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Domenico34 – Il comportamento dell’uomo in conformità a quel che crede – Sommario, Presentazione, Introduzione. Capitoli 1-10

Ultimo Aggiornamento: 25/04/2012 00:54
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15/04/2012 00:04

La risposta di Daniele, mise fine all’angoscia del monarca:

Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso la bocca dei leoni; essi non mi hanno fatto nessun male perché sono stato trovato innocente davanti a lui; e anche davanti a te, o re, non ho fatto niente di male» (v. 22).

Avuta la certezza che Daniele era stato salvato dai leoni, Dario, non temporeggiò ad ordinare che Daniele venisse tirato fuori dalla fossa e che i suoi accusatori, venissero gettati nella stessa, con i loro figli e le loro mogli. I leoni risparmiarono la vita a Daniele perché:

1) Dio aveva mandato il suo angelo a chiudere la bocca ai leoni;
2) egli si era confidato in Dio;
3) era stato trovato innocente davanti a Lui e anche davanti al re, non aveva fatto niente di male.

Il racconto si conclude con un decreto che il monarca emanò in tutto il suo regno, di temere e rispettare il Dio di Daniele, perché è un Dio vivente che dura in eterno, il cui regno e dominio sussisteranno sino alla fine.

CONSIDERAZIONI

1. Daniele, fu un uomo di una straordinaria integrità e fedeltà, nella veste di funzionario statale. Il suo incarico lo svolse con correttezza, senza farsi corrompere. Questo lo fece per diversi anni, sotto vari regni: quello di Nabucodonosor, Baldassar e Dario. La sua correttezza nell’amministrare gli affari pubblici, gli veniva dal timore di Dio che aveva e dal rispetto alla Sua legge divina. La relazione ispirata a devozione che intratteneva giornalmente con il suo Dio, erano i pilastri portanti della sua integrità, nel servizio che svolgeva, come funzionario statale.

Più grande è l’incarico che si occupa, maggiore è anche la responsabilità. Chi viene chiamato a compiere funzioni statali, non deve mai usare il potere per interesse personale, se vuole lasciare un buon esempio, a quelli che seguiranno. La fede in Dio e l’obbedienza alla Sua Parola, saranno gli elementi qualificanti per una persona che viene chiamata ad incarichi governativi.

2. Pure essendo stato un uomo fedele al suo Dio, a Daniele non mancarono, persone ostili che non lo potevano vedere. Questo stato di cose, non era causato perché Daniele non fosse socievole con i suoi colleghi e con gli altri, ma unicamente per l’invidia che gli portavano. Naturalmente gli invidiosi, che poi erano i suoi colleghi, cioè quelli che avevano lo stesso grado di responsabilità, lungi dall’essere affabili e affezionati, gli procurarono dispiaceri e dolori, da farlo apparire davanti al regnante, come persona che non teneva conto dell’autorità del monarca e non rispettava i suoi decreti.

Per un funzionario statale ad alto livello, essere accusato in quel modo, significava come se fosse qualificato “traditore della patria”. Non tutte le accuse sono vere, ovviamente; ma per chi le riceve, non sono certamente carezze, o manifestazioni di simpatia.

3. Una persona che veramente serve Dio con tutto il suo cuore, non deve preoccuparsi di quello che potrebbe succedergli. Quando non c’è vergogna di professare la propria fede e non si viene meno nella vita ispirata a devozione, c’è da rimanere tranquilli e sereni, davanti agli attacchi delle forze del male. Se le forze dell’inferno si alzassero, per demoralizzare e gettare nel pantano dello sgomento, per chi rimane fedele al Signore e alla Sua Parola, c’è d’aspettarsi l’intervento divino, per liberare i Suoi figli.

4. Le false accuse che verranno lanciate contro i pii, anche se procureranno lacrime e dolori, non avranno il potere di cambiare la luce in tenebre, la tranquillità e la fiducia in Dio, in un marasma di disperazione.

Il comportamento disinteressato, leale e prodigo per il bene degli altri, Daniele lo seppe dimostrare, con tenacia e perseveranza; il suo agire, alla luce del sole, rappresentava la coerenza che c’era nella sua vita, tra quello che egli credeva e professava fermamente e il suo modo di operare, in mezzo ai suoi contemporanei. Quest'illustre servitore del Signore e alto funzionario statale nello stesso tempo, ci ha lasciato un luminoso esempio di fedeltà, di onestà, di correttezza sociale, da ispirare chiunque vorrà seguire il suo esempio. Aiutaci, o Signore, a vivere la nostra vita quotidiana, in maniera

irreprensibile e integri, come figli di Dio senza biasimo in mezzo ad una generazione ingiusta e perversa, fra la quale risplendere come luminari nel mondo, tenendo alta la parola della vita (Filippesi 2:5). Amen! (La Nuova Diodati)

PS: Se al termine del capitolo 7 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura

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16/04/2012 00:08

Capitolo 8




LA BEATITUDINE DI CHI CREDE




Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento» (Luca 1:45).

Abbiamo affermato tante volte in questo libro che, l’uomo si comporta ed agisce in conformità a quel che crede. Tutto il comportamento e l’agire dell’essere umano, si svolge su questa base, poiché è anche il punto di riferimento. In vista di ciò, la Bibbia dichiara che la persona che crede alle cose che ha dette il Signore, è beata. Ovviamente, la beatitudine, di cui parla la Bibbia, per le cose dette dal Signore, e non per ciò che Egli non ha detto.

Questa precisazione la facciamo, prima di ogni cosa per non essere fraintesi, e in secondo luogo per mettere in risalto l’importanza di credere alle cose che escono, o sono uscite dalla bocca di Dio.

a) La certezza che Dio ha parlato


Che Dio abbia parlato nei tempi remoti e continui farlo ai nostri tempi, è provato da una precisa dichiarazione della Bibbia:

Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti,
in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato l’universo
(Ebrei 1:1-2).

Credendo al fatto che Dio ha sempre parlato, durante i secoli all’uomo, non c’è scusa per nessuno. Che poi non tutti gli esseri umani credano a ciò, questo è provato dall’esistenza dell’ateismo che, negando decisamente l’esistenza di Dio, nega anche tutto ciò che il Signore ha detto attraverso i secoli.

