare in lingue, l'apostolo Paolo dedica l'intero capitolo 14 della 1 Corinzi. In questo capitolo si fa l'analisi del dono del parlare in lingue, con tutte le necessarie considerazioni, per locarlo nel giusto posto, secondo che Dio l'ha posto e secondo la volontà dello Spirito che lo dona. In questo capitolo quattordici si fa specificatamente riferimento alla cosiddetta gerarchia dei carismi in vista dell'utilità comune. Il dono della profezia viene indicato superiore a quello del parlare in lingue, a meno ché, quest'ultimo non venga interpretato alla pari con quello della profezia.

Chi parla in lingue parla a Dio

Perché chi parla in lingue non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l'intende, ma in ispirito proferisce misteri (v. 2).

Fin dalle prime parole l'apostolo Paolo esorta a ricercare i doni dello Spirito, anche se subito dà la preferenza al dono della profezia rispetto a quello delle lingue, per i motivi che le lingue sono incomprensibili, mentre il profetare tutti lo capiscono e tutti ne possono ricevere un beneficio. Per quanto riguarda invece il dono del parlare in lingue, è detto chiaramente che chi parla,

non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l'intende, ma in ispirito proferisce misteri.

Il fatto che qui Paolo dica chiaramente che nessuno intende il parlare di chi parla in lingue, ha portato diversi a fare riferimento ad Atti 2 nel quale si afferma, che tutti capivano quello che si diceva in lingue.

Facendo questa specie di parallelismo, si parla che il «dono delle lingue», di Atti 2 è diverso da quello di 1 Corinzi 14:2. Ma è proprio vero che ci sono diversi «doni delle lingue?» Da quello che Paolo dice, risulta chiaro che il dono delle lingue è uno solo (1 Corinzi 12:10). Allora, come spiegare questa differenza che si nota tra (Atti 2 e 1 Corinzi 14:2)?

Anzitutto, vorremmo suggerire di non usare il termine «dono delle lingue» per Atti 2, dato che in tutto il capitolo non c'è una sola parola o frase che possa autorizzare l'uso di questo termine. Secondo quello che comprendiamo, le lingue di Atti 2 non stanno ad indicare il dono delle lingue, ma la prova che lo Spirito Santo venne sulla Chiesa. Se è vero che da tutti è indicato la Pentecoste, come data della nascita della Chiesa, è altrettanto vero che la Pentecoste stabilisce il giorno della venuta dello Spirito Santo. È più che logico che lo Spirito Santo che è appena arrivato sulla Chiesa, facesse parlare le lingue degli uomini conosciute in quel tempo e per le persone che si trovarono presenti per quella circostanza.

Se lo Spirito Santo avesse dato il dono delle lingue nel giorno della Pentecoste, come alcuni affermano, e nessuno avesse capito, stando alle parole di 1 Corinzi 14:2, non solo lo Spirito Santo non sarebbe stato riconosciuto, ma oro che parlavano in lingue, sarebbero stati considerati doppiamente pazzi. Se con la comprensione delle lingue, si diceva che oro che parlavano in quella maniera erano pieni di vino dolce, consideriamo che cosa avrebbero detto se quelle lingue non fossero state comprese.

La natura del dono delle lingue, pertanto rimane quello di 1 Corinzi 14:2 e non quello di Atti 2. Valutato in questo modo 1 Corinzi 14:2, non c'è nessuna contraddizione e non c'è nessun motivo di parlare del dono delle lingue per quanto riguarda Atti 2:6,11 (ammesso che lo Spirito Santo avesse dato in quel giorno anche il dono delle lingue.

Ritornando all'affermazione paolina che nessuno intende il parlare in lingue, dato che chi li parla, non parla agli uomini ma a Dio, si capisce subito qual è lo scopo del parlare in lingue: parlare a Dio. Una cosa è parlare agli uomini e un'altra è parlare a Dio. Chi parla agli uomini, deve usare un linguaggio che gli esseri umani capiscono, specie ui al quale la parola è rivolta. Ma per parlare a Dio, non c'è nessuna preoccupazione di scegliere un linguaggio che egli comprende, perché Dio capisce tutti i modi d'esprimersi. Non è l'uomo che sceglie di parlare un certo tipo di linguaggio a Dio, ma è lo Spirito, che servendosi della bocca umana, si indirizza a Dio.

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27/09/2011 00:23

Non si può accettare l'idea che esista un linguaggio per offrire l'adorazione a Dio e un linguaggio per rivolgere la parola all'uomo. Nella lunga discussione che Paolo fa per quanto riguarda il parlare in lingue, non c'è un minimo accenno a questa eventualità anche se egli stesso fa riferimento alle lingue degli uomini e degli angeli (1 Corinzi 13). Risulta allora chiaro qual'è il primo scopo di parlare in lingue: comunicare a Dio. Da questo punto di vista, è più che giustificabile il desiderio di Paolo: Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue (v. 5).

Chi parla in lingue edifica se stesso

Chi parla in lingue edifica se stesso (v. 4). Dal momento che parlando in lingue si parla a Dio, e parlando con Dio si stabilisce una relazione di comunione con lui, l'affermazione che chi parla in lingue edifica se stesso, deve essere tenuta in debito conto. È vero che tutto il ragionamento che Paolo fa, tende a mettere in risalto, non tanto l'edificazione personale, quanto quella della lettività. Nonostante ciò, non si può negare la validità dell'edificazione singola e personale.

Ogni credente che mira ad una relazione di comunione con Dio, non può ignorare di procurare la propria edificazione in questo rapporto personale e cosciente. La parola che Paolo adopera in questo testo di (1 Corinzi 14:4) è oikodomei che significa: «Fabbricare una casa, fabbricare, edificare, costruire» [O. Michel, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. VIII, 384-408 per la storia e lo sviluppo del concetto]. L'elemento che edifica colui che parla in lingue, è forse stato trascurato o sottovalutato da oro che si oppongono all'esercizio di questo dono dello Spirito. Uno che ha abbondanza di benedizione per sé che ha fatto dei progressi nelle vie di Dio, che è cresciuto nella grazia e nella conoscenza, può, con maggior facilità, partecipare agli altri l'abbondanza di questa ricchezza spirituale.

Il parlare in lingue rappresenta un esercizio spirituale per far crescere la propria esperienza spirituale, che si manifesta essenzialmente nel rapporto di comunione con Dio. Dio, per mezzo del dono delle lingue, ha provveduto un mezzo efficacie per la nostra edificazione. Quando l'insegnamento di Paolo, viene considerato e capito nella maniera come lui l'ha esposto, non c'è nessun motivo, non solo di screditare il dono delle lingue, e tanto meno di combatterlo, come uno sviamento dalla parola di Dio, ma vi si trova uno strumento valido per costruire il proprio rapporto con Dio. Sotto questo profilo va inquadrata e intesa la raccomandazione di Paolo: E non impedite il parlare in altre lingue (v. 39).

