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Domenico34 – Alcuni imperativi della Bibbia – Capitolo 15. Una norma di comportamento cristiano

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2011 02:09
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20/03/2011 02:27


Capitolo 15




UNA NORMA DI COMPORTAMENTO CRISTIANO




Il testo biblico

«Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano;
benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano.
A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra; e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica.
Dà a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare.
E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori amano quelli che li amano.
E se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori fanno lo stesso.
E se prestate a quelli dai quali sperate di ricevere, qual grazia ne avete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto.
Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro
(Luca 6:27-36).

Nota preliminare

Quasi le stesse parole si leggono in Matteo 5:38-48, con la differenza che Luca adopera una frase che non si trova in Matteo, cioè che le parole del Maestro erano rivolte a quelli che ascoltavano. Questo significa che la parola di Gesù, non è stata rivolta ad una speciale categoria di persone, ma a tutti quelli che lo ascoltarono in quel tempo e che lo ascoltano ora in qualsiasi momento e luogo, includendo le persone di ogni strato sociale.

Quello che a noi preme mettere in risalto, è la forma imperativa che Gesù adoperò. Se Egli adoperò questa forma verbale, lo fece essenzialmente per farci comprendere che, le Sue parole, non devono essere valutate, come se fossero un semplice consiglio, ma come un preciso comando, da mettere in pratica.
«Gesù menzionò sette aspetti di un amore incondizionato. Questi comportamenti, non certo frutto di abilità umane, hanno bisogno di capacità soprannaturali e quindi costituiscono prova di vera giustizia» [John A. Martin, Investigate le Scritture, Nuovo Testamento, pa. 238].

Dal testo riportato, si può formulare il seguente schema:

1. Amate i vostri nemici;
2. Fate del bene a quelli che vi odiano;
3. Benedite quelli che vi maledicono;
4. Pregate per quelli che vi oltraggiano;
5. Non ricambiate un torto subito;
6. Donate con generosità;
7. Trattate gli uomini come vorreste essere trattati da loro.

Su questi punti, possiamo approfondire la nostra riflessione, per cercare di comprendere la portata dell’insegnamento di Gesù. Anche se è vero che, attraverso i secoli, il “Sermone sul monte” è stato oggetto di minuziose analisi e considerazioni da parte di tanti studiosi e commentatori, tuttavia, non è mai superfluo parlare e scrivere sulle parole di Gesù.

1. Amate i vostri nemici

Nel precedente capitolo abbiamo parlato del comando di Gesù, rivolto ai Suoi discepoli, di amarsi gli uni gli altri, mentre qui si parla di amare i nemici. Ogni persona che ascolta le parole del Cristo, e li accetta come norma di condotta, deve pensare che, oltre ad avere degli amici, con i quali condividere l’amore del Signore e le varie esperienze della vita, e soprattutto di quelle cristiane, potrebbero esservi di quelli che manifesteranno ostilità nei suoi confronti. Questo, logicamente, non sarà da concepirsi nell’ambito della famiglia cristiana, (anche se non si può escludere del tutto) ma al di fuori di essa.

Quali sono le caratteristiche di un nemico? Trascriviamo la definizione linguistica, del termine “nemico”:

«Chi nutre sentimenti di odio, di ostilità, di avversione, di astio nei confronti di qualcuno e, comportandosi in conformità, per lo più cerca concretamente di danneggiarlo, di fargli del male, di nuocergli; antagonista, rivale, avversario» [S. Battaglia, GDLI (Grande dizionario della lingua italiana), Vol. XI, pag. 341].

Dal punto di vista umano, si sa che, l’atteggiamento che si assume nei confronti di un amico, non è lo stesso di quello che si manifesta ad un nemico. È in questo settore della vita sociale che Gesù, con il Suo intervento, ha apportato delle novità e dei veri radicali cambiamenti, che potranno creare una nuova atmosfera e stabilire un nuovo rapporto. Amare, infatti, il nemico, rappresenta, non solo una novità che nessuno ci aveva mai pensato, ma anche una svolta decisiva, tendente a stabilire una nuova relazione umana.

“Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico".
Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano
(Matteo 5:43-44).

Non serve a niente ricordare il passato che ha causato l’ostilità, o elencare i soprusi subiti e i torti ricevuti. Il ricordo di questi eventi, non faranno altro che riaprire le vecchie ferite e ravvivare il fuoco del risentimento, anziché spegnerlo ed eliminarlo. Amare il nemico, dal punto di vista pratico significa, affrontare il più grande ostacolo che si oppone: l’odio dell’uomo. Se quest'ostacolo non verrà rimosso dal cuore e dai sentimenti dell’essere umano, non sarà facile dimenticare un danno subito o un male ricevuto.

Amare il nemico, infatti, significa trattare con benevolenza, chi ti ha danneggiato nella tua reputazione, nei tuoi affari; chi ha causato dei mali, sia nella tua vita che nella tua famiglia; chi è stato un avversario, un rivale, uno spietato antagonista. Gesù comanda di amare questo persona!

L’apostolo Paolo, da parte sua, ispirato dallo stesso spirito che animava Gesù Cristo, lasciò scritto:
«Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo» (Romani 12:20).

Questi carboni accesi che si raduneranno sul suo capo, che è una citazione di (Proverbi 25:21-22) non avranno lo scopo di distruggerlo, ma di risvegliarlo, per fargli comprendere che la via dell’odio e dell’ostilità che ha calcato, è un sentiero che lo condurrà alla perdizione eterna, se non si pentirà.

«Per il discusso v. 20b si propongono due interpretazioni: 1. Nel senso di un atto punitivo, come ad es., in 4 Esdr. 16,54: «Il peccatore non dica di non avere peccato. Perché carboni ardenti bruciano sul capo di colui che dice: ‘Io non ho peccato davanti a Dio e alla sua giustizia’» (cfr. Ps. 140,11); 2. nel senso di una pena, che suscita pentimento, come nel Targum [Nome con cui si indicano le traduzioni e paràfrasi in aramaico dei libri del Vecchio Testamento. (Dizionario enciclopedico Sansoni)] a Prov. 25,21: «Poiché tu raspi carboni ardenti sul suo capo, e Dio te lo consegnerà o ne farà il tuo amico». Probabilmente si deve intendere pure Paolo in quest’ultimo senso. «Carboni ardenti» è anche qui un’immagine del giudizio punitivo. Ma chi li prende (in una bacinella) sul suo capo, accetta la punizione e dà un segno di pentimento. Il nemico, saziato dall’amore, giungerà a pentirsi e diventerà un amico. Quest’ultima esortazione, come ammonimento a sé stante, approfondisce ancor di più l’amore richiesto dalla misericordia di Dio, ridicolizzandolo fino all’amore per il nemico. Il sacrificio è, da ultimo, l’amore verso il nemico, che è assieme impossibile e possibile» [H. Schlier, La lettera ai Romani, pagg. 616-617].

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«I carboni sul capo, potrebbero riferirsi ad un rito dell’antico Egitto in cui il colpevole mostrava il suo pentimento portando un braciere di carboni accesi sul capo; l’aiuto, e non la maledizione, rivolto al nemico può condurlo alla vergogna ed al pentimento. Come riassume Paolo: “Non lasciarti vincere dal male”, cedendo alla tentazione di vendicarti, ma “vinci il male con il bene”» [John A. Witmer, Investigate le Scritture, Nuovo Testamento, pag. 523].

«Citazione da Proverbi 25:21s. Paolo omette la parte conclusiva, «e l’Eterno ti ricompenserà». Il significato originale dell’ammonizione poteva essere stato questo: «Tratta gentilmente il tuo nemico, perché ciò accrescerà la sua colpa; tu assicurerai così a lui un giudizio più tremendo, e a te una ricompensa migliore — da parte di Dio». Un punto di vista alternativo è che il proverbio si riferisca ad un rito egiziano nel quale l’uomo portava sulla testa un recipiente con dei carboni accesi per dare una pubblica dimostrazione della sua penitenza. In ogni caso, ponendo il proverbio in questo contesto ed omettendone l’ultima parte, Paolo gli dà un significato più elevato: «Tratta gentilmente il tuo nemico, perché questo può farlo vergognare e condurlo a pentirsi». In altre parole, il modo migliore per liberarsi di un nemico è quello di fare a lui un amico, e così «vincere il male col bene» [Frederick F. Bruce, L’epistola di Paolo ai Romani, pag. 281].

