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Domenico34 - Insegnando le cose che Gesù ha comandato di osservare

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2011 00:08
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31/08/2011 00:16

Questa norma riguardante il dare, può essere applicata in vari settori della vita cristiana e pratica di ogni giorno. Nei vv. 37,38 di questo capitolo 6 di Luca, si menzionano quattro cose specificatamente:

1) Non giudicate (contropartit non sarete giudicati
2) Non condannati (contropartit non sarete condannate
3) Perdonate (contropartit vi sarà perdonato
4) Date (contropartit vi sarà dato.

La legge della corrispondenza, potremmo chiamare queste quattro cose. Inoltre, queste quattro norme, regolano molto bene la vita in tutte le sue manifestazioni, sia per quanto riguarda la fratellanza e sia per quanto concerne il rapporto sociale con le persone con le quali si vive. Le caratteristiche del dare, si possono raggruppare sotto tre aspetti.

1) Dare, come segno e prova che si ama

Questa non è una caratteristica che trovi la sua espressione solamente nella vita umana, ha le radici e la sua origine nell'eternità, in Dio stesso.

Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Unigenito Figliolo, affinché chiunque credesse in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3:16).

L'amore non è un semplice sentimento che si esprime con le sole parole, in parte tenere ed appassionate; è un'azione tangibile che esprime la sfera affettiva più profonda.

Se uno ha dei beni di questo mondo, e vede suo fratello nel bisogno, e gli chiude le proprie viscere, come dimora l'amore di Dio in lui? Figlioletti, non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e in verità (1 Giovanni 3:17,18).

Quando si esprimono sentimenti teneri ed affettuosi (che oggi vengono confusi con gli impulsi passionali e libidinos, spesso si sente la frase: ti amo, rivolta dall'uomo alla donna e viceversa. Nella maggioranza dei casi, quella frase non esprime sentimenti teneri, ma esprime il desiderio di possedere il corpo della donna o dell'uomo, solamente a sfondo sessuale. La storia di Ammon e di Tamar, descritta in 2 Samuele 13, è fin troppo evidente come si possono camuffare sentimenti prettamente passionali con sentimenti di sincero amore. Paolo ne dà un esempio mirabile, quando scrive:

Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, affin di santificarla, dopo averla purificata lavacro dell'acqua mediante la parola (Efesini 5:25,26).

2) Dare, come segno e prova di generosità

Credo che non c'è un altro testo migliore che illustri questo aspetto del dare, come (2 Corinzi 9:6-8), in cui si dice:

Or questo io dico: chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; ma chi semina liberamente, mieterà altresì liberamente. Dia ciascuno secondo che avesse deliberato in cuor suo; non di mala voglia, né per forza, perché Iddio ama un donatore allegro. E Dio è potente da far abbondare su voi ogni grazia, affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quel che vi è necessario, abbondi in ogni opera buona.

L'augurio che Paolo fa è di abbondare in ogni opera buona se si è disposti a questa liberalità; essa potrà essere spronata e concretata se c'è l'amore.

3) Dare, come segno e prova di una vita consacrata al Signore

Quest'aspetto del dare, non è sufficientemente messo nella giusta evidenza, come lo fa la parola di Dio. Il testo di 2 Corinzi 9:6-8, appena menzionato, viene spesso usato per incitare alla generosità. Or io non dico che usare questo testo sotto questo profilo sia sbagliato, ma dobbiamo cercare di capire perché i Macedoni, ai quali Paolo fa esplicito riferimento come esempio da imitare, pur trovandosi nella loro profonda povertà, hanno abbondato nella ricchezza della loro liberalità (2 Corinzi 8:2). La chiara spiegazione, l'abbiamo al v. 5, in cui è detto:

E l'hanno fatto non solo come avevamo sperato; ma prima si sono dati loro stessi al Signore, e poi a noi, per la volontà di Dio.

Spesso, in materia di dare, si adducano le più svariate giustificazioni per spiegare perché non si rispondono a determinati appelli o a determinati bisogni dell'opera del Signore. Tutto viene risolto e risolto brillantemente, quando ognuno consacra la propria vita al Signore.