Alla luce di quanto abbiamo considerato, non è affatto vero che ai giorni nostri, non c'è nessun'utilità nel parlare in lingue. In tutto il capitolo quattordici della 1 Corinzi, non c'è una sola frase o una parola che afferma che parlare in lingue, fu solamente per l'era apostolica e che all'infuori di questo tempo, non c'è da pensare che lo Spirito Santo dia lo stesso dono ai nostri giorni.

Se l'esercizio del dono delle lingue risultava di edificazione a chi ne parlava e in vista di quest'elemento Paolo poteva esprimere il suo desiderio di voler vedere tutti parlare in lingue, perché gettare tanta infamia e tanto discredito su un dono dello Spirito, qualificandolo come manifestazione del diavolo? Se il diavolo può far parlare in lingue, dicono alcuni, ci domandiamo perché mai non potrebbe farlo lo Spirito Santo, che è di gran lungo superiore al diavolo? Perché accettare una manifestazione del diavolo, indicandola in prima persona come chi produce questa confusione di parlare in lingue, dicono alcuni, senza badare di rigettare chi veramente sta all'origine del dono stesso?

Si afferma che Satana è la scimmia di Dio, non perché inventi le cose, ma perché cerca di fare quello che Dio fa. Se è vero che il parlare in lingue, ai giorni nostri, per diversi è considerato una chiara manifestazione di Satana, già quest'affermazione in se stessa è una prova inconfutabile, non solo che esiste lo Spirito Santo, ma che questo Spirito Santo distribuisce i suoi doni, anche quello del parlare in lingue, com'egli vuole, anche ai nostri giorni.

La necessità di usare un linguaggio che gli altri capiscono

Nei vv. 6-12, l'apostolo Paolo si intrattiene ad analizzare, il bisogno di comprendere un linguaggio, se si vuole partecipare attivamente nell'ambito di una Comunità. Non importa se attraverso un linguaggio si può recare una rivelazione, una conoscenza, una profezia o qualche insegnamento; se non c'è comprensione, non si può ricevere quello che si vorrebbe dare.

Il fatto stesso che tra gli uomini esistono tante specie di parlare, fornisce all'apostolo l'occasione per affermare, che nessun parlare è senza significato (v. 10); e se una tromba dà un suono sconosciuto, chi si preparerà alla battaglia? (v. 8). Questi esempi tratti dalla vita comunitaria porta Paolo a far notare quanto sia importante, per il bene della Chiesa, che il dono delle lingue è espletato in maniera che tutti possono ricavarne beneficio. Ciò sarà possibile se al parlare in lingue, seguirà l'interpretazione.

Appare chiaro nel suo contesto, che tutto il ragionamento che Paolo fa si riferisce alla Comunità dei credenti, e non al singolo fedele che esercita il dono delle lingue. Più in là, egli suggerisce le necessarie istruzioni per quanto riguarda l'esercizio del dono delle lingue nelle pubbliche riunioni di culto.

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28/09/2011 00:15

Lo Spirito e l'intelligenza

Poiché se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l'intelligenza (vv. 14﷓16).

Pregare e salmeggiare, sono due attività che si possono compiere con l'esercizio del parlare in lingue. Per quanto riguarda la vita privata, non c'è niente che possa impedire un simile esercizio e che una simile pratica non sia valida.

L'esplicito riferimento che Paolo né fa, è prova che esiste una simile possibilità. Sarebbe ridio se si concedesse una simile possibilità solamente su un piano ipotetico e si negasse su quello pratico. Se Paolo poteva dire ai Corinzi: Io ringrazio Dio che parlo in lingue più di tutti voi (v. 18), è una prova che quando Paolo era solo con Dio, dava via libera allo Spirito nella sua vita, talché non solo poteva parlare in lingue a Dio, ma addirittura pregava e salmeggiava con lo stesso entusiasmo e fervore.

Un simile esercizio è compreso e valutato solamente da oro che lo esercitano. Davanti al sacerdote Eli, Anna, che muoveva le sue labbra, era considerata una donna ubriaca, non sapendo però che lei stava spandendo l'anima sua davanti all'Eterno (1 Samuele 1:12﷓15). Le cose dello Spirito sono comprese da oro che sono spirituali (1 Corinzi 2:14). Ma poiché Paolo sta parlando in riferimento a oro che non capiscono il «ringraziamento» che si eleva a Dio attraverso il parlare in lingue, specifica:

Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l'intelligenza.

Con queste parole, «Paolo non si erge a difesa di uno sterile intellettualismo» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 230]. Anche se il pregare e il salmeggiare in lingue possono essere considerati un pio esercizio spirituale, nondimeno, per quanto riguarda il culto pubblico, dove partecipano tante persone, e soprattutto ci possono essere presenti delle persone nuove, senza nessun'esperienza spirituale, a sentire quel tipo di parlare potrebbero essere indotti a qualificare chi parla in lingue come se fosse un pazzo (v. 23). In vista di questa partiare situazione, il consiglio che Paolo dà è quello di dire

cinque parole intelligibili, per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua (v. 19).

È in previsione dell'autocontrollo che Paolo raccomanda di non essere
fanciulli per senno. Siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto a senno, siate uomini compiuti (v. 20).

Questo perché, l'intelligenza deve essere usata, anche nell'esercizio del dono spirituale. Usare l'intelligenza nell'esercizio del dono spirituale, non significa però che il dono dello Spirito deve essere amministrato secondo il criterio e le valutazioni umane, ma significa essenzialmente armonizzare l'esercizio del dono spirituale per il bene e l'edificazione comune.

Sfruttare il significato della frase «uomini maturi» per avvalorare la tese che il parlare in lingue, ai giorni nostri, sarebbe appartenuto ad un tempo di fanciullezza, dove la conoscenza non era tanto sviluppata rispetto a quella di oggi, e continuare a credere all'utilità del parlare in lingue, significa andare indietro anziché avanti, si sentì dire da qualcuno [Prendere l’esortazione di Paolo per ciò che riguarda 1 Corinzi 14:20 e interpretarla che: «Nell’entusiasmo dei Corinzi per la glossolalia, sonora e vistosa, Paolo vede una puerilità da fanciulli inesperti; mentre se essi fossero maturi quanto a sentimenti, preferirebbero alla glossolalia quei carismi che apportano maggiore utilità» (G. Ricciotti, Gli Atti degli Apostoli e le lettere di S. Paolo, pag. 390, significa classificare il «dono del parlare in lingue», come qualcosa che appartenga a l’uomo e non come un dono dello Spirito Santo. Se I Corinzi parlavana in lingue, non era perché erano «fanciulli e immaturi», ma perché lo Spirito Santo aveva dato loro quel dono. Era il loro modo indiscriminato, nell’esercizio del dono ricevuto, che li rendeva fanciulli e immaturi e non perché il dono del parlare in lingue debba essere inteso come segno e prova di immaturità spirituale].

