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Domenico34 - La prima moltiplicazione dei pani – Sommario, Prefazione, Introduzione. Capitoli 1-4

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2012 00:07
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08/03/2012 00:08

Il termine greco per descrivere il vedere di Pietro è theōrei, che significa: «Chi sta attento allo spettacolo; stare a guardare, andare a vedere qualcosa, guardare, contemplare, considerare, esaminare» (tutti in senso mentale).

3) Infine, dopo che Pietro fece la constatazione che il sudario non era assieme con i panni di lino, viene detto dell’altro discepolo:
Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, vide e credette (Giovanni 20:8).

La forma verbale usata in questo verso è eiden, che a differenza di Blepo e Theōreo, ha il significato di: «Riconoscere = vedere da lontano, discernere–scorgere = distinguere accettare per vero».

Il verbo usato per descrivere il vedere di Gesù, secondo Marco 6:34 è appunto eido. Il vedere di Gesù, quindi, non fu nel senso casuale del termine, e neanche sotto il profilo intellettuale di chi avrebbe guardato uno spettacolo, ma nel significato di riconoscere, di scorgere. Ovviamente, il vedere di Gesù, non mirava la parte fisica dell’uomo, bensì quell'intima, la spirituale. Fu in conseguenza di questo particolare vedere di Gesù, che quella gran folla venne vista come pecore senza pastore.

Gli uomini sanno vedere le cose, solamente dal punto di vista umano, vale a dire, vedono quelle essenze che si presentano in superficie; non possono vedere, con le loro facoltà, il bisogno di un cuore e lo stato d’animo di un peccatore. Solo Gesù sa e può vedere il lato interiore dell’essere umano, mettendone in luce le varie caratteristiche e nello stesso tempo provvederne il rimedio, per sanare un cuore ammalato e sollevare un’anima abbattuta ed affranta.

La frase: Pecore senza pastore, ci porta a considerare i seguenti punti:

Mancanza di guida


Quella grande folla davanti a Gesù, appariva come un gregge senza pastore. Il pastore è una guida per il grege, e quando questa viene a mancare, il bestiame può smarrirsi ed andare alla deriva. Questo pensiero viene maggiormente lumeggiato, quando pensiamo al Salmo 23. In questo Salmo troviamo la seguente espressione:

Egli mi fa giacere in pascoli di tenera erba, mi guida lungo acque riposanti. Egli mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome (Salmo 23:2,3).

Per Davide, che era anche un pastore, era gioioso sapere che sopra di lui stesso, c’era uno che lo guidava alle acque riposanti. Non è solamente una pura e semplice composizione poetica, se in questo Salmo viene fatto riferimento all’acqua riposante. Questa frase, in termini espliciti, ci fa vedere il discernimento che ha il pastore. Il pastore non è solamente guida per il gregge, ma è anche chi sa interpretarne i vari bisogni. Il pastore conosce l’esistenza delle acque infette e torbide, e, non lascia alla mercé della pecora di dirigersi verso là.

Egli stesso sceglie l’acqua per dissetare il suo gregge. La pecora non ha il discernimento per conoscere l’acqua sana e pulita e lasciare quella torbida e avvelenata. Oh! Quante persone, ai nostri giorni, si dissetano alle acque avvelenate di questo mondo, senza badare alle future conseguenze! In verità però, la persona che beve alle acque avvelenate della pornografia, non appaga la sua sete, anche se da un punto di vista sessuale soddisfa la sua carne, ma rovina la vita per il tempo e per l’eternità.

È solo Gesù, il pastore divino che sa interpretare il reale bisogno di un’anima, perciò la guida verso le acque riposanti della Sua Parola e per i sentieri di giustizia. Il fatto che il Salmo 23 accenni anche ai sentieri di giustizia, ci permette ulteriormente di approfondire il senso della cura che ha il pastore verso la pecora. La pecora non solo manca di discernimento, difetta anche di orientamento. Se una pecora non fosse guidata e fosse lasciata sola in un deserto, sicuramente si perderebbe e non saprebbe indovinare il sentiero giusto per ritornare all’ovile. Ebbene, quella moltitudine, cui il testo evangelico faceva riferimento, fu vista da Gesù, come pecore senza pastore, per il fatto che non avevano una guida che le dirigesse nel sentiero del bene, della volontà di Dio.

L’uomo di questo mondo, che vive al di fuori della salvezza in Cristo, si può paragonare ad uno che viva in un deserto e che facilmente potrebbe smarrirsi nei sentieri tortuosi della vita.

Mancanza di difesa

Il pastore, non è solamente per un gregge la guida, è anche protezione e difesa. La pecora per se stessa, è un animale che non sa difendersi quando viene aggredita; cede facilmente e diventa preda dall’assalitore. È sempre il pastore che supplisce alla mancanza di autodifesa della pecora. È meraviglioso meditare le parole di Gesù, riportate da Giovanni:

Io sono il buon pastore; il buon mandriano depone la sua vita per le pecore (Giovanni 10:11).

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09/03/2012 00:11

Notate che il pastore sacrifica la sua vita per il suo gregge; non fa lo stesso per quelli che non gli appartengono (v. 12). Anche Davide, con l’azione descritta in 1 Samuele 17:34,35, dice la stessa cosa. Se egli liberò la pecora dalla bocca del leone e dell’orso, e mise in pericolo la sua vita, lo fece perché quella pecora era di proprietà di suo padre; era quindi qualcosa che gli apparteneva, di conseguenza non poteva rimanere indifferente e passivo.

Mancanza di aiuto


Il pastore è guida per il gregge, difesa, protezione e aiuto. La pecora ha bisogno di essere guidata al pascolo e alle acque; ha necessità di essere protetta e liberata quando viene assalita dalle belve, ed ha anche bisogno di essere aiutata quando cade.

Quest’ultimo pensiero, può essere maggiormente sviluppato quando pensiamo alla parabola della pecora smarrita, narrata da Luca, al capitolo 15 del suo evangelo. In quella parabola si parla della caduta e dello smarrimento di una pecora, e, nello stesso tempo si mette in risalto l’impossibilità che la pecora ha di risollevarsi.

Vediamo lo zelo e lo slancio del pastore che lasciando le novantanove nel deserto, va in cerca dell’unica che si era smarrita, non curandosi delle difficoltà che incontrerà, dei sacrifici che dovrà affrontare, per riportare all’ovile, quella sola persona che non si trovava più assieme alle altre.

