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Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 21. DUE SIMILITUDINI

Ultimo Aggiornamento: 15/05/2011 00:05
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14/05/2011 01:48

Quando raccontò la parabola della pecora smarrita, Gesù aveva fatto comprendere ai Suoi ascoltatori qual fosse il vero atteggiamento di un pastore-guida nei confronti del proprio gregge. Non certo quello di scacciare una pecora, bensì di cercarla se si smarrisce e caricarsela sulle spalle se è stanca, abbattuta e prive di forze.

Il fatto che i farisei avessero scacciato dalla sinagoga l’uomo nato cieco che Gesù aveva guarito (Giovanni 9:22,35) aveva dimostrato che queste persone, che Gesù definiva guide cieche (Matteo 23:16), non erano dei veri pastori che si prendevano cura delle pecore, mentre Gesù, nell’interessarsi a quell’uomo che era stato cacciato fuori (Giovanni 9:35), dimostrò di avere le qualità di un vero pastore.

Fu in quell’occasione che Gesù fece quella solenne affermazione: «Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi» (Giovanni 9:39). Al che, alcuni dei farisei, sentendo quelle parole Gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?»
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane» (Giovanni 9:40-41).

Tenendo presente questo contesto, si può comprendere meglio il ragionamento di Gesù quando Egli passò a spiegare la similitudine. In questo capitolo dieci del vangelo di Giovanni, ricorre la famosa frase egō eimi = io sono: Io sono la porta delle pecore; Io sono la porta; Io sono il buon pastore. Con questa Sua autodefinizione, Gesù mise, in effetti, in evidenza le prerogative divine che riguardavano la persona del Cristo, il Messia, quale Egli era.

Ci meravigliamo come questi autori abbiano potuto dare quel significato alle parole di Gesù, visto che Egli li applicò a Se stesso in maniera specifica e definitiva. Quando si cerca di spiritualizzare troppo la Scrittura, con il pretesto di scavare a fondo, si finisce con l’affermare quello che Il testo sacro non intende dire.

Che cos’è l’ovile? Un luogo dove le pecore venivano radunate e messe al sicuro, la sera, durante la notte. In questo recinto c’era una porta attraverso la quale passavano le pecore. Il guardiano era una persona incaricata di guardare e custodire le pecore da eventuali assalti dei briganti e dei lupi, che facevano di tutto per impadronirsi del bestiame. È molto significativo che Gesù non definisca se stesso il guardiano; questo sta a significare che tale funzione era svolta da qualcun altro. Schnackenburg considera il guardiano «una figura accessoria, della quale però si è impadronita l’esegesi allegorica» [Ibidem, pag. 472, nota 14. Per Crisostomo, era Mosè; per Agostino, Teodoro d’Eraclea, Teofilatto. Per Rupert v. Deutz e altri, lo Spirito Santo. Altri ancora pensavano a Giovanni Battista (ad es. Zahn), a Dio stesso (Calvino, Maldonado) o ancora a Cristo (Agostino, Cirillo Alessandrino). A. J. Simonis, teso alla ricerca di un fondamento storico, riferisce il guardiano a persone che hanno una funzione nel tempio (155), forse Caiafa (157) o tutti i gran sacerdoti insieme coi Farisei (158). Essi dovevano aprire a Gesù la porta d’Israele, ma non (1) l’hanno fatto (159)].

Tenuto conto che Gesù si è definito, con un linguaggio fermo e deciso, la porta delle pecore, il pastore, poi fa un’affermazione ardita: Tutti quelli che sono arrivati prima di me, sono stati ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati (v. 8). Ma chi sono costoro a cui Gesù si riferisce? Certamente non si può pensare ai profeti e ai re come Mosè, Elia, Davide, perché questi sono considerati da Giovanni uomini di Dio (Giovanni 1:17; 5:39). Non si può neanche parlare di Giovanni Battista, testimone di Gesù (Giovanni 1:19) e amico dello sposo (Giovanni 3:29). Perciò si deve trattare di uomini che hanno avanzato una falsa pretesa messianica. I padri della chiesa pensavano a Giuda il Galileo e Teuda. Il fatto, però, che Gesù li bolli come ladri e brigani fa pensare più esattamente a un gruppo composto dai falsi pretendenti messianici e dai capi politici e spirituali del popolo. I più, infatti (e noi siamo nel numero di costoro), pensano che si tratti dei Farisei quali capi cattivi d’Israele, ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore (Giovanni 10:25-26).