Dare una simile interpretazione alla frase paolina significa leggerla con mente preconcetta e fuori del suo normale contesto.

La citazione della Scrittura che Paolo fa

Egli è scritto nella legge: io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d'altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi asteranno, dice il Signore (v. 21).

Questa citazione si trova in (Isaia 28:11), dove viene messa in risalto la disubbidienza del popolo alla voce del Signore a mezzo del profeta. In conseguenza di questa marcata disubbidienza, il Signore stesso annunzia che parlerà a quel popolo disubbidiente in lingua straniera. Risulta chiaro l'applicazione che Paolo fa, quando afferma che le lingue servono di segno non per i credenti, ma per non i credenti (v. 22). Commenta Norman Hillyer:

«Poiché il popolo di Dio si rifiuterà di astare con obbedienza e fede la sua chiara parola, asterà termini incomprensibili, cioè per punizione saranno esiliati tra gente d'altra lingua, gli Assiri e persevereranno nella loro incredulità» [H. Hillyer, Commentario Biblico, III, pag. 373].

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29/09/2011 00:04

La necessità di regolare il parlare in lingue nelle riunioni pubbliche

Che dunque fratelli? Quando vi radunate, avendo ciascun di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in lingue, o un'interpretazione, facciasi ogni cosa per l'edificazione (v. 26).

Questo è un sano principio per ciò che concerne le riunioni pubbliche della chiesa: tutto deve essere fatto per l'edificazione. Il dono del parlare in lingue, può essere esercitato come dono spirituale nelle riunioni pubbliche della chiesa, a condizione che ci sia l'interpretazione, un altro dono spirituale, attraverso il quale la comunità dei credenti, o quanti partecipano alle riunioni, possono capire quello che viene detto in lingue ed essere edificati.

L'esercizio del dono del parlare in lingue, può essere fatto nelle riunioni pubbliche della chiesa, da due o al massimo tre, uno dietro l'altro, e uno interpreta (v. 27). La stessa norma viene data per l'esercizio del dono della profezia. Ribadendo che il dono della profezia sia superiore a quello delle lingue, Paolo conclude il suo insegnamento sul soggetto, con la raccomandazione:

Chi ritiene d'essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore; se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto. Dunque, fratelli miei, aspirate alla profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditolo. Ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine (CE (vv. 37-40).

Anche se viene raccomandato bramare, il dono della profezia, cioè desiderare ardentemente, non deve essere sottovalutato quello del parlare in lingue, perché anch'esso è dono dello Spirito Santo e come tale non può essere soppiantato né impedito nel suo esercizio. Tutto deve farsi, per quanto riguarda il culto pubblico, con decoro e con ordine. Anche se certe manifestazioni di fanatismo non vanno incoraggiate ma represse; l'ordine di Paolo non deve essere inteso come qualcosa di militaresco, e tanto meno un rigorosismo formalistico prestabilito, privo di un qualsiasi mordente vitale.

Là dove lo Spirito Santo con i suoi doni viene accantonato, o non gli viene dato spazio di agire com'egli vorrebbe, o viene sostituito con la saggezza e l'accortezza umana, si avrà sì, certamente, una forma impeccabile in tutte le fasi del culto, con un ordine prestabilito e bene organizzato, ma spoglio e povero di manifestazioni spirituali atte ad infiammare la fede del tiepido, e a rinnovare lo zelo e la dedizione per il servizio del gran Re, e Signor nostro Gesù Cristo.

2) IL BATTESIMO NELLO SPIRITO SANTO

Parlare del battesimo nello Spirito Santo, usando la frase: «Il cosiddetto battesimo con lo Spirito Santo», intenzionalmente riferito ai pentecostali, ciò ha un tono ed un significato sarcastico, come se i pentecostali avessero inventato questa dottrina.

Non si può negare quello che dice la Scrittura a proposito del battesimo nello Spirito Santo, perché ne parla in diversi luoghi, usando un linguaggio chiaro e lineare, che non è possibile rimanere indifferenti. Basta rifarci ai testi del N.T. per sapere come viene esposta la dottrina del battesimo nello Spirito Santo.

A dire il vero, non sono tanti i testi che parlano specificatamente del battesimo nello Spirito Santo, però sono abbastanza chiari da farci comprendere come viene presentato.

Giovanni Battista, fu il primo che ne parlò, quando le persone andavano a lui per farsi battezzare. Egli diceva:

Ben vi battezzo io con acqua, in vista del ravvedimento, ma colui che viene dietro a me è più forte di me, ed io non son degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con fuoco (Matteo 3:11; Marco 1:8; Luca 3:16; Giovanni 1:33).

La testimonianza del Battista, riportata dai quattro evangeli, è concorde nello stabilire che Gesù Cristo in persona è quello che amministra il battesimo nello Spirito Santo. Che il battesimo nello Spirito Santo non sia da subordinarlo a quello con acqua, nel senso che ricevendo il primo si riceve anche l'altro, appare chiaramente dalla testimonianza del Battista, quando fa una netta distinzione del suo battesimo in acqua con quello "nello Spirito Santo" da Gesù Cristo. Se questo battesimo nello Spirito Santo fosse unificato a quello dell'acqua, (a parte che il battesimo di Giovanni non è quello cristiano, vale a dire quello che Cristo istituì dopo la sua risurrezione, Matteo 28:19; Atti 19:3,5), non avrebbe senso indicare due persone per amministrare un unico battesimo.

Trasferendo il ragionamento del battesimo in acqua, inteso come rito cristiano, ed affermare che: «Il battesimo d'acqua non è che un rimando a ciò che sarà il compimento. Ora diventa chiaro che il battesimo d'acqua non soltanto è una promessa della purificazione escatologica dai peccati, ma vuole essere anche un impegno della "effusione dello Spirito» [H. Schürmann, Il Vangelo di Luca, I, pag. 322]. Pensare in questo modo, significa unificare i due momenti, come se in pratica non esistessero, e dare al battesimo in acqua quel carisma che, in effetti, non ha.
Il battesimo nello Spirito Santo, è quel momento che indica la discesa dello Spirito Santo, secondo Atti 2.

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30/09/2011 00:05

«Giovanni ha preparato la strada all'avvenimento di Gesù con la sua azione fruttuosa; come annunciatore profetico egli ha proclamato l'avvento di Gesù, il più forte di lui, che venne preparato al suo ufficio messianico, non nel suo battesimo nell'acqua, bensì dalla discesa dello Spirito Santo» [R. Pesch, Marco I, pag. 156].