Il lavoro che attende il pastore non è facile e lieve, è piuttosto pieno di rischi e pericoli. Ma per l’amore che porta verso quella pecora smarrita, è disposto a tutto. La sua ricerca non è sommaria e superficiale; è minuziosa e piena. Non si ferma alle prime battute, non si avvilisce davanti all’intemperie, non si stanca col passare del tempo; la sua meta è una: trovare a qualsiasi costo la smarrita. Egli interpreta la situazione nella quale può trovarsi la sua pecora, a causa del suo smarrimento, pensa, con cuore palpitante, alle sofferenze che sta subendo, immagina il posto dove potrebbe trovarsi incastrata, tra le spaccature di una rupe, e, pensando all’impossibilità di liberarsi da sola, di più si accende nel suo cuore l’amore e lo zelo per ritrovare e salvare la sua pecora, prima che questa muoia.

Finalmente, dopo un estenuante lavoro di minuziosa ricerca, riesce a scorgere la sua pecora, tra le fessure di una roccia. A prima vista gli sembra che sia morta, ma poi scorge che ancora ha fiato; è solamente sfinita, stanca ed abbattuta in se stessa. Egli la prende con estrema cura e tenerezza, come se le speranze di sopravvivenza dipendessero dalle sue gesta. La tira fuori di quella fessura e la porta in un luogo sicuro. Ben presto il pastore si accorge che la pecora non ha neanche la forza di reggersi in piedi; non si avvilisce, non si scoraggia, non pensa alla sua stanchezza, bensì a quella della sua pecora, e con un atto pronto e risoluto, si china verso la sua bestiola, la carica sulle spalle e la porta sana e salva all’ovile.

Qui c’è la descrizione minuziosa di tutta la storia della redenzione; dell’opera che Gesù, il Figlio di Dio, venne a compiere in favore delle anime perdute. Luca, dice, che Gesù venne per cercare e per salvare ciò che era perduto (Luca 19:10).

Ritornando alla prima parte di Marco 6: 34, leggiamo che Gesù si mosse a compassione verso quella grande folla, perché erano come pecore senza pastore. La compassione di Gesù, deve essere inquadrata in relazione a quello che egli vide. Gesù non è come un qualsiasi uomo che davanti a una situazione pietosa, rimane indifferente; egli ha un cuore troppo tenero; ha una sensibilità straordinaria per comprendere lo stato d’animo di un peccatore ed infine ha un amore smisurato per aiutare e salvare il bisognoso.

La sua compassione quindi, non è una pura e semplice commiserazione, mirante la parte fisica dell’uomo; non si limita ad un solo pronto intervento, non usa discriminazione di razza e di ceto, non è fermato da circostanze e situazioni particolari; egli va in fondo nella Sua azione, raggiunge l’anima, la parte intima dell’essere umano. È proprio in quella parte dell’uomo che Egli, quale pastore divino, vuole guidare verso le acque riposanti, verso i paschi di erba tenera, verso sentieri di giustizia e di dirittura. Egli vuole proteggere la vita del peccatore, da ogni assalto nemico, per liberarlo da ogni difficile situazione, ed infine, Gesù vuole essere il nostro aiuto, per liberarci dalla nostra stanchezza e sollevarci nelle nostre cadute, in modo che possiamo godere la gioia di una vita guidata, protetta ed aiutata dalla Sua mano divina.

5. GESÙ INSEGNÒ MOLTE COSE

...E prese ad insegnare loro molte cose. Avendo considerato il vedere di Gesù e la sua compassione, ora consideriamo l’insegnamento che diede a quella folla. In questa parte della descrizione evangelica, ci piace la frase di Marco a questo riguardo, soprattutto quando teniamo presente l’importanza e il valore dell’insegnamento, visto soprattutto nel contesto biblico, e non solamente dal lato linguistico. Certo, non possiamo ignorare questo.

L’inguisticamente parlando, il verbo, greco didasko significa: Istruire, ammaestrare, addestrare, educare, ecc.; mentre dal punto di vista biblico l’insegnamento è:

Una luce (Proverbi 6:23)
La vita (Proverbi 4:13).

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10/03/2012 00:06

Da quello che dice Salomone, nei due summenzionati testi, appare chiaro il valore e l’importanza dell’insegnamento. L’insegnamento è una luce perché illumina la mente e il cuore per quanto riguarda la conoscenza della volontà di Dio, la comprensione della Sua Parola, e tutte quelle verità che riguardano l’insieme dottrinario del cristianesimo e l’etica cristiana, vista soprattutto dal punto di vista degli scritti neotestamentari.

L’insegnamento è vita, perché riguarda essenzialmente le relazioni di comunione che intercorrono tra Dio e l’uomo. In questa relazione di comunione è anche compresa quella parte che riguarda gli uomini tra loro.
È certissimo che Gesù nell’«insegnare molte cose» a quelle folle, anche se il testo evangelico non precisasse su quali punti si sia soffermato, non avrà trattato di materie scolastiche, come per esempio: la matematica, la fisica, l’astronomia e via di questo passo.

Egli non era venuto in questo mondo per compiere una simile attività; si occupava essenzialmente dell’insegnamento per quanto riguarda la conoscenza della volontà di Dio, il regno di Dio, e tutte quelle istruzioni inerenti all’amore di Dio e del prossimo, l’abbandono della propria vita nelle mani del Padre celeste, con la piena certezza e consapevolezza che egli prende cura di noi. Insegnare le persone intorno a queste cose, significa prepararli ad esperimentare nella loro vita la potenza di Dio, e tutte quelle manifestazioni della fedeltà e della bontà di Dio nei confronti dell’uomo bisognoso della sua grazia.

6. L’INTERVENTO DEI DISCEPOLI PRESSO IL MAESTRO


Ed essendo già tardi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi. Licenzia questa gente perché se ne vada nelle campagne e nei villaggi all’intorno a comprarsi del pane, perché non ha nulla da mangiare (vv. 35,36).

L’orario tardi, il luogo deserto e il fatto che la gente non ha nulla da mangiare, spinge i discepoli ad intervenire presso il Maestro, affinché mandi a casa quella folla. Non bisogna giudicare i discepoli e classificarli come persone che non hanno fede.

Indubbiamente, la loro fede è ancora poca e non riescono ad intravedere che in quel luogo deserto, sinonimo d'impossibilità umane, può esserci una logica soluzione per la mancanza di cibo per quella folla. Quando le persone vengono meno nella loro fede e i discepoli di Gesù non sono esclusi si riesce a vedere e a metterne in evidenza solamente l’ora tardi e il luogo deserto. A questo punto non è la gran folla che deve imparare ad aver fede in Gesù; devono impararlo i suoi discepoli, perché sono loro che hanno manifestato quella seria preoccupazione.

Da un punto di vista umano, non si può sprezzare l’intervento dei discepoli presso il Maestro, senza negare l’obbiettività della loro osservazione. Nella loro logica, i discepoli avevano ragione; e, il loro suggerimento di licenziare la folla, era più che giustificato, quindi, bisognava accettarlo in pieno, senza ulteriori ritardi. Gesù però, a differenza dei suoi discepoli, che già intravedeva come quella gran folla sarebbe stata saziata, coglie il momento giusto per condurre i suoi allievi ad un livello di fede che ancora non avevano raggiunto, per dare loro la possibilità di vedere la potenza miracolosa di Gesù in azione.