Dare per quanto riguarda l'opera del Signore

1) Non si darà abbastanza per l'opera del Signore, nella misura che Dio vuole, se non si ama l'opera di Dio. Un certo fratello, trovandosi in una data nazione, chiese ai fratelli di quel paese se avevano scoperto nella parola di Dio qualche segreto, per far dare di più al popolo, visto le loro abbondanti racte che facevano. La risposta fu: non abbiamo scoperto nessun segreto nella Bibbia; l'unico motivo perché noi diamo abbondantemente per l'opera missionaria, è perché amiamo i peccatori e vogliamo a qualsiasi costo la loro salvezza.

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2) Non si darà abbastanza per l'opera di Dio, se non si è ricchi in liberalità. Ci sono quelli che hanno grandi possibilità materiali, e danno poco a proposito delle loro condizioni, perché appunto sono poveri in liberalità; mentre ci sono quelli che hanno poche possibilità materiali, e danno più degli altri, facendo una proporzione, perché appunto sono ricchi in liberalità.

3) Non si darà abbastanza per l'opera del Signore, se la vita non è consacrata a Lui. Tutti i problemi, compreso quello del dare, vengono risolti, quando la vita nella sua completezza, ivi compreso il nostro portafoglio, è consacrato al Signore.

Ritornando alla cosiddetta legge della corrispondenza, possiamo notare questo:

1) Chi vuole essere amato, deve amare. Date e vi sarà dato, si adatta benissimo a quest'aspetto della vita. È importante ricevere affetto, simpatia, premura, amore, se si è disposti a darli.
2) Chi vuole essere aiutato, deve aiutare.
3) Chi vuole essere perdonato, deve perdonare.
4) Chi vuole essere rispettato, deve rispettare.
5) Chi vuole essere onorato, deve onorare.
6) Chi vuole essere amico, deve tivare l'amicizia.

Questo è quello che Dio ha stabilito, e se uno non è disposto a mettere in pratica questo principio divino, non potrà mai esperimentare le promesse veraci e fedeli fatte da Dio.

34. UNA PRECISA DISPOSIZIONE A FARE COME HA FATTO GESÙ

Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io (Giovanni 13:15).

Il racconto riguardante, la lavanda dei piedi, è stato oggetto di svariate discussioni da parte degli esegeti e critici, cominciando con la storicità e poi tutti i problemi che quest'episodio evangelico presenta. Si fa più presto, da parte dei critici ad affermare che l'episodio della lavanda dei piedi non è storico, nel senso che non è mai avvenuto, anziché cercare di capirlo, nel suo contesto neotestamentario.

L'elemento su cui maggiormente si insiste, per rifiutare la storicità, è perché non è presente nella storia Sinottica. Questo però non è un buon motivo per rigettare la sua storicità, soprattutto quando si pensa che la lavanda dei piedi avvenne durante l'ultima riunione che Gesù ebbe con i suoi apostoli, prima della sua morte. Se poi si aggiunge che ogni evangelista raccoglie materiale che si armonizzi o favorisca lo sviluppo per ciò che l'evangelo è stato scritto, si capisce subito perché Giovanni nella sua opera, includa la lavanda dei piedi, cosa che non fanno Matteo, Marco e Luca, secondo il piano di lavoro che ognun di loro si era proposto di raggiungere. Dando per scontato la storicità della lavanda dei piedi, cerchiamo piuttosto di capire che cosa voleva insegnare Gesù ai suoi discepoli.

L'atto sacramentale, così come spesso viene definito, non è rintracciabile nella cristianità, se non dopo l'IV seo. Si dice comunemente che Gesù in questa circostanza, prese il posto del servo, lavando i piedi degli apostoli. C'è chi aggiunge che questo non era il lavoro del solo servo che lavava i piedi, era anche l'attività che faceva ogni capo di famiglia a tutte le persone che venivano ospitate nella sua casa. Che un servo viene pagato per svolgere questo specifico lavoro, è fuori discussione, secondo l'usanza presso gli ebrei.

