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31/03/2012 00:03 | |
Ma l’altro non volle; anzi andò e lo fece imprigionare, finché avesse pagato il debito.
I suoi conservi, veduto il fatto, ne furono molto rattristati e andarono a riferire al loro signore tutto l’accaduto.
Allora il suo signore lo chiamò a sé e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti;
non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?"
E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva.
Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello» (Matteo 18:15-35).
L’evangelista Luca, dal canto suo aggiunge: se ha peccato contro di te sette volte al giorno, e sette volte torna da te e ti dice: "Mi pento", perdonalo» (Luca 17:4).
L’unica condizione che non permette di “perdonare”, è il mancato “pentimento” da parte di chi ha fatto l’offesa. Se questo, però c’è, (non importa se il “fratello pecca sette volte al giorno”); l’altro fratello, è tenuto, per comando del Signore, a perdonare; perché, se non lo farà, neanche il Padre celeste, perdonerà i suoi peccati. Come si può ben notare, l’argomento è molto serio e impegna da vicino, tutti i discepoli di Gesù, a qualsiasi livello appartengono.
A questo punto, fare una domanda che riguarda il “tipo” di peccati da perdonare, s’impone d’obbligo. Quali sono i peccati che si possono perdonare e quelli per i quali non è previsto nessun atto di clemenza?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzi tutto tener presente il detto dell’apostolo Paolo:
Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati (Colossesi 2:13).
Dal momento che questo testo stabilisce, in forma dogmatica, che Dio ci ha perdonati TUTTI i nostri peccati, va da sé che anche noi, quali imitatori di Dio (Efesini 5:1), dobbiamo perdonare tutti i peccati dei nostri fratelli. Se poi il suddetto testo viene messo a confronto con un altro testo paolino, cioè Efesini 4:32, che invita la fratellanza a perdonarsi reciprocamente, la parte terminale del testo, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo, deve essere l’unità di misura e il modello da seguire.
La parabola del creditore spietato che abbiamo riportato, è abbastanza eloquente da farci vedere come dobbiamo agire nei confronti dei nostri simili. L’enorme debito di “diecimila talenti” che il servo aveva con il suo padrone, a parte che, umanamente parlando, per tutta la durata della sua vita, non gli sarebbe stato facile saldare, nostro Signore, non ha ricordato quella parabola, con lo scopo di farci fare i calcoli, per conoscere l’ammontare della somma. Questo non era sicuramente il suo scopo, ma per mostrarci che il nostro peccato davanti a Dio, era talmente grande che, solo un atto della clemenza divina, avrebbe potuto cancellare. Il debito che aveva, invece, il suo conservo, confrontato con quello che egli aveva col suo padrone, era quasi insignificante, perché appunto si trattava di soli “cento denari”, anche se a quei tempi, equivaleva a cento giornate lavorative.
Però, dal punto di vista umano e secondo una certa logica, non sarebbe stato impossibile pagare, un po’ alla volta, s’intende. Con la decisione che il servo prende, maltrattando atrocemente il creditore, fino al punto di farlo mettere in prigione, l’agire crudele e privo di compassione di quell’uomo, si palesa in tutta la sua gravità. Quando non si tiene conto di quanto si riceve da Dio, si finisce con l'essere spietato e senza compassione, verso gli altri. Questo è il nocciolo dell’insegnamento della parabola che Gesù volle insegnare ai Suoi in quel tempo, e vuole insegnare a noi oggi.
PS: Se al termine del capitolo 2 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura
Capitolo 3
SO IN CHI HO CREDUTO
È anche per questo motivo che soffro queste cose; ma non me ne vergogno, perché so in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno[/C[ (2 Timoteo 1:12).
La certezza di sapere in chi ha creduto, porta l’apostolo Paolo a non vergognarsi per quello che sta soffrendo.
Si sa, infatti, che al tempo in cui è stata scritta la seconda lettera a Timoteo, Paolo si trovava in carcere, nell'attesa che la condanna a morte che gli era stata inflitta, venisse eseguita. Sapendo anche che la carcerazione e la condanna, non gli erano state inflitte, per essersi macchiato di qualche crimine, ma unicamente per l’evangelo di Gesù Cristo, l’apostolo, giustamente, non aveva da vergognarsi, per non trovarsi nella condizione di un libero cittadino.
Si continuerà il prossimo giorno…
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