La risposta fu: Date voi a loro da mangiare. Questa parola, che poi è un ordine, non deve essere interpretata come un netto rifiuto e neanche come un severo rimprovero, ma deve essere intesa come un'opportunità che Gesù concede ai suoi discepoli per elevarli al disopra della folla ed entrare in quella sfera d’azione ove la loro responsabilità appare nella sua giusta dimensione.

7. IL SENSO DELLA RISPOSTA DEI DISCEPOLI

Se Gesù non avesse detto loro: Date voi a loro da mangiare, difficilmente i discepoli si sarebbero espressi in quei termini.

...Dobbiamo andare noi a comprare del pane per duecento denari e dare loro da mangiare? (v. 37).

L’intervento dei discepoli presso il Maestro, prevedeva che la folla venisse licenziata e che ognuno fosse messo in condizione di andare per le campagne e per i villaggi a comprarsi da mangiare. Davanti alla precisa parola di Gesù, i discepoli non vedono altra scelta e non intravedono altra soluzione. Dal momento che la folla non viene licenziata e non va a comprarsi da mangiare, tocca a loro andare e comprare il pane. Notate come i discepoli, non comprendendo la parola di Gesù, invertono i termini. Gesù non aveva ordinato di andare a comprare il pane per dare da mangiare alla folla, aveva solamente detto: Date voi a loro da mangiare. Quando la parola del Maestro non viene compresa, e, soprattutto la mente e il cuore non vengono illuminati dalla fede, si fa presto a voler fare qualcosa che il Signore non ha detto.

Il fatto che i discepoli danno la risposta in forma interrogativa, denota in se stesso un certo senso di perplessità. Duecento denari, era una somma equivalente alla paga di 200 giornate lavorative di un operaio. Si vede subito che quella somma, per un piccolo numero, quali erano i discepoli, non avevano grandi entrate ammesso che avevano quella cifra, era una gran cifra.

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11/03/2012 00:18

Con la sua domanda chiarificatrice, Quanti pani avete? Gesù si affretta a far capire ai suoi che non devono pensare in termini di andare a comprare il pane, ma devono pensare piuttosto a quello che essi hanno. Progettare di andare a comprare il pane anche se ci vogliono duecento denari, è molto più logico anziché pensare ad una piccolissima scorta di viveri di cinque pani e due pesci, per dare da mangiare ad una folla di cinquemila uomini. Quando l’uomo non sa vedere quello che Dio può fare col suo potere divino, egli non pensa di mettere il poco che ha a disposizione degli altri.

Indubbiamente, quei cinque pani e due pesci, oltre a costituire una piccolissima scorta di viveri per i discepoli, dal punto di vista umano, non c’è neanche da pensare di poterli mettere a disposizione di quelle persone che non hanno nulla, senza essere assillati dalla preoccupazione per il futuro. Ma è proprio qui che bisogna mettere in pratica il principio divino: Stimando gli altri più di se stesso (Filippesi 2:3). Quando il discepolo impara a mettere in pratica il principio divino, questo equivale a permette a Dio di usare il poco per il bene degli altri.

8. L’ORDINE DI GESÙ


Allora egli ordinò loro di farli accomodare tutti, per gruppi, sull’erba verde. Così essi si sedettero in gruppi di cento e di cinquanta (vv. 39,40).

La menzione dell’«erba verde», ci aiuta meglio a capire che il termine «deserto» non deve essere inteso come un luogo arido, privo di qualsiasi forma di vita, ma come un posto che non è un centro abitato. Se non ci fosse la specificazione che l’erba era verde, si potrebbe pensare all’erba secca, e ciò comporterebbe lo spostamento dalla primavera all’estate.

Il fatto poi che la folla si sedette sell’erba verde in gruppi di cento e di cinquanta anche se non appare chiaro che sia stato Gesù a ordinare questa disposizione, ciò avrebbe certamente facilitato il lavoro di distribuzione che sarebbe seguito nel giro di poco tempo, senza ammettervi quel simbolismo, che vedeva Ambrogio.

«C’è differenza tra i racconti non soltanto circa il tipo e il numero dei pani, ma anche sul posto e sul modo in cui siedono le persone. Quelli sono seduti sull’erba, questi per terra: i cinquemila sull’erba, i quattromila per terra. Appoggiarsi per terra è più che giacere sull’erba: quelli infatti i cui sensi sono ancora carnali amano le mollezze e per questo si siedono sull’erba infatti “ogni carne è come erba” (Isaia 40:6); quanto agli altri, è sulla terra, produttrice del grano, del vino e dell’olio, che ottengono l’alimento della grazia. I primi sono seduti, gli altri distesi infatti è maggiore il riposo di chi sta disteso. Là ci sono due pesci, qui non ne è specificato il numero» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 328].

Dopo di avere
prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; quindi spezzò i pani... (v. 41),

Marco precisa che anche i pesci vennero divisi fra tutti e che, i discepoli raccolsero anche i resti dei pesci (v. 43). Questi particolari servono essenzialmente a mettere in evidenza l’azione miracolosa di Gesù. I resti di pane e di pesce, dopo che quei di cinquemila uomini, mangiarono tutti a sazietà, sono segni inconfondibili di testimonianza della potenza e della grandezza di Gesù.

Se al termine del capitolo 2 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura


Capitolo 3




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL RESOCONTO DI LUCA




1. IL TESTO

Quando gli apostoli ritornarono, raccontarono a Gesù le cose che avevano fatto. Allora egli li prese con sé e si ritirò in disparte in un luogo deserto di una città, detta Betsaida. Ma quando le folle lo vennero a sapere, lo seguirono; ed egli le accolse e parlava loro del regno di Dio, e guariva chi aveva bisogno di guarigione. Or il giorno cominciava a declinare; e i dodici, accostatisi, gli dissero: congeda la folla, perché se ne vada per i villaggi e per le campagne d’intorno a trovare alloggio e nutrimento, perché qui siamo in un luogo deserto. Ma egli disse loro: date voi a loro da mangiare. Essi risposero: noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci, eccetto che andiamo noi stessi a comprare dei viveri per tutta questa gente. Erano, infatti, circa cinquemila uomini. Ma egli disse ai suoi discepoli: fateli accomodare a gruppi di cinquanta. Essi fecero così e fecero accomodare tutti. Egli allora prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero alla folla. E tutti mangiarono e furono saziati; e dei pezzi avanzati ne raccolsero dodici ceste (Luca 9:10–17).