«Evitando la vendetta, facendo anzi del bene al suo nemico il credente, come si legge in Proverbi 25:21, accumulerà dei carboni accesi sul suo capo. Che cosa vuol dire? Che aggraverà la punizione divina perché la sua magnanimità metterà in risalto la malvagità dell’avversario? Agire così sarebbe equivalente a desiderare il male dell’avversario. Invece, l’immagine può essere una metafora che allude ad un bruciante sentimento di vergogna e di rimorso, foriero di ravvedimento e di riconciliazione. Così si spiega il v. 21, riassuntivo: attraverso la condotta dei credenti, che cercano di lasciare operare nella loro vita l’amore di Dio (5:8) per loro, il male cessa d’essere la potenza dominante di questo mondo perché è vinto dal bene» [Bruno Corsani, Il Nuovo Testamento annotato, Vol. III Le epistole di Paolo, pagg. 65-66].

2. Fate del bene a quelli che vi odiano

La Scrittura ci esorta a non stancarci di fare del bene (Galati 6:9); di aborrire il male e attenerci fermamente al bene; di impegnarci a fare il bene davanti a tutti gli uomini (Romani 12:9,17). Questo è l’insegnamento di carattere generale che il Signore ci dà, per mezzo della Sua Parola. Gesù, però, secondo (Matteo 5:44 e Luca 6:27), ha voluto specificare a chi fare del bene — senza, ovviamente, escludere gli altri —: a quelli che odiano i Suoi seguaci.

I Sinottici riportano come sarebbero trattati i discepoli di Gesù, a motivo del Suo nome:
Sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato (Matteo 10:22).

Quando un credente fa del bene a chi lo odia, non solo mette in pratica una norma divina, ma manifesta a quale famiglia appartiene e di chi è figlio.
I figli di Dio, quindi, si riconoscono dal comportamento che assumono, non diciamo semplicemente verso tutti gli uomini, ma in particolar modo verso chi li odia. Il ricambiare male per male, o come afferma la Scrittura: Occhio per occhio e dente per dente (Matteo 5:38), è comportamento di chi è sotto la legge, e non è stato affrancato dalla grazia.

Il nemico, chi è? Uno che vive lontano da te, che non ti conosce; che non sa niente di te? No, certamente! È chi non ti può vedere, — sia che abiti vicino a te o che viva lontano — che è un tuo avversario, che manifesta la sua ostilità nei tuoi confronti, che cerca di farti del male, che trova piacere nel rovinarti, facendo di tutto, per renderti la vita impossibile. Ad una tale persona Gesù comanda di farle del bene! Se non si è veramente seguaci del Cristo, nel senso pieno di questo temine — e seguace è chi mette in pratica la parola del Maestro — non sarà facile comportarsi nella maniera come vuole il Signore. In altre parole, l’uomo che non è stato rigenerato dalla potenza di Dio, cioè che non ha la vita di Dio in lui, non si sottoporrà mai al volere di Gesù Cristo, quindi non metterà mai in pratica la Sua Parola!

Ma che significa fare del bene? Solo pensando che se il tuo nemico si trova nel bisogno, lo devi aiutare, se cade in disgrazia, devi dimostrare, con atti tangibili, la tua disponibilità, secondo le tue possibilità? No, certamente! Chi fa del bene ad un suo nemico, non si limiterà solamente ad opere di assistenza e di beneficenza, ma confermerà anche il suo modo di parlare. Quando si trova a parlare di quell’individuo, non lo diffamerà, non lo calunnierà davanti agli altri, non cercherà di renderlo ridicolo, privo di un qualsiasi valore. Un simile comportamento nel parlare, in pratica significa fare del bene!