Ci resta da fare un’ultima considerazione: chi è il mercenario, visto che non si comporta come il pastore? È una persona presa a pagamento, secondo l’usanza di quei tempi, che svolge il compito di guidare un gregge e condurlo al pascolo. Non è il proprietario delle pecore; è uno che tiene più al denaro che percepisce anziché prendersi cura veramente delle pecore. Infatti, viene precisato che, se questi vede arrivare il lupo, invece di rimanere in mezzo al gregge per difenderlo, lo lascia e fugge. Perché fa questo? Perché appunto non è il proprietario delle pecore. Gesù, il buon pastore, proprietario delle pecore, sacrifica la Sua vita per loro: le difende, le protegge e si cura veramente di ognuna di loro, dimostrando interesse e premura affettuosa.
Di mercenari, nell’opera di Dio, ce ne sono tanti. Sono quelli che hanno fatto del denaro il loro Dio o, come afferma Paolo, il cui dio è il ventre (Filippesi 3:19) [Per l’esegesi di tutto il brano, che abbiamo riportato all’inizio, cioè 10:1-21, rimandiamo a R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, parte seconda, pagg. 466-505].

Il testo

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo.
Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più.
Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla.
Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli
(Giovanni 15:1-8).

NOTA INTRODUTTIVA

I capitoli 14, 15 e 16 di Giovanni sono considerati i discorsi d’addio che Gesù pronunciò prima della Sua morte. I discorsi in questione sono indirizzati ai discepoli di Gesù e mirano a dare loro precise istruzioni e incoraggiamento per i momenti critici che attraverseranno. Le promesse che vengono fatte hanno lo scopo di rafforzare la fede dei discepoli di Gesù, con la prospettiva del loro sviluppo e della loro crescita spirituale. La venuta dello Spirito Santo — o del Consolatore, secondo come Gesù predilige esprimersi — e la Sua attività vengono ampiamente illustrate, tanto da non lasciare alcuna incertezza nella mente e nel cuore dei seguaci di Gesù.

Lo scopo principale della similitudine della vite e dei tralci è di far vedere l’opera del Padre, come vignaiuolo, nel togliere via quei tralci che non portano frutto, mentre quelli che lo portano vengono potati in modo che ne diano di più. Infine, il segreto per portare frutto abbondante non consiste solamente nella potatura che fa il Padre, ma anche e soprattutto nel dimorare in Gesù. In conclusione, c’è una bella promessa che attende i credenti: Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto.

«Col maiestatico egō eimi ha inizio il discorso figurato della vera vite e dei tralci. L’espressione “discorso figurato” ci sembra preferibile, perché esso non è né una pura allegoria né un “discorso vero e proprio”» [R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, parte terza, pag. 158].

È certo che Gesù, come vera vite, non possa essere paragonato alla vite descritta nel profeta Ezechiele, da cui mettiamo in rilievo i seguenti passi:

Figlio d’uomo, il legno della vite che cos’è più di qualunque altro legno? Che cos’è il tralcio che è fra gli alberi della foresta?
Esso crebbe e diventò una vite estesa, di pianta bassa, in modo da avere i suoi tralci rivolti verso l’aquila, e le sue radici sotto di lei. Così diventò una vite che fece dei pampini e mise dei rami
.

I primi due passi vengono applicati ad Israele infedele; gli altri, in forma parabolica, alla casa ribelle d’Israele e al re di Babilonia che è giunto a Gerusalemme, ha preso il re e i capi e li ha condotti con sé a Babilonia (Ezechiele 17:12).

Si continuerà il prossimo giorno...
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