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12/03/2012 00:30

2. Preambolo

Da quello che Luca ha scritto, sappiamo che la località nella quale Gesù si ritirò in disparte con i suoi discepoli–apostoli, fu Betsaida. Non è improbabile quello che suppone H. Schürmann, cioè «Luca pensa che Gesù sia ancora sconosciuto colà, e che possa trovarvi tranquillità» [Cfr. H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, pag. 805]. È del tutto incerto, invece quello che dice R. Pache, cioè che Gesù «si recò in un luogo solitario, ad oriente del lago, a 3 Km circa dalla riva» [Cfr. R. Pache, Nuovo Dizionario Biblico, pag. 128].

Da quello che precisa Luca: Ma quando le folle lo vennero a sapere, lo seguirono; ed egli le accolse, ci sembra che Gesù con i suoi discepoli arrivi prima della moltitudine. Il particolare che Luca menziona intorno all’accoglienza delle folle, merita di essere considerato, non solamente perché si trova solo in quest'evangelo, ma soprattutto per l’importanza che riveste nel contesto di questa particolare circostanza. La stessa cosa dicasi per i riferimenti al “regno di Dio” e a “chi aveva bisogno di guarigione”. Questi tre elementi della narrazione di Luca, vale a dire:

L’accoglienza delle folle;
parlava loro del regno di Dio;
guariva chi aveva bisogno di guarigione,

li tratteremo separatamente, per meglio capire e valutare quello che Gesù fece e disse in quel giorno]. Luca ignora la presenza dell’erba, e menziona solamente che la folla si accomodò in gruppi di cinquanta. Anche per Luca si tratta di una folla di circa cinquemila uomini.

3. GESÙ ACCOGLIE LE FOLLE

Il particolare relativo dell’accoglienza di quella gran folla, non deve essere né ignorato né sottovalutato, per il fatto che ci permette, non solo di arricchire l’insieme del racconto evangelico, ma nello stesso tempo ci permette pure di approfondire il pensiero sul valore e sull’importanza di quest'accoglienza, soprattutto a proposito di quella particolare circostanza.

Davanti a questa manifestazione di simpatia, il gesto di Gesù ci spinge a formulare la seguente domanda: come accolse Gesù la gran folla? Conoscerne la maniera, equivale a scoprire il suo stesso cuore. Non solamente dobbiamo approfondire l’esame del nostro testo per conoscere il pensiero di Gesù, ma dobbiamo soprattutto imparare ad imitarlo nel corso della nostra vita, per ciò che riguarda le relazioni che intercorrono tra noi e gli altri, nell'andamento dell'esistenza di ogni giorno. Gesù deve essere il nostro modello, lo specchio ove rispecchiarsi e da cui trarre in atti pratici la nostra conoscenza di lui.

Senza nessuna parzialità

L’imparzialità, elemento che abbiamo messo al primo punto, è tanto importante da meritare un approfondito esame. L’imparzialità non fa nessuna distinzione, non discrimina gli uomini, catalogandoli per ceti e posizioni sociali, ma tratta tutti alla stessa stregua, senza nessun riguardo personale.

Luca precisa, come fanno del resto tutti gli altri evangelisti che quella folla era di circa cinquemila persone. Se poi si fa riferimento a Matteo che aggiunge le donne e i bambini, non è difficile pensare (come qualcuno ha suggerito) ad un numero che oscilli tra i dodici e le tredicimila unità. Accogliere questa massa di gente senza fare nessuna differenza tra loro, non sarà stata certo una cosa comune e facile nello stesso tempo.

Dal nostro evangelista, come fanno anche Matteo, Marco e Giovanni, non sappiamo il tipo di persone che componevano quella folla. Possiamo pensare (e non crediamo di trovarci tanto lontano dalla realtà) che in quella moltitudine, ci sono stati persone che rispecchiassero i diversi ceti sociali esistenti in quel tempo. Il tipo di accoglienza che Gesù riserbò loro, non è solamente meraviglioso in se, contiene anche una gran lezione, diretta a tutta l’umanità, incluse i discepoli di Gesù.

Oh! Quale gran benessere avrebbe l’umanità, se gli uomini sapessero agire nella stessa maniera come Gesù agì! La verità è che, l’umanità, attraverso tutti i secoli, non ha saputo apprezzare quello che Gesù fece ai suoi giorni. Oggi, come sempre, si hanno molti riguardi personali; molte manifestazioni di parzialità si notano in tutti i settori della vita e a tutti i livelli. Gli uomini vengono classificati secondo la loro posizione sociale, la cultura e la civiltà, cui appartiene, e non secondo un criterio di uguaglianza e d'imparzialità.

Un cristiano che presuppone di conoscere Cristo e di seguirlo, non può rimanere indifferente e freddo nel constatare la mancanza d’imparzialità in mezzo all’umanità. È molto più doloroso e tragico se quest'imparzialità viene meno nella vita dei cristiani, dei figli di Dio, e si nota lo stesso atteggiamento di parzialità, che si riscontra purtroppo nell'esistenza di chi vive nell’egoismo, lontani da Dio e del vangelo di Gesù Cristo.

A questo punto, non si può fare a meno di ricordare la calorosa esortazione di Giacomo:

Fratelli miei, non associate favoritismi personali alla fede del nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria (Giacomo 2:1).

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13/03/2012 00:16

Giacomo conosceva molto bene il problema della parzialità esistente in mezzo agli uomini del suo tempo, e, pensando che una simile attitudine si sarebbe potuta infiltrare tra la fratellanza, con la conseguenza di inquinare la serenità dei cristiani e di turbare la relazione della comunione fraterna, esortò la comunità a non avere la fede della gloria di Gesù Cristo, con riguardi alle qualità delle persone.

Dalle parole che questo apostolo scrisse, risulta evidente che egli è contro i favoritismi, le discriminazioni e le differenziazioni d’ogni genere. Per Giacomo, che considerava la serietà della vita cristiana, principalmente sotto l’aspetto pratico, era cosa seria e preoccupante nello stesso tempo che, l’attitudine della parzialità venisse a manifestarsi nell’ambito della fratellanza, con la conseguenza di offuscare e incrinare la stessa essenza della vita cristiana.

Notate che la fede della gloria di Gesù Cristo, si può avere con riguardi alle qualità delle persone; ma quando ciò si verifica, quella fede, così chiamata, è stata svuotata e snaturata nella sua essenza. La vera fede della gloria di Gesù Cristo, non solo non dà posto alla parzialità nelle sue svariate manifestazioni, ma la condanna come manifestazione e frutto della carne, che si oppone al piano e alla volontà di Dio.