Il modo di parlare di Dio all’uomo, anticamente fu a mezzo i profeti, mentre oggi lo fa per mezzo di Suo Figlio, Gesù Cristo, la parola incarnata, che si è manifestata ed è venuta ad abitare tra noi (Giovanni 1:14). Ai tempi in cui Gesù, il Figlio di Dio, visse sulla terra, diverse volte, davanti ai Giudei, affermò che quello che Egli diceva e faceva, era esattamente quel che suo Padre gli aveva detto di dire e di fare.

Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi udite non è mia, ma è del Padre che mi ha mandato (Giovanni 14:24).

Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera fino ad ora, e anch’io opero» (Giovanni 5:17).

Io dico quel che ho visto presso il Padre mio; e voi pure fate le cose che avete udite dal padre vostro» (Giovanni 8:38).

Se non avessi fatto tra di loro le opere che nessun altro ha mai fatte, non avrebbero colpa; ma ora le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio (Giovanni 15:24).

b) Come si è comportato l’uomo dell’antichità, davanti alla parola di Dio


Se prendiamo in esame alcuni eventi catastrofici dell’antichità, secondo quello che la Bibbia racconta, possiamo conoscere il comportamento e l’agire dell’uomo. Prima che venisse il diluvio sulla terra, Dio parlò a Noè di quest'avvenimento, specificandogli che, a causa della gran malvagità che c’era in mezzo all’umanità, ogni essere vivente sarebbe stato distrutto.

L’apostolo Pietro afferma che Noè fu un predicatore di giustizia (2 Pietro 2:5). Questo significa che il messaggio divino, circa la distruzione dell’umanità di allora, Noè lo comunicò. Nonostante che la sua predicazione si sia prolungata nel tempo, (pensiamo a tutto la durata che Noè impiegò per fabbricare l’arca, durante la quale avrà certamente parlato di quell’evento catastrofico) si sa che quando venne il diluvio sulla terra, solo otto persone vennero salvate.

Sì, è vero che Noè fabbricò l’arca per la salvezza della sua famiglia (Ebrei 11:7); questo però non vuol dire, che la salvezza, da quell’immane tragedia, fosse riservata alla sola famiglia di Noè. Se ci fossero state persone che veramente avessero creduto a quello che Noè predicava, ci sarebbe stata salvezza anche per loro. Questo però non avvenne. Gesù a sua volta specificò:

come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito, fino il giorno in cui Noè entrò nell’arca,
e la gente non si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo
(Matteo 24:27-38).

Se le persone di quel tempo perirono, non fu perché venne loro reclusa la possibilità di salvarsi, ma essenzialmente perché non credettero che sarebbe venuto il diluvio, e li avrebbe portati via. Di conseguenza, il loro comportamento e il loro agire, fu essenzialmente con riferimento a quello che credevano (cioè, che il diluvio non sarebbe venuto).

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17/04/2012 00:08

La storia della distruzione di Sodoma e Gomorra, ha gli stessi connotati, di quelli del tempo di Noè.

Similmente, come avvenne ai giorni di Lot: si mangiava, si beveva, si comprava, si vendeva, si piantava, si costruiva;
ma nel giorno che Lot uscì da Sodoma piovve dal cielo fuoco e zolfo, che li fece perire tutti
(Luca 17:28-29).

se condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, riducendole in cenere, perché servissero da esempio a quelli che in futuro sarebbero vissuti empiamente;
e se salvò il giusto Lot che era rattristato dalla condotta dissoluta di quegli uomini scellerati;
(quel giusto, infatti, per quanto vedeva e udiva, quando abitava tra di loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta a motivo delle loro opere inique),
ciò vuol dire che il Signore sa liberare i pii dalla prova e riservare gli ingiusti per la punizione nel giorno del giudizio;
e soprattutto quelli che vanno dietro alla carne nei suoi desideri impuri e disprezzano l’autorità
(2 Pietro 2:6-10).

Quando Dio comunicò ad Abraamo che avrebbe distrutto le due città di Sodoma e Gomorra, il patriarca pensava che, era ingiusto far perire il giusto con l’empio. Questo, naturalmente, perché egli supponeva che in quelle due città, ci fossero cinquanta giusti. Resosi conto (in conformità a quello che il Signore gli rispose) che in quei due centri abitati non c’erano: né cinquanta, né quarantacinque, né quaranta, né trenta, né venti e neanche dieci giusti, Abraamo capì che non c’era niente da fare, e che il giudizio divino, non era ingiusto (cfr. Genesi 18:20-32; 19:12-17).

Questi due esempi di eventi catastrofici, che si sono abbattuti sulle persone dell’antichità, illustrano chiaramente, quanto affermato sopra. Se la gente di quel tempo, avesse creduto a Dio e si fosse pentita della loro malvagità, il loro comportamento e il loro agire, sarebbe stato ben diverso, e, senza dubbio, sarebbe stata risparmiata da quell’immane tragedia.

c) Spiegazione sulla beatitudine di chi credere


Il testo che abbiamo riportato all’inizio, parla di Maria e di Elisabetta. Queste due donne, hanno diverse cose da insegnarci. A Maria venne comunicato da parte dell’angelo Gabriele, che lei avrebbe concepito e portarito un figlio, che sarebbe stato chiamato Gesù.

Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre.
Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine».
Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?»
L’angelo le rispose: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio.
Ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia; e questo è il sesto mese, per lei, che era chiamata sterile;
poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace».
Maria disse: «Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola». E l’angelo la lasciò
(Luca 1:32-38).

Chiariti tutti i dubbi e le incertezze che quel singolare annuncio causò nella vita di Maria, accettando e credendo al messaggio di Gabriele, come una comunicazione divina, Maria pronunciò le famose parole: «Ecco io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la sua volontà». Quelle parole, in pratica significano che Maria dava il suo consenso a quello che Dio le aveva comunicato. Gabriele non si limitò solamente a comunicare a Maria che sarebbe diventata la mamma di Gesù, le comunicò anche che sua cugina Elisabetta, aveva concepito un figlio nella sua vecchia, e che si trovava al sesto mese di gravidanza.

Il levarsi in fretta di Maria, per andare a trovare Elisabetta, significava che, se lei aveva assunto quel comportamento e stava agendo in quel modo, era, in effetti, in virtù di quando aveva creduto, a quello che le era stato comunicato.

Elisabetta, da parte sua, pur non sapendo niente del messaggio che Gabriele aveva portato a sua cugina Maria, quando si sentì salutare,

fu ripiena dello Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: «Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno!
Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me?
Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo
(Luca 1:42-44).

