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Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 20. PARABOLE CHE PARLANO DELL’AGIRE DECISAMENTE

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2011 00:13
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11/05/2011 00:30


Capitolo 20




PARABOLE CHE PARLANO DELL’AGIRE DECISAMENTE




Il testo

Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni.
Il fattore disse fra sé: Che farò, ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno.
So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l’amministrazione.
Poi disse a un altro: E tu, quanto devi? Quello rispose: Cento cori di grano. Egli disse: Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta.
E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.
E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi.
Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere?
E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri?
Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona»
(Luca 16:1-13).

NOTA INTRODUTTIVA

La parabola dell’amministratore infedele è riferita solo da Luca. Nel primo versetto si precisa che Gesù stava parlando con i Suoi discepoli. Quindi, con la parabola in questione Gesù non pensava ai capi religiosi giudei, ma ai Suoi discepoli, ed era a loro che Egli voleva insegnare qualcosa che aveva a che fare con la vita pratica, in vista di particolari situazioni che avrebbero potuto incontrare nel loro cammino. Parlando della parabola dell’amministratore disonesto, qualcuno l’ha definita difficile [C. H. Dodd, Le parabole del regno, pag. 32]. Qualche altro ha classificato il v. 8a «enigmatico che ha creato parecchie difficoltà agli esegeti: “E il padrone lodò l’accortezza di quell’amministratore disonesto”». Con la maggioranza degli interpreti odierni si deve ammettere che il v. 8a non fa più parte del discorso di Gesù. Anche il v. 8b: «“I figli di questo mondo nei rapporti con i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”», non appartiene certamente alla parabola originale; quindi questa spiegazione non risale a Gesù. Anche il v. 9 è un’aggiunta secondaria, e inoltre dà alla parabola un’interpretazione del tutto diversa: «“Io vi dico: fatevi degli amici con l’aiuto dell’ingiusto mammona, affinché quando (per voi) sarà la fine, vi accolgono nelle dimore eterne”». Anche i vv. 10-12 non appartengono alla parabola originale, ma sono stati messi qui a proposito dell’evangelista e ne costituiscono un’ulteriore interpretazione”» [A. Kemmer, Le parabole di Gesù, pag. 126].

Come si può notare benissimo dalla citazione che abbiamo riportato di quest’autore, per aggirare le difficoltà che presenta la parabola, gli esegeti hanno pensato che i versetti in questione non siano da attribuire a Gesù, ma che sia stato Luca ad inserirli. Affronteremo questi elementi che sono stati evidenziati nel corso dell’Esame della parabola per vedere se confermarli o no.

Esame della parabola

Jeremias consiglia di «presupporre condizioni proprie della Galilea; il plousios è presumibilmente inteso come proprietario di un vasto terreno, con un amministratore sul posto. All’Oriente sono ignoti tanto la contabilità quanto ogni controllo regolare» [J. Jeremias, Le parabole di Gesù, pag. 121].

È abbastanza chiaro che al ricco padrone della parabola qualcuno avesse riferito che il suo fattore non era onesto nell’amministrazione. Davanti a questa notizia, il padrone ordinò al suo fattore di rendere conto dell’amministrazione, soggiungendogli anche che non avrebbe potuto continuare ad essere il suo amministratore. Davanti ad una simile comunicazione, il fattore escogitò una manovra volta ad assicurarsi il futuro, allorquando il suo padrone lo avrebbe sospeso dall’incarico:

egli convocò presso di sé uno per uno i debitori del suo padrone, e al primo chiese: Quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento bati di olio. Egli disse: Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta.
Poi disse ad un altro: E tu, quanto devi? Quello rispose: Cento cori di grano. Egli disse: Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta
.

Davanti ad un simile procedimento, qualcuno ha chiesto: chi erano i debitori? La risposta è stata: gli affittuari,

«i quali devono versare una data parte del reddito della loro terra come fitto, o grossisti che hanno ottenuto forniture contro titoli di debito. 100 bath (= 36,5 hl. di olio corrispondono al provento di 146 olivi e ad un debito di circa 100 denari; 100 kor ( = 364,4 hl.) di frumento sono 275 quintali e corrispondono al reddito di 42 ettari per una somma di circa 2.500 denari. Si tratta dunque di debiti assai rilevanti. L’abbuono (18 hl. di olio, 73 hl. di grano) è di valore pressappoco pari in entrambi i casi, poiché è assai più caro del grano; espresso in denaro esso equivale a 500 denari» [Ibidem, pag. 222].

Poiché la parabola parla solo di due debitori, mentre risulta che furono chiamati tutti uno per uno, sicuramente gli altri che non vengono menzionati avranno avuto lo stesso trattamento, cioè avranno ricevuto l’abbuono del loro debito. Siccome un simile procedimento è stato compiuto a danno del padrone, dal punto di vista commerciale è pura disonestà, passibile di pena dal punto di vista legale. Il v. 8a afferma che il fattore disonesto fu lodato dal padrone. Siccome questo versetto presenta parecchie difficoltà, gli esegeti cercano di evitarle, mettendo in campo due interpretazioni. Alla domanda su chi fosse il padrone, alcuni hanno risposto il proprietario terriero. Se questi lodò il fattore, non lo fece per la sua disonestà, ma perché aveva agito con scaltrezza e avvedutezza. Si fa osservare che con quest’interpretazione il v. 8a fa ancora parte del discorso di Gesù. La lode del padrone non si riferisce alla disonestà del fattore, ma alla decisione con cui egli ha agito per assicurarsi l’avvenire.

Secondo un’interpretazione recente, il v. 8a andrebbe tradotto così: «E il padrone maledisse l’amministratore infedele, perché aveva agito subdolamente». Cioè condannerebbe il suo modo d’agire fraudolento. Si comprende subito come, con questa traduzione, diventi un problema mettere in bocca a Gesù il versetto in questione. Ecco perché diversi esegeti hanno preferito pensare che il v. 8a non faccia parte della parabola originaria, ma che fu aggiunto in seguito o da Luca o da qualcun altro. Dal confronto che abbiamo fatto di diverse traduzioni, non ci risulta che il versetto in questione sia stato tradotto nel modo in cui è stato suggerito. L’interpretazione che vede il proprietario lodare la scaltrezza e l’avvedutezza dell’amministratore volta ad assicurarsi il futuro, e non l’azione fraudolenta, ci sembra più coerente dell’altra interpretazione, anche perché non c’è bisogno, per evitare la difficoltà, di pensare ad un’aggiunta successiva, magari dell’evangelista Luca.

Si continuerà il prossimo giorno...
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