Le parole che Gesù dirà più ai suoi discepoli, circa questo battesimo nello Spirito Santo, hanno un valore e un significato fondamentale, per legare il battesimo nello Spirito Santo all'evento di Pentecoste.

Poiché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo fra non molti giorni (Atti 1: 5).

Davanti a questa precisa parola di Gesù Cristo, non è possibile dividere l'evento di Pentecoste dal battesimo nello Spirito Santo, perché quest'ultimo rappresenta l'adempimento letterale della promessa di Gesù. Anche se nel capitolo due degli Atti non viene affermato che i 120 vennero battezzati nello Spirito Santo, è chiaro però, in base ad (Atti 1:5), che quelle persone nel giorno di Pentecoste furono battezzate nello Spirito Santo, anche se leggiamo che «tutti furono ripieni dello Spirito Santo». Ripieni dello Spirito Santo e battesimo nello Spirito Santo, hanno lo stesso significato, dato che si riferiscono allo stesso evento: la discesa dello Spirito Santo. Che questo «essere ripieni dello Spirito Santo» si può ripetere nella vita di un credente, è provato da (Atti 4:31):

E dopo che ebbero pregato, il luogo dove erano radunati, tremò, e furono tutti ripieni dello Spirito Santo, e annunziavano la parola di Dio con franchezza.

Una volta che questo concetto di «ripieni dello Spirito Santo» e «battezzati nello Spirito Santo» è ben capito e che lo stesso battesimo nello Spirito Santo non ha niente a che vedere rito in acqua, è fuori contesto ed un'errata interpretazione affermare che le due espressioni, ripieni dello Spirito Santo e battezzati nello Spirito Santo devono essere intesi nel senso che,

«la prima è il mezzo offerto da Dio per vivere con potenza la vita cristiana, e la seconda, al momento della sua conversione, completamente identificato con Cristo nella sua morte, sepoltura e resurrezione e l'unico corpo che è il corpo di Cristo qui sulla terra e di cui Cristo stesso è il capo» [H. Lindsey, Satana è vivo e vegeto sulla terra ultimo pianeta, pag. 244,246].

Un necessario chiarimento

Anzitutto, parlare del battesimo «dello Spirito Santo», come fa spesso H. Lindsey, non è scritturalmente dimostrabile. In tutti i testi del N.T. in cui si fa riferimento a questo battesimo, cioè: (Matteo 3:11; Marco 1:8; Luca 3:16; Giovanni 1:33; Atti 1:5;1 Corinzi 12:13), per nessun di essi, la preposizione en, presente nel testo greco, è corretto tradurla «dello». La preposizione in questione può essere tradotta «con, in», ma mai «dello», per il semplice fatto che è detto chiaramente che è Gesù Cristo che amministrerà il battesimo di cui sopra.

Il termine greco baptizó [A. Oepke, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. II, 41] significa: immergere, sommergere. Dal momento che l'azione di battezzare è attribuita specificatamente a Gesù Cristo, è lcolui che immerge il credente nello Spirito Santo. Parlare di «totale identificazione di una persona con un'altra», nel senso come fa Paolo ai (Romani 6:3,4), equivale ad unificare il battesimo in acqua e il battesimo nello Spirito Santo, come se si trattasse di un solo battesimo, senza la minima distinzione.

È con il battesimo in acqua, amministrato da un ministro del vangelo che il credente viene identificato nella morte e nella resurrezione di Gesù Cristo; morte per quanto riguarda il simbolismo l'immersione e il seppellimento, e risurrezione per quanto concerne la vita nuova. Ma per quanto concerne il battesimo nello Spirito Santo, la Scrittura non usa lo stesso linguaggio figurativo, come fa per quello in acqua, si limita soltanto a fornirci la finalità, cioè: Per formare un unico corpo (1 Corinzi 12:13). Se di identificazione si può parlare, è in relazione al corpo di Cristo, ch'è la Chiesa, e non alla morte e risurrezione di Gesù. Se si vuole essere precisi nell'esposizione dell'insegnamento della parola di Dio, è in questo senso che bisogna presentarlo, perché l'apostolo Paolo lo presenta in questo modo.

Nell'unico testo paolino di (1 Corinzi 12:13) in cui si dice che

noi tutti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo,

non viene detto, né chi ha amministrato il battesimo né quando è stato amministrato. Prima di procedere avanti nell'analisi di (1 Corinzi 12:13), vogliamo rilevare che la preposizione en, presente nel testo greco, il nostro Luzzi l'ha tradotta «di», «Il battesimo di un unico Spirito». Anche se nelle nostre citazioni usiamo quasi sempre questa versione, in questo testo di (1 Corinzi 12:13), non ci sentiamo di accettare la traduzione del Luzzi, preferiamo quella del Diodati che la rende «in». In uno stesso Spirito noi tutti siamo stati battezzati, come del resto fanno tantissimi traduttori [E. Bosio, Epistola di S. Paolo ai Corinzi, pag. 103].

Il prof. E. Bosio che nel testo usa la versione del Diodati, nel commento però, al posto di «in» usa «con». Leon Morris, fa lo stesso rilievo quando dice: «Di un unico Spirito è in realtà «in» un unico Spirito» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 204; il N.T. Greco-Italiano di A. Merk, G. Barbaglio; G. Ricciotti, Le epistole di Paolo, pag. 385].

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01/10/2011 00:09

Nonostante che 1 Corinzi 12:13 non dica chi ci ha battezzati «in un unico Spirito», sappiamo con estrema certezza che è e rimarrà sempre Gesù Cristo. Ciò non lo affermiamo in base a quello che le epistole del N.T. dicono, ma sull'autorità di quello che dicono gli evangeli (Matteo 3:11; Marco 1:8; Luca 3:16 Giovanni 1:33).

Affermare che il battesimo nello Spirito Santo avviene «all'istante della conversione», senza una citazione, non diciamo delle epistole del N.T. solamente, ma del N.T. in genere, è arbitrario a dir poco. A cominciare da Atti 2; 8; 10 e 19, tutti quelli che sono stati battezzati nello Spirito Santo, secondo questi testi, erano persone convertite prima di ricevere il battesimo nello Spirito Santo. È assurdo affermare (con riferimento alla domanda che Paolo fece: Riceveste lo Spirito quando credeste?

«che se avessero risposto «sì», egli avrebbe saputo che essi erano diventati credenti sin dalla Pentecoste (tutti i nuovi fedeli avevano ricevuto lo Spirito Santo al momento della conversione dopo il momento di transizione segnato dalla Pentecost Atti 2,8,10». Ed ancora: «Tutti i diversi gruppi etnici di credenti erano ora iniziati nel mondo neotestamentario di essere in rapporto con Dio mediante il suo dono dello Spirito e mediante l'unione con Cristo. Da quelli momenti, tutti i credenti sono stati battezzati di Spirito Santo all'istante della loro conversione. Questo è il modello presentato nelle lettere. Esse considerano la transizione completa» [H. Lindsey, Satana è vivo e vegeto sulla terra ultimo pianeta, pag. 245].