La lavanda dei piedi venne fatta da Gesù, non solo in conseguenza del fatto che Egli sapeva che il Padre gli aveva dato ogni cosa nelle sue mani, ma anche e soprattutto perché era arrivato il tempo di ritornare al Padre (v. 3). Se nessuno degli apostoli sapeva quando terminava la missione di Gesù tra gli uomini, quale essere umano, Gesù, conosceva perfettamente che il suo tempo (di stare in mezzo agli esseri umani com'essere umano), stava per compiersi. Fu proprio in vista del compimento di questa sua missione, che Cristo volle lavare i piedi ai suoi.

La lavanda dei piedi, per Gesù, era più di una semplice usanza o di un semplice segno di amore e di accoglienza; era un'azione esterna che manifestava tutta la portata dell'umiltà che, Egli volle insegnare, non solamente con una bella predica, ma con un atto tangibile, che avrebbe suggellato il suo insegnamento nella vita degli apostoli.

Quando Cristo chiese: capite quel che vi ho fatto? (v. 12), sapeva perfettamente che i suoi, in quel momento, non riuscivano a capire la portata di quella sua azione. Come giustamente Gesù disse a Pietro: tu non sai ora quel che io faccio, ma lo saprai dopo (v. 7), nello stesso modo, gli apostoli, più in là, per mezzo dell'opera dello Spirito Santo nella loro vita, avrebbero capito in profondità, perché Gesù in quel giorno lavò loro i piedi.

Il fatto che voi mi chiamate Maestro e Signore, è una buona cosa, perché risponde a verità, cioè, io sono veramente il Maestro e il Signore. Ora, se questa è la vostra precisa certezza, prendete nota di quello che io ho fatto, in modo che anche voi facciate come vi ho fatto io (v. 15). Con quest'argomentazione che Gesù fece ai suoi, la sua parola acquista più importanza, non solo per il fatto che Gesù accetta i due titoli di Maestro e Signore, ma soprattutto per la dimostrazione pratica che Egli ha voluto dare loro. In altre parole, Gesù voleva dire loro: Se io che sono il Maestro e il Signore, posizione che mi distingue rispetto agli altri (si noti che il greco ha per i due vv. 13,14, l’articolo determinativo ho davanti a Maestro e Signore, e questo denota che la posizione di Gesù, in qualità di Maestro e Signore, non era comune, nel senso che poteva essere paragonata come uno dei tanti, ma come il Maestro e il Signore per eccellenza.

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02/09/2011 00:08

Se dunque io che posso chiamarmi il più grande dei Maestri e dei Signori, ho lavato i piedi a voi, mettendo da parte la mia posizione altamente privilegiata, è forse granché se chiedo a voi di fare come ho fatto io?

Il fatto che Cristo abbia detto: anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri (v. 14), non significa che venisse ordinato di fare la lavanda dei piedi una volta l'anno, in occasione della ricorrenza della Pasqua, e tanto meno che Gesù incaricava uno dei suoi apostoli, (in questo caso Pietro, si dirà da qualche parte come loro capo) ad eseguire la lavanda dei piedi. Se questa fosse stata l'intenzione e l'insegnamento di Gesù, Egli l'avrebbe chiaramente indicato. Bisogna aspettare più di quattro sei perché questa tendenza sacramentale, cominci a manifestarsi nella Chiesa.

Se la lavanda dei piedi, fosse una pratica riservata al Sommo Pontefice, dirà la Chiesa Romaniana, ci sorprende come mai Paolo, presenta la vedova, per essere iscritta nel catalogo delle vedove, come ei che ha lavato i piedi ai santi (1 Timoteo 5:10). Questa è la prova neotestamentaria che la lavanda dei piedi, nell'era apostolica, non era considerata, né sacramentaria e tanto meno un'esclusiva del loro capo.

Ci sono poi quelli che asseriscono che siccome Cristo lavò i piedi agli apostoli, nello stesso giorno che istituì l'eucaristia o la Santa Cena, va da sé che ogni volta che si celebra la Cena, si faccia la lavanda dei piedi. Ma anche per questa interpretazione, Gesù avrebbe dovuto specificare, senza lasciare all'arbitrio dell'uomo una simile pratica. Nella stessa maniera che viene specificato: Fate questo in memoria di me, e: Fate questo ogni volta che ne berrete (1 Corinzi 11:24,25). La conclusione più ovvia e coerente che si può ricavare dal nostro testo, è che Gesù volle dare un insegnamento di umiltà, da mettere in pratica, non solamente nel giorno che si celebra la S. Cena, ma durante la vita di tutti i giorni, e non soltanto da colui che fa il capo, ma da tutti i seguaci di Gesù.