Giacomo non è l’uomo che resta sul piano ipotetico quando esorta la fratellanza a non essere parziali, la spiega e la corrobora nello stesso tempo con un esempio pratico. Quest'apostolo non è l’uomo delle grandi affermazioni teologiche, viste dal punto di vista intellettuale e scolastico; egli è l’essere umano, che pure affermando la verità da un punto di vista teologico, scende sul terreno della vita pratica, per far comprendere meglio il vero che vuole insegnare.

Se nella vostra assemblea (o nelle vostre riunioni di culto), infatti, entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, ed entra anche un povero con un vestito sporco, e voi avete un particolare riguardo a colui che porta la veste splendida e gli dite: Tu siediti qui in un bel posto, e al povero dite, Tu stattene là in piedi, oppure, Siediti qui vicino al mio sgabello, nonavete fatto una discriminazione fra voi stessi, divenendo così giudici dai ragionamenti malvagi? (Giacomo 2:2–4).

Ovviamente qui, l’apostolo Giacomo, non vuole assolutamente incoraggiare l’indecenza e la sporcizia; egli non vuole insegnare che se si va in un luogo di culto con vestimenti sozzi, sia una cosa da non pensarci. Se potessimo interrogare Giacomo e chiedergli un consiglio come presentarsi nell’assemblea, inteso come luogo dove si celebra il culto, sicuramente egli ci risponderebbe: con abito ordinato e pulito.

L’argomentazione che Giacomo fa, non verte tanto sulla parte visibile dell’uomo anello d’oro e vestimento splendido, quanto sull’attitudine che questi prende davanti agli elementi esterni dell’abbigliamento. Tante volte, per non dire sempre, l’uomo fa riferimento agli elementi esterni per giustificare la sua attitudine di parzialità. Non c’è nessuna giustificazione che possa convalidare la parzialità, o può farla apparire sotto un’altra veste.

L’imparzialità non discrimina gli uomini, non ha riguardi personali, non ha due pesi e due misure; li valuta nella stessa maniera, senza badare agli elementi esterni; li tratta alla stessa stregua e li valuta sullo stesso piano. Con questo ragionamento non vogliamo affatto negare l’esistenza del ricco e del povero, di chi indossa un abito lussuoso e di chi veste un vestito sozzo e a brandelli. L’uomo non deve essere trattato e valutato a proposito della sua eleganza; deve essere valutato con riferimento al fatto che egli è un essere che è stato creato all’immagine di Dio, e come tale si distingue dalle bestie e non da un altro uomo.

Se un cristiano (usiamo questo termine perché non possiamo ignorare l’esistenza della parzialità che esiste nell’ambito della cristianità) sapesse tener sempre presente quanto summenzionato, si potrebbero evitare i trattamenti e le accoglienze di stampo paternalistico, così da risparmiare tutte quelle manifestazioni che feriscono la vita di quelle persone che non possono apparire come gli altri, dal punto di vista dell’abbigliamento e dell’ornamento.

Ritornando a Giacomo, notiamo che egli è molto severo sull’argomento della parzialità. Addirittura per lui, discriminare gli uomini, a proposito di quello che si vede anello d’oro e abito splendido, equivale ad essere giudici dai ragionamenti malvagi. La parzialità non è qualcosa da lasciare correre; deve essere arginata con estrema energia e prontezza, prima che sconvolga e guasti tutto.

Impariamo ad accogliere l’uomo, sia nell’ambito della fratellanza che fuori di lei, ...come anche Cristo ci ha accolto per la gloria di Dio (Romani 15: 7). Seguiamo l’esempio e l’insegnamento di nostro Signore, Gesù Cristo, nella vita di tutti i giorni in modo che il Suo nome sia glorificato e magnificato, non solamente in noi, ma anche in altri, attraverso noi.

Con umiltà


La gran folla venne accolta da Gesù con spirito di umiltà. Non troviamo nessun segno che possa farci pensare che in quella circostanza Cristo abbia assunto un atteggiamento austero e superbo.


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14/03/2012 00:31

La superbia è un male non meno nocivo della parzialità, che deve essere bandita con prontezza e senza indugi. L’umiltà e la superbia, sono due attitudini che non hanno niente in comune. Se la prima favorisce la grazia, la seconda la respinge e la disprezza. Gesù disse di se stesso:

Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime (Matteo 11:29).
...Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili (Giacomo 4:6);

lo sguardo dell’Eterno si posa sull’umile (Isaia 66:2); l’umiltà precede la gloria (Proverbi 15:33); l’Eterno sostiene gli umili (Salmo 147:6).

Tanti altri testi si potrebbero elencare per mettere in risalto l’importanza che le Sacre Scritture attribuiscono all’umiltà. L’umiltà non è solamente qualcosa che riguarda la relazione dell’uomo con Dio, investe anche e con una certa rilevanza, la sfera della società con la quale si vive. L’umiltà di Gesù verso quella gran folla, venne manifestata dalla premura e dalla sollecitudine che egli ebbe nel dare aiuto a quelle persone.

Indubbiamente, anche la sua gentilezza e la sua cortesia, parlavano della sua umiltà. Gesù non assunse l’atteggiamento di “uomo grande di questa terra”; Egli, pur sapendo di essere il Signore dei signori e il Re dei re, non disprezzò quelle persone, anzi li accolse con molto calore, come se si trattasse di membri della stessa famiglia.

L’umiltà inoltre, viene maggiormente messa in risalto, dalle seguenti parole:
...e parlava loro del regno di Dio. Questo parlare, ha il significato di uno che entra in un rapporto amichevole e di dialogo con l’altro; di uno insomma che vuole comunicare e vuole esprimersi in una forma familiare. Anche se l’argomento verteva sul regno di Dio, verità fondamentale che spesso Gesù insegnò durante il tempo del suo ministero, lo fece in una maniera diversa, per far capire a quelle persone che Egli, l’inviato del Padre, si avvicinava a loro in modo comune, e non nella veste di uno che voleva mantenere una distanza col suo interlocutore.

Con profondo amore


Indubbiamente, non fu la circostanza particolare che obbligò nostro Signore ad agire nella maniera com'Egli agì (anche se non si può negare), fu piuttosto il suo amore che lo costrinse a venire incontro al bisogno di quella folla. L’elemento più importante di tutto il racconto della moltiplicazione dei pani, è sicuramente l’amore.

L’amore, infatti, supera tutte le difficoltà (ivi compresa l’esortazione dei discepoli di Gesù a licenziare quella follL’amore, non guarda senza speranza le circostanze avverse; non si ferma dinanzi ad un ostacolo, come per dire: qui non posso far niente; non si rassegna, ma va in fondo fino a che il suo desiderio venga adempiuto. Notate che l’amore che spinse Gesù ad “accogliere” la gran folla, non fu né umano né scolorito, cioè privo di calore e di affetto, ma divino, con segni chiarissimi di premura e d'interessamento.

