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Domenico34 – Il comportamento dell’uomo in conformità a quel che crede – Sommario, Presentazione, Introduzione. Capitoli 1-10

Ultimo Aggiornamento: 25/04/2012 00:54
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01/04/2012 00:48

Se la condizione in cui si trova l’apostolo, fosse derivata da una condotta dissoluta e depravata; da un comportamento anarchico e disprezzante le autorità costituite, avrebbe poco da gioire. Egli sa, infatti, che le catene che porta addosso, la prigione in cui è stato rinchiuso e la condanna a morte che gli è stata inflitta, non sono quelle di un malfattore incallito. Non sono quelle di un criminale che si fa beffe della severità della giustizia terrena, ma sono invece quelle di un’innocente; di uno che non ha commesso nessun crimine, o che si sia ribellato contro il potere dello Stato.

Davanti ad una simile prospettiva, (che umanamente parlando avrebbe dovuto portare l’apostolo ad apparire disgustato, a dir poco) lungi dall’apparire esasperato, abbattuto, distrutto e disperato, soprattutto per l’ingiustizia subita, egli trova la forza e il modo di pensare ad altri. Egli sa, infatti, che c’è il giovane Timoteo, che ha bisogno di essere incoraggiato, perciò non esita a rivolgergli la sua paterna esortazione:

Non aver dunque vergogna della testimonianza del nostro Signore, né di me, suo carcerato; ma soffri anche tu per il vangelo, sorretto dalla potenza di Dio (2 Timoteo 1:8).

Che questo coraggio e franchezza gli venisse, non solo dalla consapevolezza di sapere in chi aveva creduto, ma anche dalla certezza che il suo Signore, che lo aveva chiamato al Suo servizio, aveva il potere di custodire il suo deposito fino a quel giorno, ciò appariva come un baluardo nella sua vita.

Quello che l’apostolo scrive, non è solamente un modo di parlare e di esprimersi; ma mette soprattutto in evidenza, il suo comportamento, fermo, tranquillo e sereno, davanti ad una particolare situazione in cui si trova. Egli, infatti, sa molto bene che, se si trova carcerato, con una condanna a morte a suo carico, non è stato per aver sostenuto un ideale politico, un movimento eversivo, con atti di ribellioni contro il potere dello Stato, ma semplicemente per essere stato ubbidiente alla visione celeste (Atti 26:19) e fedele all’incarico affidategli da Gesù Cristo, suo Signore (2 Timoteo 1:11).

a) Ricordi di un passato


Pensando poi a quelli dell’Asia, specialmente a Figello ed Ermogene, che lo avevano abbandonato, (v. 15) egli avrebbe avuto motivo di sentirsi abbattuto e scoraggiato. Siccome l’apostolo non guarda agli uomini, né a quelli che un tempo gli erano stati vicini con il loro affetto e la loro simpatia, ma a Colui in cui ha creduto, (Gesù Cristo) egli trova conforto e sollievo in quell’ora tragica della sua vita.

b) Il motivo perché Paolo non si vergogna

Perché, dunque, Paolo, dovrebbe vergognarsi per la condizione in cui si trova? Non c’è nessuna ragione valida, per lasciarsi trascinare dallo sconforto e dalla solitudine. Anche se sa che molti lo hanno abbandonato, però, sa anche che, il suo Signore gli è stato vicino (4:17). Sapendo, infatti, che l’evangelo è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Romani 1:16), potrà continuare a perseverare nelle vie del Signore, avendo la certezza di ricevere, dal suo Signore e Salvatore, Gesù Cristo, la giusta ricompensa.

Con questa chiara prospettiva davanti a sé, e, soprattutto, pensando alla sua imminente “partenza” (cioè la sua morte, non come conseguenza di una condanna, ma come offerta in libazione), è pronto per alzare la vela del suo naviglio per raggiungere la destinazione finale. Ecco, in quale maniera si preparò, per questo suo ultimo viaggio.

L’INNO TRIONFALE

Quanto a me, io sto per essere offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto.
Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede.
Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione
(2 Timoteo 4:6-8).

Davanti a queste parole, Paolo fa conoscere se stesso: il suo comportamento, il suo agire e la sua fede nel Signore e Salvatore, Gesù Cristo.

a) Ho combattuto il buon combattimento

La prima cosa che va notata, e accreditata all’apostolo Paolo, in quest'inno trionfale, è il coraggio e la costanza, che non lo hanno mai abbandonato nel combattere, il buon combattimento. Questo, naturalmente lo ha fatto, nel corso della sua esistenza terrena, principalmente dopo la sua conversione al cristianesimo, cioè da quando ha dato tutta la sua vita, a Gesù Cristo.

Ora che si trova sulla pista di partenza, sul terminale della sua carriera, non lo vediamo come un perdente, con la testa china, in segno di vergogna per le sconfitte subite, ma come un vero trionfatore; come uno che sta per spiccare il volo, per la destinazione finale. Si può vedere Paolo che, tenendo la sua testa alzata, pronto per specificare con tutta chiarezza, il motivo del suo finale comportamento, affermare: Posso ogni cosa in colui che mi fortifica (Filippesi 4:13).

Si continuerà il prossimo giorno…
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