Le parole: Benedetto è il frutto del tuo seno, e, la madre del mio Signore, specificavano chiaramente che già Maria, aveva concepito e stava aspettando il figlio che, Gabriele le aveva comunicato. Non conoscendo le parole che Maria aveva dette a Gabriele, circa la sua disponibilità a diventare la mamma del Figlio di Dio, Elisabetta, mise in risalto il fatto che, Maria aveva creduto alle parole dettale da parte del Signore. In conseguenza di ciò, proclamò la beatitudine. Le parole di Elisabetta, sebbene siano state rivolte specificatamente a Maria, si possono benissimo applicare ad ogni credente.

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18/04/2012 00:09

Che differenza, tra la storia di Maria, Elisabetta e Tommaso! Quest’ultimo, che era apostolo di Gesù Cristo, quando i suoi colleghi gli comunicarono che Gesù era risuscitato dai morti, agendo come una persona accorta, prudente e non credulona (si direbbe in termini moderni), dichiarò:

«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò» (Giovanni 20:25).

Dopo otto giorni, Gesù si manifestò nuovamente ai discepoli. Ora Tommaso è presente. Rivolgendogli la parola Gesù gli disse:

«Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Davanti a quell'evidenza,
Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!»
Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»
(vv. 27-29).

Davanti all’affermazione di Gesù, appare chiaramente chi è beato. Gli increduli, si comportano ed agiscono, in base alla loro incredulità; quelli invece che credono, assumono un diverso comportamento e manifestano un diverso modo di agire.

d) Altri esempi di persone che agirono con riferimento a quello che credevano


Mosè e i figli d’Israele si trovano al Mare Rosso. Gli Egiziani, loro nemici, li inseguono da vicino, con il preciso scopo di riportarli in Egitto. Il popolo alzando gli occhi, vide in lontananza che i carri di Faraone stavano per raggiungerli. Nel vedere una simile scena, furono presi da una tremenda paura, pensando che nel giro di poco tempo, sarebbero caduti nelle mani dei loro nemici. In quella particolare situazione, gridarono al Signore,

e dissero a Mosè: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto? Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall’Egitto?
Era appunto questo che ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare, che serviamo gli Egiziani! Poiché era meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto».
E Mosè disse al popolo: «Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il SIGNORE compirà oggi per voi; infatti, gli Egiziani che avete visti quest’oggi, non li rivedrete mai più.
Il SIGNORE combatterà per voi e voi ve ne starete tranquilli».
Il SIGNORE disse a Mosè: «Perché gridi a me? Di’ ai figli d’Israele che si mettano in marcia.
Alza il tuo bastone, stendi la tua mano sul mare e dividilo; e i figli d’Israele entreranno in mezzo al mare sulla terra asciutta
(Esodo 14:11-16).

All’ordine di Dio,
Mosè stese la sua mano sul mare e il SIGNORE fece ritirare il mare con un forte vento orientale, durato tutta la notte, e lo ridusse in terra asciutta. Le acque si divisero,
e i figli d’Israele entrarono in mezzo al mare sulla terra asciutta; e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra.
Gli Egiziani li inseguirono e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri, i suoi cavalieri, entrarono dietro a loro in mezzo al mare
(Esodo 14:21-23).

Lo stendere la sua mano sul mare, fu un’azione ben precisa e visibile, e ci dice eloquentemente che, Mosè credendo a quello che Dio gli aveva ordinato, si comportò e agì in quel modo. Se egli non avesse creduto, il suo comportamento nell’agire, sarebbe stato diverso.

In un’altra occasione, Dio ordinò a Mosè, di parlare alla roccia, per fare uscire dell’acqua per i figli d’Israele. Questa volta Mosè, invece di “parlare”, “percosse la roccia”. Anche se si legge che l’acqua uscì ugualmente dal masso roccioso, rimane fermo il fatto che in quella circostanza, Mosè non credette che con la semplice “parola”, sarebbe uscita dell’acqua, perciò si comportò ed agì in un modo differente, di come avrebbe dovuto comportarsi (cfr. Numeri 20:2-12).

Ai tempi del profeta Eliseo, un generale dell’esercito del re di Siria, va a lui per essere guarito dalla sua lebbra. Il profeta gli ordina di andarsi a lavare sette volte nelle acque del fiume Giordano, per essere guarito dalla sua malattia. Naaman, all’udire quell’ordine, invece di ubbidire,

si adirò e se ne andò, dicendo: «Ecco, io pensavo: egli uscirà senza dubbio incontro a me, si fermerà là, invocherà il nome del SIGNORE, del suo Dio, agiterà la mano sulla parte malata, e guarirà il lebbroso.
I fiumi di Damasco, l’Abana e il Parpar, non sono forse migliori di tutte le acque d’Israele? Non potrei lavarmi in quelli ed essere guarito?» E, voltatosi, se n’andava infuriato.
Ma i suoi servitori si avvicinarono a lui e gli dissero: «Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una cosa difficile, tu non l’avresti fatta? Quanto più ora che egli ti ha detto: Làvati, e sarai guarito?»
(2 Re 5:11-13).

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19/04/2012 00:03

La domanda che poniamo d’obbligo è la seguente: perché Naaman si arrabbiò e stette ritornarsene al suo paese? Perché non credeva che lavandosi nelle acque del fiume Giordano, la sua lebbra sarebbe stata guarita. Sì, è vero che, in un secondo tempo, il generale, lasciandosi convincere dei suoi servi, andò al Giordano, si lavò sette volte e fu guarito! Ma inizialmente, il suo comportamento e il suo agire, fu ben diverso. Per la storia di quest'episodio, (cfr. 2 Re 5:1-14).

Sempre al tempo di Eliseo, ci fu una gran carestia in Samaria. La città venne cinta d’assedio dall’esercito del re di Siria, e, a causa di quest'assedio,

una testa d’asino la si vendeva a ottanta sicli d’argento, e il quarto d’un cab di sterco di colombi, a cinque sicli d’argento (2 Re 6:25).

In conseguenza di ciò, il profeta Eliseo venne ritenuto responsabile di quella situazione, e si cercò di ucciderlo.