Questa strana convinzione cioè che al momento della «conversione» si riceve il battesimo nello Spirito Santo, ha dovuto probabilmente all'unico testo del N.T. di (Atti 2:38). Questo testo è pure usato per affermare che battesimo in acqua, si riceve anche lo Spirito Santo.

Abbiamo dimostrato in questo libro che in tutti i casi in cui si parla di credenti che hanno ricevuto lo Spirito Santo, lo Spirito Santo è ricevuto prima o dopo il battesimo in acqua e mai «contemporaneamente» al battesimo (cfr. Atti 2:4; 8:12,17; 9:17,18; 10:44﷓47; 19:5,6). Neanche si può invocare il testo paolino di (1 Corinzi 12:13), perché in esso non è indicato il «momento» in cui si è battezzati. Ma è proprio vero che (Atti 2:38) stabilisce che nel momento della conversione o del ravvedimento, si riceve lo Spirito Santo, inteso come battesimo? Analizziamo attentamente Atti 2:38, che dice:

Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo.

Nel N.T. greco e Italiano di A. Merk e G. Barbaglio, il testo di Atti 2:38 è reso:

Pentitevi e ciascun di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo (CE.

A parte la parola «dopo» che questa versione aggiunge, se il dono dello Spirito Santo si riceve al «momento» della conversione, perché questo testo usa il verbo ricevere al futuro (riceveret e non al presente (ricevet? H. Lindsey che suggerisce di «essere dottrinalmente corretti in ciò che insegniamo», dovrebbe almeno spiegarci il valore e il significato del «tempo» del verbo ricevere, impiegato in (Atti 2:38).

Quando i pentecostali affermano che la conversione o il ravvedimento, da una parte, e il battesimo nello Spirito Santo dall'altra, «sono due momenti distinti e separati, l'uno dall'altro», con che indicano due esperienze, non sono idee strampalate, teologicamente e biblicamente errate, ma è proprio ciò che dice Atti 2:38, se giustamente interpretato e valutato. Tenendo pertanto in debito conto l'importanza ed il valore del tempo del verbo ricevere, le affermazioni di cui sopra, sono più che giustificate.

Ripieni dello Spirito Santo

Quando abbiamo affermato che le frasi «battesimo nello Spirito Santo e ripieni dello Spirito Santo» hanno lo stesso significato, perché si riferiscono allo stesso «evento», cioè alla discesa dello Spirito Santo, l'abbiamo fatto sull'autorità della Parola di Gesù, riferita da Atti 1:5 e adempiuta in Atti 2:4. Anche se la parola di Gesù riportata nel libro degli Atti, non ha certamente il valore di «transizione», come suggerisce H. Lindsey per tutto il libro degli Atti, tesi da lui caldamente sostenuta, forse come rappresentante di questa corrente, ma che a noi non risulta convincente.

Anche se nelle epistole del N.T. non è mai detto siate battezzati nello Spirito Santo, ma siate ripieni dello Spirito (Efesini 5:18), facendo i dovuti confronti con i testi di cui sopra, è più che giustificata la nostra affermazione.

(Quello che seguirà è un nostro articolo pubblicato nell'Ottobre del 1987 su un giornale cristiano IL FARO, e se l'abbiamo ripreso, è perché pensiamo possa ulteriormente chiarire l'argomento che stiamo trattando).

SIATE RIPIENI DELLO SPIRITO (EFESINI 5:18)

Per capire l'affermazione di Paolo, unica nel suo genere, e la sua motivazione, per quanto riguarda il punto di vista individuale, dobbiamo rifarci all'inizio della stessa epistola, così da conoscere i destinatari. Questo ci aiuterà molto a capire le parole di Paolo e valutarne l'importanza, nel contesto del N.T.

Il primo versetto del primo capitolo dice:
Paolo, apostolo di Gesù Cristo, per la volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso e fedeli in Cristo Gesù.

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02/10/2011 00:23

Già fin dall'inizio, sappiamo che i destinatari dell'epistola sono «i santi», e Paolo non ha nessun'esitazione a chiamarli fedeli in Cristo Gesù.

Come si può vedere chiaramente da queste semplici parole, i destinatari sono dei credenti (nel senso pieno di questo termine così come viene presentato dall'insegnamento del N.T.), i quali sono stati salvati mediante il sangue di Gesù Cristo. Ogni credente in Cristo viene chiamato «santo» (Romani 1:7), fin dal primo giorno della sua vita con Dio, e deve aver cura di rimanere fedele al suo Signore fino alla morte (Apocalisse 2:10).

A questi santi e fedeli in Cristo Gesù, Paolo fa arrivare la sua parola, che poi non è la sua, dal momento che il suo ministero apostolico è per volontà di Dio. La parola di Paolo suona, non come un semplice consiglio o una semplice raccomandazione, ma un ordine.

Qui non si tratta di stabilire chi dovrà essere «ripieno dello Spirito», se, il pastore o l'evangelista, se il predicatore o il missionario. Questa non è una parola rivolta solo a loro (anche se loro sono chiamati in primo piano), ma ad ogni credente. Non abbiamo quindi nessun'esitazione nell'affermare che «Dio vuole che ogni credente sia ripieno dello Spirito».

A questo «volere di Dio», dovrebbe corrispondere «l'avere l'intenzione dell'uomo», perché solo allora, il desiderare divino può attuarsi nella vita dell'essere umano. Ovviamente lo Spirito, di cui parla Paolo, è lo Spirito Santo. Infatti, i credenti, secondo quello che dice il Nuovo Testamento, dovranno essere riempiti dello Spirito Santo.

Secondo Romani 12:11, Dio vuole che ogni credente sia fervente nello Spirito. Allora, mettendo insieme Efesini 5:18 e Romani 12:11. abbiamo una gloriosa coordinata di credenti ripieni dello Spirito Santo e ferventi nello spirito. È difficile aver credenti ferventi nello spirito, senza essere ripieni dello Spirito; mentre è più facile avere credenti ripieni dello Spirito che siano anche ferventi nello spirito. Che il riempimento dello Spirito non sia l'opera dell'uomo ma di Dio, è risaputo da tutti. Dio però riempie dello Spirito tutti quelli che lo vogliono.

Il voler essere ripieni dello Spirito implica: interessamento, dedizione e ricerca, senza di cui sarà quasi impossibile che una persona venga ripiena dello Spirito Santo. Una persona che esprimerà il desiderio di voler bere dell'acqua, perché avverte questa necessità, farà il suo possibile per arrivare ad una sorgente, perché solo là potrà dissetare la sua sete.