3. Benedite quelli che vi maledicono

Benedite quelli che vi maledicono. Che significa benedire?

«Augurare, sollecitare, la grazia divina sulle persone e sulle cose.
Ringraziare per un bene ricevuto, per una prova voluta da Dio; manifestare la propria gratitudine per persone o cose o avvenimenti (da cui è derivato soccorso, assistenza, favore, vantaggio); elogiare, esaltare come cosa santa» [S. Battaglia, GDLI (Grande dizionario della lingua italiana), Vol. II, pag. 168].

Fra le tante esortazioni che l’apostolo Paolo rivolse alle varie chiese, in una delle sue epistole, leggiamo:

Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite (Romani 12:14).
Egli, pur non avendo ascoltato direttamente le parole di Gesù, lo Spirito di Dio che lo guidava, sia quando proclamava a voce l’evangelo di Gesù Cristo e sia quando scriveva le sue epistole, era in perfetta sintonia con quello che il Maestro aveva insegnato.

Anche il detto dell’apostolo Pietro, si armonizzava, sia con l’insegnamento di Gesù e sia con quello di Paolo:
Non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione (1 Pietro 3:9).

I due apostoli che scrissero sullo stesso tema, non solo ci danno la certezza che seguivano esattamente l’insegnamento di Gesù, ma ci forniscono, con quello che hanno aggiunto, preziosi elementi, che servono per ampliare il soggetto, e nello stesso tempo a farci comprendere il perché di quell'esortazione.

Gesù aveva detto di benedire quelli che maledicono; Paolo, di benedire quelli che perseguitano e Pietro, ...benedite; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione. Parafrasando la parola di Pietro, si può dire: Il motivo perché siamo stati chiamati è per benedire; sapendo che, con la benedizione che impartiamo agli altri, noi stessi acquistiamo una preziosa eredità di benedizione, sia per questa vita e soprattutto per l’eternità.

4. Pregate per quelli che vi oltraggiano

Il discepolo del Signore, non deve solamente amare i nemici, fare del bene a quelli che li odiano, benedire quelli che li maledicono, ma deve anche pregare per quelli che li oltraggiano. Agendo in questo modo, si dimostrerà a tutti di essere veri seguaci di Gesù, persone che mettono in pratica la Sua Parola.

Non ci sono seguaci del Cristo che possono affermare di ricevere più oltraggi di quanti non abbia ricevuto il loro Maestro. L’affermazione di Gesù:
Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua! (Matteo 10:25).

Un discepolo non è più grande del maestro; ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro (Luca 6:40),

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servirà essenzialmente per farci comprendere che, questa specie di “confronto”, accade nella vita di ogni persona che vuole camminare nelle vie del Signore e praticare la Sua Parola. D’altra parte, tenendo presente come Gesù venne trattato dagli uomini, durante la sua vita terrena, quello che scrisse l’apostolo Pietro, non solo è opportuno ricordarlo, ma vale anche com'esempio per noi.

Infine, perché pregare per gli oltraggiatori, quando si sa che sono ostili al vangelo e a quelli che lo proclamano? Solamente per seguire l’esempio di Gesù: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23:34), o quello di Stefano: «Signore, non imputar loro questo peccato» (Atti 7:60), certamente non basta! Bisogna aggiungere, soprattutto che, a mezzo della preghiera che i seguaci di Gesù innalzano a Dio, in loro favore, la vita di queste persone ostili, potrà essere raggiunta dalla potenza della grazia divina, e cambiare radicalmente in modo tale che, potranno diventare anche loro, seguaci del Cristo!

5. Non ricambiate un torto subito

A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra; e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica (Luca 6:29).