Allora Eliseo disse: «Ascoltate la parola del SIGNORE! Così dice il SIGNORE: Domani, a quest’ora, alla porta di Samaria, la misura di fior di farina si avrà per un siclo, e le due misure d’orzo si avranno per un siclo».
Ma il capitano sul cui braccio il re si appoggiava, rispose all’uomo di Dio: «Ecco, anche se il SIGNORE facesse delle finestre in cielo, potrebbe mai avvenire una cosa simile?» Eliseo rispose: «Ebbene, lo vedrai con i tuoi occhi, ma non ne mangerai»
(2 Re 7:1-2).

Perché quel capitano si espresse in quel modo? Perché non credette alla profezia di Eliseo. Quando poi i quattro lebbrosi mandarono un messaggio al palazzo reale che affermava che, nell’accampamento dei Siri, c’era tanta abbondanza di cibo, e che tutto l’esercito era fuggito, il re d’Israele, invece di accogliere benevolmente quel messaggio, pensò che i Siri avessero preparato una trappola, per conquistare la città di Samaria. Anche se più tardi vennero mandati degli uomini nel campo dei Siri, che verificarono la veracità dei lebbrosi, la profezia di Eliseo rimase ferma. Infatti, secondo quello che aveva predetto il profeta,

una misura di fior di farina si ebbe per un siclo, e due misure d’orzo per un siclo, secondo la parola del SIGNORE.
Il re aveva affidato la guardia della porta al capitano sul cui braccio si appoggiava; ma questo capitano fu calpestato dalla folla presso la porta della città, e morì, come aveva detto l’uomo di Dio, quando aveva parlato al re che era sceso a trovarlo.
Difatti, quando l’uomo di Dio aveva parlato al re, aveva detto: «Domani, a quest’ora, alla porta di Samaria, due misure d’orzo si avranno per un siclo e una misura di fior di farina per un siclo».
Ma quel capitano aveva risposto all’uomo di Dio, e gli aveva detto: «Ecco, anche se il SIGNORE facesse delle finestre in cielo, potrebbe mai avvenire una cosa simile?» Ed Eliseo gli aveva detto: «Ebbene, lo vedrai con i tuoi occhi, ma non ne mangerai».
E così avvenne: fu calpestato dalla folla presso la porta della città, e morì
(2 Re 7:16-20).

Quella fu la prova dell’adempimento letterale, della parola del Signore. Se quel capitano avesse creduto alla parola di Dio, pronunciata per mezzo di Eleseo, egli si sarebbe comportato in merito; ma siccome non credette, morì calpestato dalla folla. Per l’intero racconto, cfr. il capitolo sette di 2 Re.

E che dire dell’apostolo Paolo, quando sentì la profezia di Agabo, che affermava:

«Questo dice lo Spirito Santo: A Gerusalemme i Giudei legheranno così l’uomo cui questa cintura appartiene, e lo consegneranno nelle mani dei pagani»? (Atti 21:11).

La fratellanza pianse a sentire quella profezia, e, esercitando una certa pressione sull’apostolo, cercò di convincerlo, di rinunciare ad andare a Gerusalemme. Ma egli, fermo e deciso, rispose che era pronto, non solo ad essere legato, ma anche a morire per il nome del Signore Gesù (Atti 21:13).
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Perché Paolo assunse quell’atteggiamento fermo e deciso? Perché in precedenza, aveva ricevuto e creduto al messaggio dello Spirito Santo.

So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni.
Ma non faccio nessun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine con gioia la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio
(Atti 20:23-24).

Avremmo potuto continuare a citare altri esempi, ma preferiamo fermarci, e ripetere le parole del testo che abbiamo riportato all’inizio:

Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento» (Luca 1:45).

PS: Se al termine del capitolo 8 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura

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20/04/2012 00:16

Capitolo 9




IL COMPORTAMENTO E L’AGIRE DI DUE DONNE




1. LA DONNA CON IL FLUSSO DI SANGUE


La frase principale che la donna con il flusso di sangue pronunciò, fu: «Se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita».

Siccome il racconto della storia di questa donna è riportato dai tre sinottici, abbiamo creduto opportuno riportare il testo dei tre evangeli, solamente allo scopo, di avere davanti a noi, tutti gli elementi di quest'evento miracoloso.

Ed ecco una donna, malata di un flusso di sangue da dodici anni, avvicinatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste,
perché diceva fra sé: «Se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita».
Gesù si voltò, la vide, e disse: «Coraggio, figliola; la tua fede ti ha guarita». Da quell’ora la donna fu guarita
(Matteo 9:20-22).

Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni-
molto aveva sofferto da molti medici, e aveva speso tutto ciò che possedeva senza nessun giovamento, anzi era piuttosto peggiorata-
avendo udito parlare di Gesù, venne dietro tra la folla e gli toccò la veste, perché diceva:
«Se riesco a toccare almeno le sue vesti, sarò salva».
In quell’istante la sua emorragia ristagnò; e lei sentì nel suo corpo di essere guarita da quella malattia.
Subito Gesù, conscio della potenza che era emanata da lui, voltatosi indietro verso quella folla, disse: «Chi mi ha toccato le vesti?»
I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi come la folla ti si stringe attorno e dici: "Chi mi ha toccato?"»
Ed egli guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo.
Ma la donna paurosa e tremante, ben sapendo quello che era avvenuto in lei, venne, gli si gettò ai piedi e gli disse tutta la verità.
Ma Gesù le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace e sii guarita dal tuo male»
(Marco 5:25-34).

Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni [e aveva speso tutti i suoi beni con i medici] senza poter essere guarita da nessuno,
si avvicinò di dietro e gli toccò il lembo della veste; e in quell’istante il suo flusso ristagnò.
E Gesù domandò: «Chi mi ha toccato?» E siccome tutti negavano, Pietro e quelli che erano con lui risposero: «Maestro, la folla ti stringe e ti preme».
Ma Gesù replicò: «Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me».
La donna, vedendo che non era rimasta inosservata, venne tutta tremante e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò, alla presenza di tutto il popolo, per quale motivo l'aveva toccato e come era stata guarita in un istante.
Ma egli le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace»
(Luca 8:43-48).

Questa storia unica nel suo genere, merita un approfondimento, per cercare di comprendere la vita di questa donna, la sua malattia, la sua sofferenza, il denaro speso con i medici, il risultato che ottenne e lo stato in cui visse, durante tutto l’arco dei dodici anni, che durò la sua infermità.