Or nell'ultimo giorno, che era il gran dì della festa, Gesù, stando in piè, gridò, dicendo: se alcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, dal suo seno sgorgheranno fiumi d'acqua viva.

Giovanni, interpretando le parole di Gesù precisa:

Or egli disse questo dello Spirito, il quale riceverebbero chi crederebbe in Lui, perché lo Spirito Santo non era ancora stato mandato (Giovanni 7:37-39).

Secondo le parole di Gesù, riportate da Luca, lo Spirito Santo sarà dato a chi ne farà specifica richiesta (Luca 11:11-13). Secondo Atti 2:39,40, Dio promette lo Spirito Santo a tutti. Le parole di Atti 2:4, e tutti furono ripieni dello Spirito Santo, si riferiscono all'adempimento di Atti 1:5. Battezzati nello Spirito Santo e ripieni dello Spirito Santo, hanno lo stesso significato. Quando i 120 furono ripieni dello Spirito Santo, furono battezzati nello Spirito Santo. Quindi, il riempimento (o battesimo), ha a che fare con un'esperienza, di cui il singolo credente non può fare a meno.

Nel giorno della Pentecoste non furono ripieni dello Spirito Santo solo gli apostoli, di cui (Atti 1:5), ma bensì 120 persone, tra cui le donne che ministravano a Gesù, Maria madre di Gesù e i suoi fratelli (Atti 1:14). È chiaro che se lo Spirito Santo fosse stato promesso ai soli apostoli «tutti gli altri», che, perseveravano di pari consentimento in orazione e in preghiera (Atti 1:14), non avrebbero ricevuto lo Spirito Santo; e le parole di Pietro, dopo la Pentecoste:

A voi è fatta la promessa e ai vostri Figlioli, e a chi verrà per molto tempo appresso; a quanti il Signor Iddio nostro ne chiamerà,

non avrebbero nessun significato. Alla luce di quanto sopra quindi, le parole di (Efesini 5:18) siate ripieni dello Spirito , equivalgono a, «siate battezzati con lo Spirito Santo», e si riferiscono ad ogni credente.

Dal fatto che (Giovanni 7:39) dica che lo Spirito Santo non era ancora stato dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato; e Atti 2:33 affermi che lo Spirito Santo fu sparso perché Gesù era stato innalzato alla destra di Dio, qualcuno potrebbe dedurre che non c'e più bisogno di sostenere (Luca 11:11﷓13 e Atti 1:14), perché queste condizioni di «chiedere» e «attendere», sono state adempiute nel giorno della Pentecoste; e che quindi i credenti, non avendo più bisogno di attendere e chiedere, ricevono automaticamente il battesimo nello Spirito Santo.

Se così fossero, non ci sarebbe stato nessun bisogno che Pietro e Giovanni «pregassero», per i nuovi convertiti di Samaria, per ricevere lo Spirito Santo (Atti 8:15) né che Paolo chiedesse ai credenti di Efeso se avevano ricevuto lo Spirito Santo dopo di aver creduto (Atti 19:2). Alla luce di quanto sopra, è chiaro che (Luca 11:11﷓13; Atti 1:14 ed Efesini 5:18), sono testi validi anche per i tempi in cui viviamo e che essi rappresentano il fondamento indispensabile per «essere ripieni dello Spirito». Si potrebbe domandare: perché i credenti devono essere ripieni dello Spirito Santo?

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03/10/2011 00:11

Per appagare il desiderio di Dio

Dio vuole che ogni credente, salvato mediante il sangue di Gesù Cristo, sia ripieno dello Spirito Santo. Non importa se si sia grandi o pici, bianchi o negri, ricchi o poveri, ti o ignoranti, maschi o femmine; non importa se si è semplici, senza nessuna responsabilità nella Chiesa, o pastori, evangelisti o missionari. Se il credente non è ripieno dello Spirito Santo, il Divino desiderio non viene appagato.

Per essere utili nella Comunità

Quando citiamo Atti 6, pensiamo all'istituzione dei «diaconi» nella Chiesa. Anche se questo termine diacono non compare nel testo greco, tutti gli studiosi e commentatori sono d'accordo che Atti 6 debba essere considerato il primo riferimento «all'ufficio del diaconato». In una chiesa che crescesse ogni giorno, era assurdo pensare che gli apostoli soli potessero far fronte a tutte le necessità della Comunità. Perciò i «dodici», suggerirono alla moltitudine di discepoli di trovare tra loro degli uomini che avevano tre requisiti: buona testimonianza, ripieni dello Spirito Santo e sapienza.

L'ufficio del diaconato, secondo questo testo, consisteva nel ministrare alle mense». Non aveva niente a che fare l'amministrare cose spirituali, perché a questo pensavano gli apostoli. Quale bisogno c'era, quindi, che i selezionati avessero il requisito di essere «ripieni dello Spirito Santo»? La buona testimonianza era necessaria, la sapienza altrettanto, ai fini di una buon'amministrazione, ma l'essere "ripieni dello Spirito Santo", a che cosa sarebbe servito?

Oggi, di questa norma se ne fa poco conto, quando si pensa ai nostri attuali «Comitati di Chiesa». Si mettono facilmente persone che hanno una certa posizione sociale, un certo prestigio nella società; magari con una cultura spiccata, adducendo che simili individui saranno un valido aiuto nella vita amministrativa di una Comunità. Ma per gli apostoli era estremamente necessario, nonostante che il lavoro consistesse nel ministrare alle mense, che i prescelti fossero «ripieni dello Spirito Santo».

La Chiesa non è una società di uomini d'affari, che deve assegnare posto alla cultura, all'intelligenza umana. La Chiesa è il corpo di Cristo, come tale non appartiene all'uomo, ma a Dio; e le cose di Dio devono essere amministrate da esseri umani e donne che, oltre ad avere buona testimonianza e sapienza, siano «ripieni dello Spirito Santo».

Per essere testimoni di Cristo

Voi mi sarete testimoni, quando lo Spirito Santo verrà su voi (Atti 1:8).


È vero che questo testo si riferisce agli apostoli e all'opera che loro avrebbero svolto, in obbedienza al comando di Cristo, ma è anche uno scritto che si può applicare ad ogni singolo credente. Infatti, se un credente non ha niente da testimoniare - e testimoniare significata dire cose che si sono viste o sentite, non solamente per quanto concerne la vita degli altri, ma principalmente per quanto riguarda il modo di vivere propria - vuol affermare che non è credente; e se non è credente, come potrà parlare di una persona, di cui non ha conoscenza diretta? Per poter, quindi, testimoniare di Gesù e dell'Opera Sua, occorre che il credente sia ripieno dello Spirito Santo, perché sarà appunto lo Spirito Santo che renderà efficaci le nostre parole con le quali si parla di Gesù.