Ricevere una percossa o uno schiaffo, non importa se sia dato sulla guancia sinistra e su quella destra, a motivo della fede in Cristo Gesù, e non a causa di un litigio tra due persone, c’è sempre motivo di rallegrarsi, e non avvilirsi. Nello stesso tempo però, per chi lo riceve, c’è la tentazione, stimolata dall’umana tendenza, a rispondere o a ricambiare. In questo caso, l’esortazione di Gesù, a porgere l’altra guancia, rappresenta una protezione alla caduta del discepolo, se questi dovesse dare sfogo alla sua reazione carnale di vendicarsi.

«Lo schiaffo sulla guancia è oltraggioso. Lo schiaffo sulla guancia destra era considerato un insulto particolare. Poiché normalmente lo schiaffo portato con la destra doveva colpire la guancia sinistra, si tratta del famigerato manrovescio, che dava la possibilità di colpire anche con un oggetto. Non ci troviamo in una guerra o in una rivolta di Zeloti, [In Giudea, durante l’occupazione romana, adepto di un’associazione politico-religiosa che si proponeva la rigida osservanza della legge e la riconquista dell’indipendenza (Dizionario enciclopedico Sansoni)] né si tratta di colpire un eretico: il semplice retroscena è anzi «una comune rissa, quale avviene nella vita di villaggio» (Lohmeyer). La reazione che si prende — il porgere la guancia sinistra — è più che un sopportare passivo o paziente. È la reazione che sorprende e disarma l’«avversario», che vuole superare la sua malvagità, non lui, e portare ad un pacifico accordo» [Ioachim Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte prima, pag. 276].

L’insegnamento pratico che Gesù vuole insegnare a suoi, con il suo imperativo, riguarda essenzialmente l’atteggiamento a non rispondere alla provocazione e alla violenza. Ci rendiamo conto che, per agire in questo senso, le forze naturali dell’uomo non sono sufficienti; ci vuole soprattutto la forza divina che può sottomettere gli impulsi della natura umana e far sì che, prevalga in noi, lo Spirito di Dio. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda chi prende il mantello.

«I due logia che seguono nei vv. 29ss. Accentuano ancor più l’esigenza dei vv. 27s. E allo stesso tempo dichiarano quali siano i presupposti interiori di quella bontà creatrice richiesta nei vv. 27s.: è possibile ricambiare il male col bene solo se si è disposti a lasciarsi spogliare di tutto e ingiustamente (v. 30); anzi, solo se, oltre a ciò, si è anche in grado di reagire al male di cui si è vittima con la disponibilità a subirne uno ancor più grave (v. 29). I due esempi del v. 29 presentano per sé un’esigenza superiore a quella posta dai casi generali del v. 30; ma il crescendo intenzionale della piccola unità consiste proprio nella generalizzazione cui s’arriva nel v. 30 e che fa da passaggio alla norma generale del v. 31» [Heinz Schürmann, Il vangelo di Luca, parte prima, pag. 569].

Se al testo di Luca si fa seguire quello di Matteo che, dice: E a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello (Matteo 5:40), sembra che faccia riferimento alla legge sui pegni, così come prevedono i testi di (Esodo 22:26-27 e Deuteronomio 24:10-13).

«Nella legge trattasi del mantello, (imatio). Della tunica non si parla, ma vi era la tendenza ad estendere anche a questa la stessa disposizione; anzi, si argomenta: se si deve restituire il mantello per la notte, si può prendere in cambio, durante la notte, il vestito di giorno, il (chitión), che la notte non serve. Così un creditore sospettoso e pedante, che vuol rimanere in regola con la legge, potrà venire ad importunarti mattina e sera per lo scambio dei pegni: in tal caso, tu non resistere, sopporta, sii longanime. Se vuole la tua camicia in pegno per il mantello che ti rende la sera, e tu dagli anche la camicia. Così intende BORNHUSER. In realtà quest’interpretazione sembra minimizzare il paradosso di Gesù. Si può pensare che questa casistica sia estranea a Gesù. Una sola cosa importa: non resistere a chi ti vuol spogliare; meglio rimanere nudo che ritorcere il sopruso.
È interessante osservare che per quest'esempio la Didaché (1:4) [Scritto didascalico scoperto nel 1975, per l’istruzione dei catecumeni, redatto in greco. È uno dei più antichi testi cristiani, e fa parte dei cosiddetti Padri Apostolici], ha la stessa forma di Luca e fa pensare piuttosto ad una rapina che ad un litigio legale. Forse qui, come al versetto precedente, Matteo riflette usi e leggi giudaiche, che ai lettori di Luca e della Didaché sono del tutto estranei: caratteristiche della «scuola di Matteo», o segni di un testo originale.
Com'espressione di uno spirito analogo si cita volentieri il detto di ‘Abt 5:10:«Chi dice: Il mio è mio ed il tuo è tuo, pensa come l’uomo comune (altri però dicono: è il modo di pensare di Sodoma). Chi dice: Il mio è tuo e il tuo è mio, parla come lo ‘am hâ-‘âres (che non conosce la legge). Chi dice: Il tuo è mio e il mio è mio, è il malfattore» [Giovanni Miegge, Il sermone sul monte, pagg.141-142].