Tenendo presente che la donna del nostro racconto, perdette sangue per dodici anni, si deve convenire che, lo stato fisico del suo corpo, si era ridotto in un'estrema debolezza. Che la scienza medica di quei tempi non fosse molto sviluppata, si deduce dai tentativi che i medici fecero nei suoi confronti. Nonostante che fossero diversi i medici a visitarla, nessuno di loro, però, riuscì a trovare una cura per guarirla.

Dalla menzione di diversi medici, si può dedurre che, l’inferma, non solo non risparmiò denaro per curarsi (questo significa che non aveva ristrettezza economica), ma tutto quello che aveva lo spese, senza ricavarne alcuna utilità, anzi piuttosto aveva peggiorata Quindi, la sua sofferenza fisica (e anche morale?), invece di essere alleviata, aumentò. Si può, quindi, immaginare, in quale stato d’animo si trovasse quella donna, visto che per lei, non si prospettava nessuna speranza per uscire da quella triste situazione che, ormai si protraeva da dodici anni. Era anche in uno stato di disperazione? Probabilmente!

a) La donna sentì parlare di Gesù


Quel giorno o quel momento in cui sentì parlare di Gesù, determinò una radicale svolta nella sua vita. Gesù, oltre a predicare una diversa dottrina, rispetto a quello che insegnavano gli scribi, era anche l’uomo che faceva i miracoli, che guariva le malattie, e, che per Lui, non c’erano casi disperati, che Egli non potesse risolvere. La donna avrà pensato: se Gesù ha sanato quel paralitico, ha dato la vista a quel cieco; ha fatto udire quel sordo, ha nettato quel lebbroso e ha fatto parlare quel muto, perché mai non potrebbe guarire la mia infermità, e fermare l’emorragia? Non ho mai sentito dire che i malati andati a Lui, o che siano stati condotti a Lui, Gesù li abbia rinviati a casa, senza venire incontro ai loro bisogni. Neanche ho sentito dire che, Gesù, ai sofferenti che si rivolgevano a Lui, abbia detto: sono troppo occupato, ho molti impegni, non vi posso dare retta; venite un altro giorno, e vi aiuterò, vi guarirò dalle vostre infermità. Egli ha sempre accolto con premura i vari sofferenti; si è sempre prodigato in loro favore, senza fare mai trapelare la sua indifferenza e la sua apatia.

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21/04/2012 01:08

Tutte queste notizie che mi sono pervenute, mi ricordano che Gesù è diverso dagli altri. È anche molto più bravo dei migliori medici, che io stessa ho consultato, perché Egli, pur non prescrivendo nessuna medicina, guarisce le malattie, con la semplice sua parola. Se tutte queste notizie che ho raccolto, sono vere, significa che se io andrò da Lui, e arriverò a toccare il lembo dei suoi vestiti, per cento sarò guarita.

b) La donna si mette in cammino per andare da Gesù

La donna del nostro racconto, non è una di quelle che si fermano al solo pensare, che ragionano tra sé, o che fanno i confronti delle diverse cose che hanno sentito parlare; è invece una persona che ha creduto ai vari racconti miracolosi compiuti da Gesù. È questa sua credenza che cambia il suo comportamento e il suo agire. Prima andava in cerca dei migliori medici, senza risparmiare denaro, ora invece si prepara per andare a trovare Gesù. Ma dove andarlo a trovare? Sarà forse lontano dalla mia casa? Ci vorrà molto tempo per arrivarci? (teniamo presente che il quel tempo non c’erano i mezzi di trasporto che ci sono oggi).

Qualunque siano stati i ragionamenti che la donna con il flusso di sangue, avrà fatto prima di partire, tutto è stato programmato e ben convogliato per raggiungere una finalità, uno scopo ben determinato: arrivare dove si trova Gesù. La donna del nostro racconto, avrà anche pensato alla probabilità che, quando arriverà sul posto, ci sarà una gran folla che non le permetterà di toccare il vestito di Gesù? Anche se questo sarà balenato nella sua mente, visto che probabilmente quando lei sentì parlare di Gesù, le venne pure riferito che, attorno a Lui, c’erano sempre folle. Non importa, avrà detto! Tutto sarà risolto, nel migliore dei modi. Se attorno a Gesù ci sarà una gran folla, che non mi permetterà di avvicinarmi a Lui, non sarà per me un problema. D’altra parte, lo scopo principale del mio viaggio, non è quello di vedere la faccia di Gesù, o rivolgerli una parola di supplica. A me basterà che, infilandomi in mezzo alla gente, stenda la mia mano e tocchi nel di dietro il suo vestito, e sarò certamente guarita.

c) La donna arrivò da Gesù

Quando la donna con il flusso di sangue arrivò da Gesù, quello che lei aveva pensato, circa la presenza della folla, attorno a Gesù era vero. Lei che era partita dalla sua casa, con la precisa intenzione di toccare il vestito di Gesù, avrà senza dubbio osservato e studiato la situazione, per come arrivare al suo scopo. Davanti a quella massa di gente che circondava Gesù, era necessario che la donna si aprisse un varco, (chiedendo permesso e dando anche degli spintoni?) perché solo allora, avrebbe potuto toccare le vesti di Gesù. Non fu certamente un lavoro facile; richiese pazienza, persistenza e determinazione. Quando ci sono questi elementi nella vita di una persona, sarà molto facile raggiungere l’obbiettivo.

Ormai il suo corpo è vicino a quello di Gesù. Però, non sarà con il suo pensiero che dovrà toccare Gesù, né con la sua bocca o con i suoi piedi, ma con la sua mano. Questa, che è aderente al suo fianco, dovrà mettersi in movimento: alzarsi e stendersi verso il punto preciso. Il suo cervello, sarà quello che guiderà l’operazione, così che in pochi attimi, il vestito di Gesù venne toccato. Nello stesso attimo che la sua mano si allungò per toccare l’abito di Gesù, l’emorragia si fermò, e subito la donna si rese conto di essere stata guarita.

d) Gesù parlò

Nell’attimo che accadde la guarigione nel corpo della donna, Gesù avvertì, che una potenza era uscita da lui. In conseguenza di ciò, chiese: «Chi mi ha toccato»? Il fatto che Luca riferisca che tutti negavano (Luca 8:45), sta significando che, nessuno dei presenti, si accorse del gesto della donna. L’unico che si rese conto che qualcuno lo aveva toccato, fu Gesù. Se non c’è nessuno vicino a te, che osserva quello che fai, ricordati sempre che c’è Gesù, il Figlio di Dio, che conosce appieno ogni tuo movimento.