Se dovessimo dare una definizione dell’amore, lo definiremmo in questo modo: «L’amore è un donare di se stesso per il bene degli altri». Anche la Sacra Scrittura parla in questo senso, quando ricorda l’amore di Dio verso l’umanità.

Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3:16).

Purtroppo, tante volte nella vita dell’uomo, si manifesta un tipo di amore di sole parole:

Figlioletti miei, non amiamo a parole né con la lingua, ma a fatti e in verità (1 Giovanni 3:18).

È l’opera tangibile e visibile, che prova l’esistenza del vero amore. Per non essere frainteso, Giovanni, precisa:

Ora, se uno ha dei beni di questo mondo e vede proprio fratello che è nel bisogno e gli chiude le sue viscere, come dimora in lui l’amore di Dio? (1 Giovanni 3:17).

È in virtù dell’amore che abbiamo e che pratichiamo, che tutti conosceranno che seguiamo Gesù (Giovanni 13:35). A questo punto aggiungiamo: L’amore di Dio che è stato sparso nei nostri cuori per mezzo dello spirito Santo (Romani 5:5), non è destinato a manifestarsi solamente nell’ambito della fratellanza. Sarebbe troppo poco, per non dire nullo se non valicasse i suoi confini.

Una persona che veramente ama, secondo la volontà di Dio e col suo amore, non limiterà la manifestazione dell’amore solamente a quelli che l’accolgono con deferenza e rispetto, con simpatia e amicizia; andrà più avanti, verso colui che è ostile, che nutre malumore e disprezzo; verso colui che non guarda di buon occhio, fosse anche un acerrimo nemico (cfr. Matteo 5:43,46; 19:19; Luca 6:27,32,35; Romani 13:9; Galati 5:14; Giacomo 2:8).

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15/03/2012 00:32

Impariamo dal nostro Gesù Maestro ad agire come Lui agì, nel manifestare la nostra imparzialità con i fratelli e con tutti quelli che sono al di fuori di loro; ad essere umili con tutti e soprattutto ad amare, di quell’amore palpitante ed affettuoso, non con sole parole, ma con i fatti e in verità.

4. PARLAVA LORO DEL REGNO DI DIO


A differenza di Marco che afferma che Gesù prese ad insegnare loro molte cose, rimanendo così nel vago e nel generico, Luca, preferisce specificare che si trattava del “regno di Dio”. Il tema del regno di Dio, non è per Gesù un argomento occasionale e marginale, è il soggetto principale su cui si basano i suoi insegnamenti e la sua predicazione, fin dall’inizio del suo pubblico ministero. Questo tema ricorre spesse volte nella bocca di Gesù; e, a dire il vero, tutto quello che fece, nel sanare le varie infermità, nel parlare in parabole e nel liberare i posseduti dai demoni, mirava essenzialmente a proclamare il regno di Dio.

Talmente era primario il tema del regno di Dio che Gesù trattò durante tutto l’arco della sua missione in mezzo agli uomini, non solo da costituirne un pilastro portante del suo mandato, ma rappresentava essenzialmente il punto focale sul quale attirava l’attenzione di quanti lo ascoltavano e nello stesso tempo faceva comprender loro, che cosa era veramente il regno di Dio.

L’importanza che Luca dà al regno di Dio, parlandone frequentemente, in se stesso è un elemento significativo. Basta ricordare che delle 62 volte che viene nominato nel N.T. (ci riferiamo alla sola frase “regno di Dio”), 32 volte viene ripetuta nel suo evangelo. Questo dato statistico, non ha bisogno di un particolare commento, si commenta da solo. Per valutare tutta la portata che ha il “regno di Dio”, nel ministero di Gesù, e il suo significato e la sua importanza, si dovrebbero passare in rassegna tutti i testi, del N.T. principalmente, quelli che trattano questo tema.

Ovviamente, una simile trattazione, oltre a richiedere molto spazio, eluderebbe da questo lavoro, anche se nella parte della narrazione evangelica che Luca fa a proposito della prima moltiplicazione dei pani, parli specificatamente del regno di Dio. Quello che qui vogliamo dire, con poche parole, è questo: anche se Luca afferma che Gesù trattò il tema del regno di Dio, con quella folla in quel giorno, Egli non lo fece sotto forma di un rigido “insegnamento”, ma “parlava loro”. Questo principalmente per far capire che Gesù, volle assumere un atteggiamento piuttosto amichevole, anziché mantenere una certa distanza con quelle persone.

5. GESÙ GUARÌÌ QUELLI CHE AVEVANO BISOGNO DI ESSERE GUARITI

Avendo considerato il particolare dell’"accoglienza" che Gesù fece alla folla, ora ci accingiamo a considerare l’altro che riguarda: E guariva chi aveva bisogno di guarigione. Anche se Matteo fa riferimento agli infermi che Gesù guarì tra la folla, la precisazione che fa Luca chi aveva bisogno, non è certamente casuale e priva di significato.

Da Marco abbiamo appreso che Gesù insegnò molte cose. Nel capitolo II di questo libro, a proposito dell’insegnamento, abbiamo scritto che: “L’istruzione prepara la mente per conoscere, il cuore per ricevere e la vita per esperimentare”. Con l’esame della guarigione, secondo il resoconto di Luca, entriamo nel campo dell’esperienza, per ciò che riguarda il corpo, dato che è certissimo che Gesù in quel giorno guarì malattie fisiche.

Un atto spontaneo

La prima constatazione che va subito fatta, è a proposito del fatto che, dal racconto evangelico, non risulti un minimo accenno che qualcuno della folla o del gruppo dei discepoli di Gesù, ha fatto specifica richiesta di guarire gli infermi. Quando si pensa a quello che si legge nella Bibbia:

Chiedete e vi sarà dato (Matteo 7:7); tutte le cose che domandate pregando, credete di riceverle e le otterrete (Marco 11:24); le vostre richiesta siano rese note a Dio mediante la preghiera (Filippesi 4:6), ecc.

Non è sbagliato concludere che sia necessario avanzare la richiesta ai fini di ottenere una cosa. Qui, naturalmente, ci troviamo davanti ad un caso particolare, che senza che ci fosse stata una richiesta specifica da parte di qualcuno, Gesù fece guarigioni.

Tenendo presente quello che disse Marco, Gesù nel vedere quella folla, li vide come pecore senza pastore e in conseguenza del suo vedere, li istruì intorno a molte cose e parlò loro del regno di Dio. Indubbiamente, questo particolare vedere di Gesù, mirava a mettere in evidenza il bisogno spirituale di quelle persone, ma nello stesso tempo non ignorava quello fisico. Il fatto che Gesù guarisca gli infermi, è una prova che Egli vide in quella stessa folla i mali corporali che affliggeva quei corpi ammalati.

Quindi, la sua stessa compassione che lo spinse ad interessarsi per la parte spirituale, ora si interessa per quello corporale. È quindi, un atto spontaneo che Gesù compie in favore di quelle persone ammalate.