6. Date con generosità

Dà a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare (Luca 6:30).

L’imperativo alla generosità, non conosce nessuna limitazione, e, accettarla nella forma come Luca l'ha tramandata, non è facile, salvo che la persona non è disposta ad una rinuncia volontaria, del proprio egoismo, a tenere per sé quello che possiede. Mettere in pratica la normativa di Gesù, nell’ambito di chi professa la stessa fede, non è pratica impraticabile, specialmente in ambiente ebraico, in cui la legge mosaica dava precise direttive in materia di aiutare il fratello bisognoso e nel concedergli prestiti. I seguenti testi, illustrano chiaramente questa normativa.

Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’avventizio, affinché possa vivere presso di te.
Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te.
Non gli presterai il tuo denaro ad interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura
(Levitico 25:35-37).

Se ci sarà in mezzo a voi in una delle città del paese che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà, un fratello bisognoso, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso;

anzi gli aprirai largamente la mano e gli presterai tutto ciò che gli serve per la necessità in cui si trova.
Guardati dall’accogliere nel tuo cuore un cattivo pensiero che ti faccia dire: «Il settimo anno, l’anno di remissione, è vicino!», e ti spinga ad essere spietato verso il tuo fratello bisognoso, così che non gli darai nulla; poiché egli griderebbe al SIGNORE contro di te, e un peccato sarebbe su di te.

Dagli generosamente; e quando gli darai, non te ne dolga il cuore; perché, a motivo di questo, il SIGNORE, il tuo Dio, ti benedirà in ogni opera tua e in ogni cosa cui porrai mano.
Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comandamento e ti dico: apri generosamente la tua mano al fratello povero e bisognoso che è nel tuo paese
(Deuteronomio 15:7-11).
Se tu presti del denaro a qualcuno del mio popolo, al povero che è presso di te, non ti comporterai con lui da usuraio; non gli imporrai interesse (Esodo 22:25).

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23/03/2011 02:09

Non farai al tuo prossimo prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualsiasi cosa che si presta a interesse.
Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo prossimo, affinché il SIGNORE, il tuo Dio, ti benedica in tutto ciò cui metterai mano nel paese dove stai per entrare per prenderne possesso
(Deuteronomio 23:20-21).

Nel suo insegnamento, Gesù non modificò né annullò quello che prescriveva la legge mosaica in materia di generosità. Questo vuol sostenere che Egli riteneva valida quell’antica norma anche per i Suoi discepoli e per tutti quelli che avrebbero accettato i Suoi insegnamenti.

Per “donare” a quelli che domandano, ci deve essere nella vita umana la “liberalità” e non solamente la possibilità economica. Senza liberalità, infatti, l’essere umano che, per natura è egoista, non sarà mai portato a far partecipare agli altri quello che possiede; ma con la liberalità, anche se si trova in condizione non agevolata, avrà la prontezza ad aprirsi e mettere a disposizione il suo, davanti agli altri; in altre parole, non rimarrà indifferente davanti ad un bisogno. Lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda la richiesta di un prestito.