Vendendo che nessuno apriva la bocca per rispondere alla domanda di Gesù,

Pietro e quelli che erano con lui risposero: «Maestro, la folla ti stringe e ti preme». Dopo che Gesù replicò che qualcuno l’aveva toccato, Marco aggiunge che Gesù guardava attorno per vedere colei che aveva fatto quel gesto (Marco 5:32).

La donna, vedendo che non era rimasta inosservata, venne tutta tremante e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò, alla presenza di tutto il popolo, per quale motivo lo aveva toccato e com'era stata guarita in un istante (Luca 8:47).

Ora che era stata scoperta, che cosa si sarebbe aspettato quella donna? Lei sapeva che, a causa della perdita di sangue che aveva, era considerata una donna immonda, quindi, a rigore, non avrebbe potuto toccare nessuno. Il fatto che quando si presentò a Gesù, era tutta tremante, ciò rivela che si aspettava un rimprovero davanti a tutti, per l’atto che aveva compiuto. Gesù però, invece di rimproverarla, le disse: «Figliola, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace».

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22/04/2012 00:07

L’esame che abbiamo condotto intorno a questa donna con il flusso di sangue, ci ha fatto vedere chiaramente che, tutto quello che lei compì, da quando sentì parlare di Gesù, fino al momento in cui toccò il suo vestito, lo ha fatto con riferimento a quello che credeva. In conclusione, il suo comportamento e il suo agire, si manifestarono decisamente in quella direzione.

2. LA DONNA CANANEA O SIROFENICIA

La storia di questa donna pagana, riportata dagli evangelisti Matteo e Marco, merita una particolare considerazione, non solo per comprendere il suo particolare problema, ma anche e soprattutto per valutare il suo comportamento e il suo agire, a proposito di quella triste situazione familiare.

Come abbiamo riportato i testi evangelici per la donna con il flusso di sangue, allo stesso modo riportiamo i testi per la donna Cananea, così che possiamo averli sottocchio.

Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone.
Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio».
Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro».
Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele».
Lei però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!»
Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini».
Ma lei disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita
(Matteo 15:21-28).

Poi Gesù partì di là e se ne andò verso la regione di Tiro. Entrò in una casa e non voleva farlo sapere a nessuno; ma non poté restare nascosto,
anzi subito, una donna la cui bambina aveva uno spirito immondo, avendo udito parlare di lui, venne e gli si gettò ai piedi.
Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita; e lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia.
Gesù le disse: «Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini».
«Sì, Signore», lei rispose, «ma i cagnolini, sotto la tavola, mangiano le briciole dei figli».
E Gesù le disse: «Per questa parola, va’, il demonio è uscito da tua figlia».
La donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei
(Marco 7:24-30).

a) La Cananea sentì parlare di Gesù


Anche della donna Cananea, o Sirofenicia (come si può chiamare, visto che era la stessa persona) al pari di quella del flusso di sangue, si afferma che sentì parlare di Gesù. Gesù era un personaggio particolare, non per la sua forma somatica, ma per quello che Egli annunciava, circa il regno di Dio. Era anche particolare, per le tante guarigioni che compiva nelle persone affette da qualsiasi infermità. Infine, era diventato popolare, per i tanti individui che aveva liberato da spiriti immondi o posseduti dal demonio. Infine, si precisa che questa donna era una pagana, cioè non apparteneva alla famiglia degli Israeliti.

Questa donna aveva una figlia (Marco la definisce una bambina, sicuramente per la sua giovanissima età) posseduta da un demone che la tormentava gravemente. Come fece questa mamma a discernere che, il tormento della figlia, era causato da un demone, non ci viene dato di sapere. Neanche ci viene spiegato la sofferenza che il demone procurava a quella fanciulla.

La Cananea, prima di presentarsi a Gesù, aveva forse cercato gli spiritisti, o negromanti, come venivano chiamate quelle persone che cacciavano gli spiriti immondi? Non lo sappiamo! E, nell’eventualità che avesse avuto contatto, sicuramente non aveva ottenuto quello che cercava, cioè la liberazione della figlia. Quando però, sentì parlare di Gesù, Colui che liberava le persone dai demoni, fece tutti i preparativi per andarlo a trovare. Visto che Gesù si trova nei paraggi dove abitava quella mamma, essa non indugiò a recarsi da Lui.

b) Il gesto che compì la donna

Il gesto che compì la mamma della bambina, di gettarsi ai piedi di Gesù, aveva il senso di rivelargli tutta l’angoscia che provava, nel vedere la figlia soffrire, a causa del demone la possedeva. Quel gesto voleva anche esprimere la sua umiltà, poiché lo chiamò: Signore, e Figlio di Davide. È, infatti, questa sua confessione pubblica, cioè, fatta davanti alle persone della casa dove Gesù si trovava, che da valore alle sue parole e al suo gesto. L’attitudine che quella pagana assunse in quel giorno davanti a Gesù, era libera, nel senso che nessuno l’aveva istruita a comportarsi in quel modo; era anche spontanea, senza nessun'ombra di vergogna.

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23/04/2012 00:59

Se non ci fosse Marco a specificare che la Cananea s’incontrò con Gesù nella casa dove egli si trovava, cioè in un luogo privato, gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide, in mezzo alla strada, ciò acquisterebbe più valore. Infatti, confessare pubblicamente e senza vergogna che Gesù, era Signore, e Figlio di Davide, per un Ebreo significava riconoscerlo quale Messia, promesso dai profeti; mentre per un pagano, equivaleva ad una conversione al giudaismo. Se quella mamma pagana invocava la pietà di Gesù, nei confronti di sua figlia, questo voleva significare che, lei non aveva nessun merito cui fare riferimento, per ottenere la grazia.

c) L’intervento dei discepoli di Gesù

Se il racconto della Sirofenicia, l’avesse riportato solo l’evangelista Marco, non si potrebbe parlare dell’intervento dei discepoli di Gesù, per quella particolare circostanza. Visto però, che il racconto in questione, lo riferisce anche l’evangelista Matteo, allora è possibile conoscere il comportamento dei discepoli di Gesù. Costoro, si avvicinarono e lo pregavano dicendo: Mandala via, perché ci grida dietro». Naturalmente i discepoli, non potevano sopportare che, in mezzo alla strada, dove probabilmente c’erano altre persone, una donna si permettesse di creare disordine con il suo gridare. Però, nello stesso tempo, non si rendevano conto che, se quella donna, si comportava in quel modo, non era perché voleva creare disordine attorno a Gesù in quel giorno, ma era l’angoscia di una mamma, che stava perorando la causa di sua figlia.