I miracoli di guarigioni, a proposito del ministero di Gesù

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16/03/2012 00:12

Ci preme affermare che le guarigioni che Gesù operò mentre era sulla terra, oltre a manifestare il suo potere divino, facevano parte integrale del suo ministero, inteso come missione svolta a favore dell’uomo. È un errore non trascurabile il voler collocare la guarigione divina fuori del ministero, come se questa manifestazione rappresentasse un atto isolato o una dimostrazione concreta tendente ad abbellire un’attività ministeriale per attirare l’attenzione degli spettatori. Le Scritture profetiche infatti, non parlano solamente del fatto che il Messia avrebbe portato su di sé i peccati dell’umanità, ma dicevano anche che Egli avrebbe portato le nostre malattie e si sarebbe caricato dei nostri dolori e per le sue lividure, noi saremmo stati guariti (Isaia 53:4,5).

Oggi, si parla sovente intorno alla guarigione divina, non tanto per metterla in risalto quanto per discreditarla e per renderla quasi inutile ai fini del ministero cristiano. Ci sono poi quelli che pur riconoscendo la storicità delle guarigioni fatte da Gesù e dagli immediati suoi apostoli, non credono che queste manifestazioni divine, avranno a perpetuarsi nella vita della Chiesa. Il loro ragionamento è questo:

«Le guarigioni ai tempi di Gesù e degli apostoli erano necessari ai fini di propagare l’Evangelo; ma dopo che questo venne fatto da Gesù per primo e dai discepoli di Cristo dopo, non si vede il motivo perché si debbano ripetersi ai nostri giorni. Dio concesse il potere miracoloso ai tempi degli apostoli, e solamente per quel periodo e non per estenderlo oltre quei confini. Infatti, con la morte degli apostoli, oltre a terminare il potere miracoloso, Dio non concede più la fede per operare le guarigioni».

Un simile ragionamento è abbastanza eloquente non tanto per convincere le menti poco illuminate quanto per rivelare la scarsezza della conoscenza dell’opera di Cristo. L’opera di Cristo non abbraccia il solo periodo degli apostoli, ma va fino alla sua seconda venuta, vale a dire copre tutto l’arco del tempo della Chiesa militante. Se il potere miracoloso delle guarigioni, riguardasse solamente il periodo in cui Gesù rimase sulla terra e degli apostoli i suoi immediati continuatori, non si vede perché Gesù parlò di:

Questi segni accompagneranno chi avrà creduto... metteranno le mani sopra degli infermi, ed essi staranno bene (Marco 16:18).

Se si dovesse sostenere che quella promessa riguardava solamente la vita degli apostoli e non voleva assolutamente includere l'esistenza della Chiesa nella sua totalità, dai discepoli di Cristo, si dovrebbero considerare i seguenti motivi:

1) L’ordine di andare per tutto il mondo e predicare l’evangelo ad ogni creatura, non sarebbe stato eseguito alla lettera nella sua totalità, perché i soli dodici apostoli, umanamente parlando, non sarebbero stati in condizioni di adempire il comando di Gesù, quindi, sarebbe stato impossibile portarlo a compimento. Dio non ordina cose impossibili nella loro realizzazione, senza che gli stessi cadano nell’invalidità e nella nullità. Ma, se nella Chiesa, intesa come totalità del popolo di Dio, gli ordini divini possono essere eseguiti alla lettera e la missione portata a compimento, è perché non sono soltanto dodici individui a muoversi, ma l’intero corpo dei credenti.

2) L’ordine non prevedeva solamente di percorrere le distanze da un punto all’altro del mondo, diceva anche che questa predicazione sarebbe dovuta essere fatta ad ogni creatura. Come avrebbero potuto fare i soli dodici apostoli a predicare l’evangelo ad ogni creatura, specie se si considera che in quei tempi non esistevano i mezzi di propagazione, radio, televisione, stampa, trasporto, ecc.?

3) Se poi si esamina la forma grammaticale del verso 18 del capitolo 16 di Marco, apparirà molto chiaramente che Gesù nel dare il suo mandato, non si riferiva affatto ai soli apostoli, bensì abbracciava tutta la Chiesa di tutti i tempi. Or questi segni accompagneranno chi avrà creduto. Si noti bene che il “mettere le mani sopra degli infermi”, non fosse un’esclusiva degli apostoli, ma di tutti, chi avrà creduto.

Il credere degli apostoli, paragonato a quello di tutti gli altri, non è un credere particolare e privilegiato, è lo stesso, nella sua natura e nella sua portata, dal momento che la Bibbia dichiara categoricamente che c’è una sola fede (Efesini 4:5). Se Dio concesse il potere miracoloso a coloro che avevano creduto in Gesù, ai tempi degli apostoli, perché dovrebbe negarlo ai nostri giorni? Se noi crediamo nella stessa maniera degli apostoli, appare evidente che il mettere le mani sopra gl’infermi ed essi staranno bene, si riferisca anche a noi e per i nostri tempi.

Se poi esaminiamo quello che l’apostolo Paolo scrisse a proposito dei doni dello Spirito, apparirà molto più chiaro che il potere miracoloso per ciò che concerne la guarigione divina, è anche valida per i nostri tempi. Infatti, Paolo scrivendo intorno ai doni dello Spirito, dice chiaramente che nel numero di questi doni, ci sono quelli delle potenti operazioni e delle guarigioni (1 Corinzi 12:28).

Dal momento che, Paolo precisa che Dio ha costituito nella Chiesa, i doni di guarigioni, si ha ragione di chiedere: Che valore avrebbe per la Chiesa, se questi doni delle potenti operazioni e delle guarigioni, fossero stati dati solamente agli apostoli e per il loro tempo? Più esaminiamo i testi che parlano del potere miracoloso delle guarigioni, più ci convinciamo che i “miracoli di guarigioni”, non furono un’esclusiva degli apostoli, ma è una manifestazione divina che si perpetua nella vita della Chiesa nel corso dei secoli. Senza nessuna incertezza e titubanza, quindi, affermiamo: Il tempo dei miracoli non è terminato.

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17/03/2012 01:00

I metodi usati da Gesù per guarire gli infermi

La storia della prima moltiplicazione dei pani, così com'è stata tramandata dai Sinottici, non dice nulla per quanto riguarda i metodi che Gesù usò, nel sanare le varie infermità. Dobbiamo necessariamente rivolgerci altrove, sempre nel N.T., per conoscere esattamente come Gesù guarì gli infermi nelle diverse circostanze. Se si parla specificatamente di “metodi”, questo equivale ad affermare che Gesù non guarì gli infermi sempre nella stessa maniera, o come si direbbe più precisamente: Gesù non adottò lo stesso metodo per tutti, come se egli avesse una “regola fissa”. Esaminando i vari testi del N.T. in cui si parla di miracoli operati da Gesù (e non quelli che fece, per i quali il N.T. tace (Giovanni 21:25), e, successivamente dagli apostoli, possiamo conoscere con certezza, la diversità di metodo che Gesù usò nel sanare gli infermi.