Per essere efficaci nella testimonianza dell'opera di Cristo

Stefano, uno dei “sette”, (Atti 6:5) scelto all'inizio per ministrare alle mense, era un uomo ripieno di fede e di Spirito Santo. Era
pieno di fede e di potenza, e faceva gran prodigi e segni fra il popolo (Atti 6:8).

Leggiamo che
non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito per il quale egli parlava (v. 10).

E nel capitolo sette, la sua parola è tanto potente e penetrante nello stesso tempo, da paragonarla ad un «Pubblico Ministero», che, davanti alla corte, non ha nessuna paura di elencare i capi d'accusa e chiedere con fermezza la condanna dell'accusato.

Solo lo Spirito Santo, di cui Stefano era ripieno, poteva dargli tutta la franchezza e tutta l'efficacia, che manifestò davanti a quegli uomini, quando testimoniò dell'Opera di Dio e di Gesù Cristo, e quando disse:

Ecco, io vedo i cieli aperti, ed il Figliol dell'uomo in piedi che sta alla destra di Dio (Atti 7:56).

Per essere efficaci nell'opera del ministero

Quando si pensa all'opera del ministero, di solito si pensa all'abilità del ministro. Un ministro per essere abile, dovrà avere un'adeguata preparazione teologica, attestati accademici, comprovanti la sua abilità. Oggi siamo in tempi in cui si dà più importanza agli attestati accademici che al riempimento dello Spirito Santo. Non ci dobbiamo meravigliare che tanti predicatori e missionari, pur avendo attestati accademici, non conoscano nella loro vita cosa sia «essere ripieni dello Spirito Santo».

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04/10/2011 00:14

Dalle loro scuole, ove hanno ricevuto i loro attestati, sono stati riempiti di tante nozioni teologiche da non lasciare nessun posto per la guida dello Spirito Santo. La Bibbia non ci ordina di essere riempiti di teologia, anche se questo è un elemento utile per un buon andamento del ministero, ma: «Siate ripieni dello Spirito».

Per approfondire quest'aspetto dell'argomento, vorrei suggerire di meditare a fondo il capitolo 8 degli Atti. Qui abbiamo Filippo, uno dei sette, che predicò Cristo nella città di Samaria. Per suo mezzo tanti ammalati furono guariti e tanti furono salvati. Mi potreste domandare come mai il capitolo 8 degli Atti parla di Filippo e del suo ministero, ma non afferma che egli fosse ripieno dello Spirito Santo. È perché è stato già detto nel capitolo sei.

Filippo non è un apostolo; non è uno dei capi della Chiesa. Non ha, forse, eccessiva cultura; ha una parola semplice, una predicazione facile ed elementare. Forse commette errori grammaticali quando parla e predica Cristo. Eppure è un uomo di una straordinaria efficacia. Il successo del suo ministero ha dovuto al fatto che era «Ripieno dello Spirito Santo». Fratello o sorella, se sei un credente (e non vorrei minimamente dubitar, se sei stato salvato mediante il sangue di Gesù Cristo, sappi che Dio, attraverso Paolo, ti dice: Sii ripieno dello Spirito Santo. Soltanto allora potrai appagare il desiderio del tuo Dio, essere utile nella Comunità cui appartiene, essere un testimone di Cristo, essere efficace nel testimoniare dell'Opera di Gesù ed efficace nell'opera del ministero che Dio ti ha affidato.

Appare chiaro, dal confronto che abbiamo fatto che tra l'essere ripieno dello Spirito Santo e battezzato nello Spirito Santo, non c'è nessuna sostanziale differenza. Il fatto stesso che per la nomina dei sette, furono scelti fra la moltitudine dei discepoli, Stefano, Filippo ed altri, essendo ripieni dello Spirito Santo, è una prova inconfutabile, che non tutti i credenti di quel tempo, erano stati ripieni dello Spirito Santo fin dalla loro conversione, come oggi si vorrebbe far credere che ogni fedele, fin dalla sua conversione, viene battezzato nello Spirito Santo.

3. PRENDERANNO IN MANO I SERPENTI

Il verbo airo] non significa solamente «levare in alto», significa anche: «Portare via, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere». «Prendere in mano i serpenti», come quasi tutte le traduzioni rendono i due termini greci ofeis arousin, con qualche eccezione, come fa il Diodati, per esempio, che traduce: Torranno via i serpenti, non ha certamente il significato di tenere in mano i rettili, in un'esibizione, per far vedere la propria fede e renderla palese, attraverso quest'esercizio, se così si può chiamare. Recentemente venne presentata una trasmissione televisiva di un gruppo di credenti della Virginia, i quali si vantavano di mettere in pratica alla lettera la parola di Marco 16:18 prederanno in mano i serpenti.

Si vedevano questi credenti che, durante le loro riunioni, tiravano dai cassetti, dove erano stati sistemati, i serpenti, e, con una serpe in mano, danzavano e lodavano Iddio. Era una cosa sconcertante vedere un simile spettao e sentire che nel giro di poco tempo, ben undici di loro, erano stati messi a morte, dal potente veleno di quei serpenti, inclusa la figlia del pastore.

Dare quest'interpretazione alla parola di Gesù, significa esporsi a sicuri perii, specialmente se si pensa ai serpenti velenosi, anche se il testo non lo specifica, ma non è da escluderlo, e falsare la parola di Gesù, facendola cadere nel ridio e nel superstizioso. Prendere in mano i serpenti velenosi, ed esibirsi in un eccezionale spettao, non solo non viene garantita l'inumità della persona (e quelli che hanno fatto questa specie di esercizio di fede, diversi l'hanno pagato con la loro mort, ma significa soprattutto interpretare erroneamente la parola di Gesù.

Si racconta di un certo missionario che attraversando una zona deserta, si fermò presso una grotta per passarvi la notte. Mentre egli dormiva, avvolto in una coperta di lana, un grosso serpente velenoso, si attorcigliò intorno al suo corpo. Quando al mattino il missionario aprì gli occhi, vedendo quel grosso rettile attorcigliato intorno a sé, la paura che si prese fu grande; e non sapendo cosa fare, riuscì pian piano ad uscire da sotto la coperta e a darsi alla fuga. Quando però fu fuori della grotta al sicuro, si sentì rimproverato nella sua coscienza, perché aveva lasciato la sua coperta, necessaria per il suo bisogno, dentro la caverna. Ricordando allora le parole di Gesù, secondo il nostro testo, disse a se stesso: sono venuto meno nella mia fede. Ritornò nella grotta, e prendendo per un lato la sua coperta, scosse il serpente ed uscì, portandola con sé.