Non sempre i discepoli di Gesù, comprendono i reali bisogni degli altri, perciò assumono certi atteggiamenti, che non sono conformi al loro ruolo.

d) L’intervento di Gesù

A prima vista, l’intervento di Gesù, potrebbe essere interpretato “duro, crudo e sprezzante”. Infatti, rispondere, nella maniera come fece, ad una mamma che grida, (possibilmente con le lagrime agli occhi) chiedendo pietà per la figlia che è gravemente tormentata, non si addice per la natura compassionevole che Gesù ha in sé. Quando si aggiunge che quella mamma sì prostrò davanti a Gesù, dicendogli: «Signore aiutami», diventa più marcata la crudezza che Gesù manifestò in quella circostanza. Se poi si tengono presenti le parole che uscirono dalla bocca di Gesù: «non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini, il senso sprezzante, per quella pagana paragonata ad un cagnolino, ci lascia perplessi.

Ma perché Gesù usò quel linguaggio prezzante che non aveva adoperato mai per nessuno? Era forse il patriottismo della causa della sua nazione e del suo popolo, che voleva difendere? Certamente no, in modo assoluto! Allora, perché si comportò in quel modo? Se Gesù non avesse usato quelle parole, non si sarebbe mai conosciuto il vero motivo che spinse quella donna ad andare da Gesù.

Senza pensare di essere stata offesa, per essere stata paraganata ad un cagnolino, la donna rispose: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Volendo riferirsi al fatto che lei, come pagana, non poteva pretendere l’onore di sedersi a fianco di un Ebreo, per mangiare alla stessa tavola. Però, come cagnolino, (= pagano), che sta sotto il tavolo, ha il diritto di mangiare le briciole che cadono. Sono queste le parole, pronunciate con tanta naturalezza, che rivelano la “gran fede” che aveva quella donna.

Infatti, non è la donna che parla della sua fede, ma è Gesù che la riconosce e la pubblica apertamente. È in virtù di questa gran fede, che Gesù può dirle, ti sia fatto come vuoi, e: «Per questa tua parola, va’, il demonio è uscito da tua figlia». Il racconto evangelico si conclude con l'affermare che, la donna, tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei.

e) Il comportamento e l’agire della Cananea

Davanti a tutti i particolari che il racconto evangelico ci fornisce intorno alla Cananea, si può benissimo notare che, il suo comportamento e il suo agire, furono motivati da quello che lei credeva.

Quando sentì parlare di Gesù, non solo conobbe quello che Egli insegnava intorno al regno di Dio, ma compiva anche miracoli, nel venire incontro ai vari bisogni delle persone che andavano da Lui. Tutto questo, naturalmente, avrà prodotto anche la fede, in virtù della quale, portandola a credere che, quello che Gesù aveva fatto nella vita degli altri, l’avrebbe potuto fare nella sua figlia. Il suo andare da Gesù, ci dimostra che la sua fede, si mise in movimento. Non è possibile credere che la fede, resti passiva, cioè immobile, senza compiere nessun'azione.

L’interessamento e la premura che la Cananea manifestò per la propria figlia, non era semplicemente la manifestazione della sensibilità di una mamma, ma era essenzialmente l’agire di una persona, che stava seguendo quello che lei credeva.

Davanti alle parole dure e sprezzanti, che le vennero rivolte, quando fu paragonata ad un “cagnolino”, oltre a non prendersela come un’offesa, e a farla indietreggiare nel suo proposito, ciò mise in evidenza il diritto di raccogliere le briciole che cadevano dal tavolo.

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24/04/2012 00:14

Furono queste parole, che portarono Gesù a riconoscere che in quella Cananea, c’era una “fede grande”, da farle ottenere quello che aveva cercato, cioè: la liberazione di sua figlia. Se quella mamma ottenne la grazia per sua figlia, il comportamento e l’agire che dimostrò, erano profondamente motivati, da ciò che credeva.

PS: Se al termine del capitolo 9 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura


Capitolo 10




QUEL CHE COMPIE CHI CREDE




Attraverso una serie di citazioni, metteremo in evidenza quello che compirà chi crede, naturalmente a Dio e alla Sua Parola.

1) Cantare le lodi del Signore


Il Salmo 106, descrive le varie tappe che compirono i figli d’Israele e le diverse vicissitudini che incontrarono nel loro pellegrinaggio. Ricordando l’evento del Mar Rosso, il salmista afferma: Allora credettero alle sue parole, e cantarono la sua lode (v. 12).

Mosè aveva detto ai figli d’Israele, che non avrebbero avuto mai più visto gli Egiziani, loro acerrimi nemici. Fu a questa parola che il popolo credette, perciò poterono cantare la lode al Signore, così come si narra nel capitolo quindici dell’Esodo. Cantare le lodi del Signore, significa: rallegrarsi per le vittorie ottenute. Non ci sono vittorie se non si crede.

Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede (1 Giovanni 5:4).

2) I Niniviti che credettero a Dio


Il giudizio che Giona proclamò alla popolazione di Ninive, affermava che Dio li avrebbe distrutti. Siccome Giona indicava un tempo ben determinato (quaranta giorni), sentendo quel messaggio, il testo sacro precisa che:

I Niniviti credettero a Dio, proclamarono un digiuno, e si vestirono di sacchi, tutti, dal più grande al più piccolo (Giona 3:5).

Se il popolo di Ninive proclamò un digiuno e si vestì di sacchi, quest’azione si riferiva al fatto che avevano creduto al messaggio divino.

3) Il miracolo in Cana di Galilea


Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui (Giovanni 2:11).

In Cana di Galilea, Gesù fece il suo primo miracolo, quando trasformò l’acqua in vino. In questo miracolo, è affermato, che Gesù manifestò la sua gloria, che era quella dell’Unigenito proceduto dal Padre (Giovanni 1:14). Credere in Gesù, significava per quei discepoli, riconoscere la sua divinità, come messaggero venuto dal cielo. Quando i discepoli parlavano di Gesù, non lo definivano come un uomo qualsiasi, ma sempre come il Figlio del Dio vivente (Matteo 16:16; Giovanni 6:69), venuto per cercare e salvare ciò che era perduto (Luca 19:10)

4) La risurrezione di Gesù

Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detto (Giovanni 2:22).