Il fatto poi che Gesù specifichi: io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io, rafforza l'interpretazione di cui sopra. Gesù in qualità di Maestro e Signore ha dato un esempio, e questo suo modello va tradotto in azione nella vita di ogni componente il Suo corpo. Non c'è posto nella Chiesa del Signore per i sentimenti di grandezza e di superbia, non che non si possano manifestare nella vita delle persone, ma nel senso che Gesù non li accetta e non li approva. Nella vita degli uomini, i sentimenti di grandezza non sono presenti solamente, ma sono anche tivati e sfruttati. Non così deve essere nella vita della chiesa di Gesù Cristo.

Se alcuno vuole essere il primo, dovrà essere l'ultimo di tutti e il servitore di tutti (Marco 9: 35).


Alcuni commentatori fanno rilevare il Facciate come vi ho fatto io, per affermare che c'è differenza se Gesù avesse detto: facciate quello che ho fatto io. Nel caso Gesù avesse detto quello al posto di come, apparirebbe chiaro la lavanda dei piedi come una pratica da osservare, non solo in certi momenti dell'anno, ma come una prassi normale nella vita della chiesa. Ma siccome Gesù ha detto come, l'insegnamento dell'umiltà, appare evidente nella sua più vasta manifestazione nella vita di tutti i giorni. Seguiamo Gesù in questo suo divino insegnamento, ed insegniamolo ad altri a farlo osservare.

35. UNA PRECISA DISPOSIZIONE AD AMARCI GLI UNI GLI ALTRI

Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, com'io v'ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri (Giovanni 13:34).

Il comandamento dell'amore che Gesù dà ai suoi discepoli e cui dà una precisa qualifica indicandolo come nuovo, è una norma per la vita di ogni seguace di Cristo, senza la quale non è possibile qualificarsi come discepolo di Gesù. Anticamente, la legge di Mosè comandava ad Israele di amare il prossimo come te stesso (Levitico 19:18). Questa norma non venne affatto modificata né dai profeti, né da Gesù e né dai suoi apostoli. Cristo stesso, per quanto riguarda la norma dell'amore, specifica che questo amore deve avere due direzioni: Uno che riguarda Dio e uno che riguarda il prossimo.

L'amore per Dio, è il primo e grande comandamento; e l'amore per il prossimo, è il secondo, altrettanto grande, che assieme fanno dipendere tutta la legge e i profeti (Matteo 22:37-40). Più tardi, l'apostolo Paolo dirà che in un'unica parola si adempie tutta la legge: Ama il tuo prossimo come te stesso (Galati 5:14). Dal canto suo, Giovanni aggiunge che non si può amare il fratello, se non si ama Dio (1 Giovanni 4:21). Dal momento che questa norma di amare era già stata data, quale bisogno c'era che Gesù dicesse: Io vi do un nuovo comandamento? Era veramente nuovo il suo comandamento, oppure con quella parola Cristo voleva insegnare qualcosa di diverso e di più profondo?

Sicuramente era quest'ultimo concetto che Gesù voleva imprimere nella vita dei suoi discepoli, e portarli ad un livello di conoscenza a cui non erano abituati, circa la profondità di questo amore che veniva loro presentato come un nuovo comandamento. La novità dell'amore non consisteva nella forma, ma riguardava la sostanza, la qualità. La parola chiave per comprendere questo nuovo comandamento, consiste nel saper valutare la portata della frase: Com'io v'ho amati. In altre parole, Gesù voleva dire questo: Voi conoscete la norma dell'amore, perché la legge insegna di amare. Io però non vi presento questa legge come modello, ma presento me stesso, e, con l'amore quale io v'ho amati, vi dovete amare gli uni gli altri. Si capisce subito perché Gesù parla di nuovo comandamento, e perché ordina ai suoi seguaci di amare secondo questa Sua nuova direttiva.