A differenza della norma mosaica che stabiliva che quando un Israelita faceva un prestito ad un suo fratello, non poteva richiedere un tasso d'interesse; lo poteva applicare ad uno straniero, cioè a quelli che non appartenevano alla famiglia Israelita. Gesù, oltre a non fare nessun accenno ad una rata d'interesse, va oltre, stabilendo addirittura che, il prestito va fatto, senza pensare alla restituzione, con la seguente specificazione:

E se prestate a quelli dai quali sperate di ricevere, qual grazia ne avrete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto
Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi
(Luca 6:34-35).

Infine, che il prestito, di cui parla Gesù, si riferisca ad una situazione d'indigenza, — anche se non è specificato — è comunque sottinteso.

7. Trattate gli uomini come vorreste essere trattato da loro

E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro (Luca 6:31).
Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti
(Matteo 7:12).

Le parole del nostro testo, sono state definite “la regola d’oro”, o “la regola aurea”.

«Non va ignorata inoltre, accanto all’enormità di quanto viene richiesto, anche l’universalità dell’esigenza: non a caso non si parla di «prossimo» o di «fratello», ma di chiunque (antropos)» [Heinz Schürmann, Il vangelo di Luca, parte prima, pagg. 572-573].

«Nel trattare della regola d’oro si dovrà distinguere tra il suo uso autonomo — abbiamo visto che era nota fin dai tempi di Confucio — e la sua collocazione nel contesto del vangelo. Tale distinzione non è stata quasi mai rispettata. In Did. 1,2 essa si trova bensì accanto al comandamento dell’amore, ma è citata nella versione negativa, tutto quello che non vuoi che si faccia a te, non farlo nemmeno ad altri, cioè come regola autonoma e non più come detto scritturistico, come citazione di Mat. 7:12 / Luca 6:31» [Ioachim Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte prima, pagg. 395-396].

«La regola d’oro è meglio conosciuta, e generalmente formulata nella forma negativa: «Non fare agli altri...».In questa forma i paralleli non mancano Ricordiamone uno solo:
«Un pagano venne da Sammai [30 a.C.] e gli chiese: “Prendimi come proselita, a condizione che tu mi insegni Tôrâh mentre sto in piedi sopra una gamba sola”. Sammai lo allontanò da sé con un bastone che aveva in mano. Venne da Hillel [20 a.C.] che lo accolse come proselita e gli disse: “Quello che ti dispiace non farlo a nessun altro. Questa è tutta la legge; il resto è interpretazione di essa. Va’, e insegna così”. Cfr. Tobia 4:15: «Quello che odii [cioè non ami] non farlo a nessuno». La stessa forma negativa si trova nella Did. 1:2. Alessandro Severo, imperatore sincretista del III sec. Aveva assunto la regola d’oro come norma di vita, ricevendola dai Giudei o dai Cristiani; ma, come osserva Zahn, avrebbe potuto trovarla anche in Isocrate, e si riscontra anche negli scritti di Confucio. È dunque una massima di sapienza universale.
È quasi un luogo comune, per contro, che la regola d’oro nella forma positiva trovasi soltanto nell’Evangelo. A dir vero, un accenno in questo senso si può trovare nella lettera di Aristea (207): «Come non vuoi che ti accadano dei mali e desideri essere partecipe di tutti i beni così fa’ ai tuoi sudditi e ai peccatori». Si tratta, comunque, d’un'eccezione; e non ha la vigorosa concisione del detto evangelico» [Giovanni Miegge, Il sermone sul monte, pag. 255].

Quello che va notato, sia nel testo di Matteo 7:12 e sia in quello di Luca 6:31, è che, oltre alla forma positiva, non viene formulato nessun elenco da fare agli uomini. Questo significa che ognuno potrà formulare la propria lista, non solamente pensando a quello che si dovrà fare agli altri, ma anche a quello che noi vogliamo che gli uomini facciano nei nostri confronti. Una simile libertà di scelta e di azione, chiama in causa la nostra responsabilità.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo prontamente
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