È vero che i discepoli di Gesù, all’inizio, non credettero alla sua risurrezione; Però, quando furono liberati da ogni forma d'incredulità e si accertarono che era un fatto storico, cioè che era veramente avvenuta, diventarono talmente coraggiosi, da sfidare le più alte cariche religiose, anche se questo comportamento, procurò loro il carcere (cfr. Atti 3:15,26:4:10,20; 5:30.

5) I segni miracolosi che Gesù compiva

Ma molti della folla credettero in lui, e dicevano: «Quando il Cristo sarà venuto, farà più segni miracolosi di quanti avrà fatto questi?» (Giovanni 7:31).

I segni miracolosi che Gesù compiva, portavano le persone a riflettere per sapere chi egli era veramente. C’erano quelli che, davanti ai suoi miracoli, rimanevano scettici, ma vi erano altri che cambiavano atteggiamento, con la convinzione che il Cristo, non avrebbe fatto più segni miracolosi che non avesse fatto Gesù. Queste persone, quindi, si comportavano nei confronti di Gesù, in conformità a ciò che credevano di Lui.

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25/04/2012 00:54

6) L’allegrezza che provavano gli stranieri

Gli stranieri, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la Parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero (Atti 13:48).

Quando il Nuovo Testamento parla di stranieri, allude ai gentili, cioè a quelli che non erano considerati il popolo di Dio. Rallegrarsi, ascoltando le cose di Dio, denota un cambiamento di stato. Una persona allegra, lo dimostra con il suo comportamento, nella stessa maniera come si dimostra il dolore con le lagrime. Il “glorificare la Parola di Dio”, è un altro segno di agire, in conformità a ciò che si crede.

7) Credere a ciò che si chiede a Dio

Perciò vi dico: tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete (Marco 11:24).

Credere di aver ricevuto quello che si chiede, è il segreto per ottenerlo. Come si comporta una persona che ha in mano quello che ha chiesto? Se ha chiesto un pane, un pesce, un uovo (Luca 11:11-12), che cosa dirà? Ho un pane, un pesce, un uovo. Quando arriva l’ora di mangiare, non si comporterà come se non possedesse niente in casa. Dirà fermamente: ho un pane, un pesce, un uovo.

CONCLUSIONE


I diversi testi biblici che abbiamo riportato, ci hanno fornito elementi importanti, per approfondire l’argomento di questo libro. Anche se le citazioni bibliche sono state limitate, ciò non toglie che quello che abbiamo scritto non sia stato sufficientemente appropriato per descrivere il comportamento e l’agire di coloro che sono stati chiamati in causa.

Forse, a prima vista, l’argomentazione che abbiamo condotto nei dieci capitoli che compongono questo libro, potrà sembrare troppo tirata, quasi sull’orlo dell’esagerazione. Se però, si riflette abbastanza, togliendo di mezzo quei pregiudizi che potrebbero appannare la nostra obbiettività, la verità illustrata attraverso la riflessione, apparirà senza dubbio nella sua luminosità

È certo però, che l’uomo non si comporta e non agisce a caso, sospinto da una mera curiosità, che si localizza nella sua immaginazione fantasiosa. C’è qualcosa di più in quel che l’essere umano compie, specie quando le azioni sono determinate e persistenti. Un castello immaginario, non potrà durare nel tempo, specie quando viene messo alla prova del fuoco. Se si prende sul serio quello che afferma l’apostolo Paolo, cioè che se su un solido fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, il fuoco lo potrà appannare, ma non distruggere. Mentre se sullo stesso fondamento si costruisce, con legno fieno e stoppia, il fuoco li farà scomparire (1 Corinzi 3:12-15).

I paggi di cui abbiamo parlato ampiamente, attraverso la prova del fuoco, hanno dimostrato di aver costruito sul fondamento della loro credenza, con oro, argento e pietre preziose. Infine, ci hanno dimostrato che il loro comportamento e il loro agire, non era un castello di carta, costruito nella loro fantasia, per dimostrare l’ssurdità della realtà della loro fede in Dio e nella Sua Parola. Anzi, attraverso azioni tangibili, che altri hanno potuto vedere e constatare, essi hanno voluto dimostrare a tutti che: l’uomo (a qualsiasi ceto appartenga) si comporta ed agisce in conformità a quel che crede. Amen!


BIBLIOGRAFIA


Gleason L. Archer, La parola del Signore, Vol. 1, pagg. 454-479
S. Battaglia, GDLI, Vol. XI, pag. 953, UTET, Torino, 1977
J.A. Bühner, Dizionario Esegetico del N.T., Vol 1, col. 379-388, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1986.
D. Müller, in Dizionario dei concetti del Nuovo Testamento, pagg. 127-136, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1986
John A. Martin, Investigate le Scritture, Nuovo Testamento, pagg. 226-227), Casa della Bibbia, Torino, 2002
J. Dwight Pentecost, Investigate le Scritture, Antico Testamento, pagg. 1387-1391, La Casa della Bibbia, Torino, 2001
Norman W. Porteous, Antico Testamento, Daniele, pagg. 15-26, Paideia, Brescia, 1999
K.H. Rengstorf, GLNT, Vol. I, col. 1088-1192, Paideia, Brescia, 1965
Eduard Schweizer, Il vangelo secondo Luca, pag. 69, Paideia, Brescia, 2000
H. Schürmann, Il vangelo di Luca, Parte prima, pag. 266, Paideia, Brescia, 1988
Roberto G. Stewart, Commentario esegetico pratico del Nuovo Testamento, S. Luca, pag. 50, Claudiana, Torino, 1911
Edward J. Young, Commentario Biblico, Vol. 2, pagg. 362-364, La Voce della Bibbia, Modena, 1974

PS: Se al termine del capitolo 10 che è la fine dello studio, ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo. Inoltre, per chi fosse interessato ad avere la copia su carta stampata, la invitiamo a rivolgersi all’Editrice Hilkia presso la quale si trova la presente pubblicazione, e potrà acquistarla ad un prezzo modico. Grazie!
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