Secondo il concetto neotestamentario, amare, non è semplicemente un'espressione verbale, in parte accentuata che in ultima analisi si esprime con delle belle parole sentimentali. Amare è più di una semplice espressione, è più di un semplice sentimento; amare è un donare se stesso per gli altri.

Iddio ha tanto amato il mondo che egli ha dato il suo Unigenito Figliolo (Giovanni 3:16). Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (Efesini 5:25).

Questo tipo di amore è caratterizzato essenzialmente da un'azione visibile e tangibile. Era in vista di questo tipo di amore che Giovanni poteva esortare:
Figlioletti, non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e in verità (1 Giovanni 3: 18).

Se si considera attentamente come Gesù amò i suoi discepoli, ci si rende conto che il suo amore, a parte che era diverso rispetto a quello che si poteva notare tra gli uomini, diverso anche da quello di cui parlava la legge, era anche e soprattutto diverso, nel suo contenuto, perché era un amore divino. Gesù non amò i suoi discepoli con l'amore umano e terreno, li amò con l'affetto divino, perché lui era divino.

Spessissimo, l'amore umano ha solo parole e nient'altro che vocaboli; a differenza dell'affetto umano, quello divino, non ha confini, non si ferma davanti ad un ostao; non è discriminatorio; non si manifesta a corrente alternata, non è sbiadito nel suo ardore, non è impotente nella sua azione, non si ferma nel suo cammino, non è neutralizzato dall'indifferenza e non è spaventato da una qualsiasi forma d'incredulità.

Gesù sapeva che l'uomo, a causa della sua depravazione, non solo si era allontanato da Dio, ma si era anche rivolto contro Dio, era diventato un suo spietato nemico. Solo l'amore divino, manifestato nella persona di Gesù Cristo, ha potuto affrontare l'uomo nella sua enorme cattiveria, riconducendolo e riconciliandolo con Dio. Aveva perfettamente ragione Gesù quando affermò:

Nessuno ha amore più grande di quello di sacrificare la sua vita per i suoi amici (Giovanni 15: 13).


Più tardi, l'apostolo Paolo fece il più gran commento, quando scrisse:
Perché, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Poiché a mala pena uno muore per un giusto; ma forse per un uomo da bene qualcuno ardirebbe morire; ma Iddio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi (Romani 5: 6-8).

Gesù non ordina di amarci gli uni gli altri, con l'amore umano e terreno, comanda di amore, come Lui ci ha amato. Sorretti ed animati da quest'amore, si può amare la persona che fa torto o arreca danno; si può amare qualcuno che offende; si può amare la persona che pensa solo a se stesso; si può amare l'egoista e il tiranno; si può amare l'indifferente e chi non ha nessuna sensibilità di saper apprezzare un bene che gli viene fatto.

Chi ama come Gesù ha amato, non si ferma davanti ad un'offesa, non s'inasprisce quando non è compreso, non cerca di ricambiare con la stessa misura, non si ferma quando c'è cattiveria ed invidia, non cessa di operare verso chi si vanta e si gonfia; non si comporta in maniera sconveniente, non agisce a vantaggio del proprio egoismo; non gode quando gli viene fatta un'ingiustizia; non alimenta sospetti di male, non dispera se non vede subito risultati; sa aspettare, ed aspettare con pazienza, sa soffrire in silenzio, sa sperare nel domani, e soprattutto sa credere che l'amore è più forte che qualsiasi cosa e può abbattere le più ferree resistenze.

Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.

Facciamo nostro questo preziosissimo ammaestramento; lasciamo che la nostra vita sia permeata da questo sublime amore, in modo che tutti possano vedere e conoscere a chi apparteniamo. Tutto quello che si è detto nel corso di questa trattazione, l'abbiamo fatto unicamente per mettere in risalto il valore e l'importanza della parola di Cristo: insegnando loro d'osservare tutte quante le cose che vi ho comandato.

DS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e saremo felice di rispondere. Inoltre, questo scritto, con un’aggiunta rispetto al testo originale, è stato tratto dal mio libro: “Il grande mandato di Gesù Cristo”. Chi è interessato all’acquisto di questo libro, potrà rivolgersi all’Editrice Hilkia, presso la quale è disponibile questo testo. Grazie!
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