Gesù aveva detto ai suoi:
Ecco, io v'ho dato la podestà di calcare serpenti e scorpioni, e tutta la potenza del nemico; e nulla potrà farvi del male (Luca 10:19).

Prendendo la promessa di Gesù come una garanzia di sicurezza, in caso di avere a che fare con i serpenti, si può benissimo inquadrare in questa prospettiva, l'esperienza di Paolo nell'isola di Malta (Atti 28: 3,5). Interpretare l'esperienza di Paolo, come se volesse significare l'espulsione di animali nocivi da certi luoghi, in questo caso delle vipere dell'isola di Malta e di S. Patrizio dall'Irlanda, è una pura fantasia, da non meritare la minima attenzione.

4. E SE PUR BEVESSERO ALCUNCHÉ DI MORTIFERO, NON NE' AVRANNO ALCUN MALE

Per quanto concerne il bere alcuna cosa mortifera, non abbiamo nessun riferimento nel N.T. Negli Apocrifi, si afferma che l'apostolo Giovanni, per sfidare l'incredulità di una certa persona, bevve il veleno, senza sentirne alcun nocimento.

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05/10/2011 00:06

Nonostante che non abbiamo nessuna notizia nel N.T. intorno a questa promessa, la parola di Gesù rimane sempre vera e fedele e il credente la potrà esperimentare, nel caso ci fosse un partiare bisogno.

Si racconta di un cristiano che, trovandosi alla presenza di funzionari comunisti, gli venne chiesto se credeva a Marco 16.18 e se pur bevessero alcunché di mortifero, non ne avranno alcun male. Alla risposta affermativa, i funzionari aggiunsero: "Ora vedremo; ti daremo a bere del veleno". Prima però che gli avessero dato il veleno, quei funzionari vollero accertarsi che il loro veleno era potente da poter causare la morte; dando una pica dose ad un cane, questi, dopo averlo ingerito, nel giro di pochi attimi cadde a terra fulminato. Quei funzionari avevano la certezza matematica che quel cristiano non sarebbe stato risparmiato dalla morte. Quel credente prima di bere il veleno, fece una preghiera dicendo: Signore, giammai potrò dubitare della veracità della tua Parola; se la mia ora è arrivata, nelle tue mani rimetto la mia vita. Finita quella preghiera, prese il bicchiere, nel quale era il veleno, e lo mandò giù. Tutti aspettavano che quel credente, nel giro di pochi attimi, sarebbe stato fulminato da quel potentissimo veleno. Ma fu invano la loro attesa, perché egli non morì.

Per chi è imprudenti, usando in modo distorto la Parola del Signore, possiamo benissimo applicare il detto della Scrittura:
L'uomo accorto vede venire il male, e si nasconde; ma i semplici tirano innanzi, e ne portano la pena (Proverbi 22:3).

5. IMPORRANNO LE MANI AGL'INFERMI ED ESSI GUARIRANNO

L'imposizione delle mani sopra gli infermi per guarire, prima che Gesù l'avesse definito «un segno» per chi crederà, era una pia credenza tra gli ebrei, ai tempi di Gesù. La guarigione della figlia del capo della sinagoga Iairo, narrata dai Sinottici, è una chiara testimonianza. In Luca 8:41, si tratta di una preghiera a entrare in casa sua, e che il capo della sinagoga rivolge a Gesù; mentre in Matteo 9:18 è detto espressamente

vieni, metti la mano su lei e lei vivrà, così pure in (Marco 5:23) vieni a mettere sopra di lei le mani affinché sia salva e viva.

Anche se l'invito del padre della fanciulla ad imporre le mani non venne portato a termine da Gesù, risulta chiaro dai Sinottici, che Gesù prese per la mano quella fanciulla ormai morta e la fece ritornare in vita. Per R. Pesch «nel miracolo del risanamento, il gesto dell'imposizione delle mani ha la funzione di trasmettere la forza risanante».

Che l'imposizione delle mani sopra gli infermi sia stata praticata da Gesù, appare chiaramente da (Marco 6:5) che dice:

E non poté far quivi alcun'opera potente, salvo che, imposte le mani ad alcuni pochi infermi, li guarì.

Mentre per il sordo muto della Decapoli, veniamo informati che oro che gli menarono quell'uomo, lo pregarono che gli imponesse la mano (Marco 7:32), ma Gesù gli mise soltanto le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. Per il cieco di Betsaida, ci viene detto chiaramente che Gesù,
lo condusse fuori del villaggio; e sputatogli negli occhi e impostegli le mani, gli domandò: Vedi tu qualche cosa? (Marco 8:23,25).

Gesù non guariva quindi gli ammalati solamente con la «sua parola», ma praticava anche l'imposizione delle mani. Ci è testimoniato chiaramente da Luca 4:40 dove dice:

E sul tramontar del sole, tutti quelli che avevano degli infermi di varie malattie, li menavano a lui; ed egli li guariva, imponendo le mani a ciascuno.

L'imposizione delle mani, non era praticata da Gesù solamente per sanare gli infermi, ma anche per benedire i fanciulli (Matteo 19:13; Marco 10:16). Gli apostoli, seguirono fedelmente Gesù nella pratica dell'imposizioni delle mani per diversi motivi. Per i selezionati che dovevano servire alle mense vien detto che gli apostoli imposero loro le mani (Atti 6:6). Si imponevano le mani per ricevere lo Spirito Santo, (Atti 8:17; 19:6); per accomiatare missionari (Atti 13:3); per sanare dalle infermità (Atti 9:12,17; 28:8); per doni speciali (1 Timoteo 4:14).

Al giovane Timoteo, l'apostolo Paolo, fa una raccomandazione a non essere precipitoso nell'imposizione delle mani (1 Timoteo 5:22). Imporre le mani agli infermi, secondo (Marco 16:18), non è solamente una esclusiva degli apostoli, ma di ogni credente. A volte si avanzano riserve e condizionali, quasi a mettere in forse l'attualità della parola di Gesù, rimandando tutto al tempo passato; stentando a credere che la parola di Gesù, si attui anche ai nostri giorni e per le persone del nostro tempo.

L'imposizione delle mani agli infermi, non deve essere intesa come una pratica abituale e formalistica, ma come un esercizio di fede. Se Gesù ha detto: Imporranno le mani agl'infermi ed essi staranno bene (Diodat, questa è la migliore garanzia, per ognuno che la crede, di esperimentare, la veracità e la fedeltà della sua parola.

DS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura. Inoltre, il presente scritto è stato tratto dal mio libro: “Il grande mandato di Gesù Cristo”. Chi è interessato a comprare questo libro, non dovrà fare altro di rivolgersi all’Editrice Hilkia, presso la quale è disponibile il titolo in questione
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