Per l’uomo nato cieco, Gesù usò uno strano metodo: sputò in terra, impastò la sua saliva con la polvere della terra la mise sugli occhi del cieco, e dopo che lo stesso andò a lavarsi nella Piscina di Siloe, dietro esplicito ordine di Gesù, egli riacquistò la vista (Giovanni 9).

Per la guarigione di un lebbroso, Gesù stese la sua mano, lo toccò e disse: Sì, io lo voglio, sii mondato (Matteo 8:3); mentre per guarire la febbre della suocera di Pietro, si limitò a toccargli la mano (Matteo 8:15).

Se prendiamo in esame la guarigione del servo del Centurione di Capernaum, vediamo che questa si verificò, non perché Gesù ha proferito «una parola», come aveva sollecitato il Centurione, ma perché questi, credendo che con una sola parola che Gesù avesse detto, il suo servo sarebbe stato guarito, e così avvenne (Matteo 8:5–13).

E che dire della guarigione del paralitico di Capernaum? Gesù disse: Figliuolo, i tuoi peccati ti sono perdonati (Marco 2:5), e la paralisi lasciò il suo corpo, il miracolato si caricò del lettuccio sul quale giaceva, e se ne andò a casa sua con i suoi piedi (Marco 2:9–12).

Per la guarigione della donna col flusso di sangue, Gesù si limitò a mettere in evidenza quello che si era verificato nel corpo della sofferente, a seguito della sua fede, per aver detto: Se solo tocco le sue vesti sarò guarita (Marco 5:28,29); mentre per la guarigione dell’uomo dalla mano secca, Gesù gli ordinò di stenderla, e la sua mano ritornò sana come l’altra (Matteo 12:9– 13).

Per la guarigione della ciecità di alcuni ciechi, Gesù toccò gli occhi loro (Matteo 9:29; 20:34), mentre per il sordo muto della Decapoli, ci vien detto che Gesù mise le sue dita nelle orecchie, sputò e gli toccò la lingua (Marco 7:34).

Per la guarigione del cieco di Betsaida, Gesù lo condusse fuori dal villaggio, gli sputò negli occhi, gli impose le mani, e, dopo avergli domandato se vedeva, gli impose di nuovo le mani (Marco 8:22–25); mentre per la guarigione della donna paralitica, Gesù la chiamò a sé e pose le mani su di lei (Luca 13:12,13).

Per la guarigione dell’uomo idropico, Gesù lo prese per la mano e lo guarì (Luca 14:4); mentre per la guarigione dei dieci lebbrosi, Gesù si limitò a dir loro: Andate a mostrarvi ai sacerdoti (Luca 17:14).

Per la guarigione del figlio dell’Ufficiale reale, Gesù non si recò in casa sua, ma disse: Va’, tuo figlio vive! (Giovanni 4:50); mentre per la guarigione del paralitico di Betsaida, Gesù disse: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina (Giovanni 5:8).

Le poche parole che Matteo ci fornisce, quando
fattosi sera, gli furono presentati molti indemoniati; ed egli con la parola, scacciò gli spiriti e guarì tutti i malati (Matteo 8:16),

non solo ci precisano che se ciò avvenne fu perché si doveva adempiere quello che il profeta Isaia aveva detto (v. 17, cfr. Isaia 53:4), ma anche perché Gesù, scacciò gli spiriti e guarì gli ammalati, con la parola. Anche se Matteo non precisa le malattie da cui vennero guariti in quella sera, resta sempre fermo il fatto che questi miracoli di guarigioni, Gesù li operò con «la sua parola».

Da quello che abbiamo raccolto dagli evangeli, risulta abbastanza chiaro che Gesù nel guarire gli infermi, non usò sempre lo stesso metodo. In una circostanza impose le mani, in un’altra, toccò la parte ammalata; a volte parlava, sputava e ordinava. Questa diversità di metodi che Gesù usò, c'insegna che la guarigione divina non è imprigionata o regolata da criteri fissi.

Tutti gli elementi esterni, come: sputare, toccare, parlare, sgridare, comandare, sono validi quando sono mossi e guidati dallo Spirito Santo.

Se poi consideriamo le guarigioni operate dagli apostoli, secondo quello che ci dice il N.T., notiamo che anche loro, seguirono la stessa pista che aveva seguito Gesù, poiché anch’essi si mossero, non entro metodi fissi, ma secondo che lo Spirito di Dio li guidava.

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18/03/2012 00:01

Allo zoppo, che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del Tempio, Pietro disse:

Io non ho né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati a cammina! (Atti 3:6).

Al paralitico di Lidda, Pietro, disse: Enea, Gesù, il Cristo, ti guarisce; alzati e rifatti il letto (Atti 9:34).

Per quanto riguarda la risurrezione di Tabitha, il Sacro testo dice:
Pietro allora, fatti uscire tutti, si pose in ginocchio e pregò. Poi rivoltosi al corpo, disse: Tabitha, alzati! Ed ella aprì gli occhi, e, visto Pietro, si mise a sedere (Atti 9:40).

All’uomo di Listra impotente dei piedi, Paolo, disse: Alzati in piedi (Atti 14:10); mentre per la guarigione del padre di Publio a Malta, la Scrittura dice: Paolo andò a trovarlo e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì (Atti 28:8). Come vi vede, anche gli apostoli, non usarono metodi fissi, nelle varie guarigioni che fecero nel corso del loro ministero. Più tardi Giacomo scriverà:

Qualcuno di voi è infermo? Chiami gli anziani della chiesa, ed essi preghino su di lui, ungendolo di olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo risanerà; e se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati (Giacomo 5:14,15).

5 bIsaia «E GUARIVA QUELLI CHE AVEVANO BISOGNO DI GUARIGIONE»


Dopo di aver parlato delle guarigioni a proposito del ministero e ai metodi che Gesù usò nel guarire gli infermi, ritorniamo al nostro testo, per considerare quanto segue:

Abbiamo detto in precedenza che tra i quattro evangelisti che parlano dello stesso evento (la prima moltiplicazione dei pani), Marco non fa nessun cenno al fatto delle guarigioni. Non sappiamo perché quest'evangelista sorvoli questo particolare della manifestazione divina. Il silenzio di Marco, non deve essere però considerato com'elemento determinante per negare la realtà delle guarigioni. Su questo particolare, non si può costruire la teoria secondo la quale, se non si parla di una determinata cosa, è prova che quella idea non è mai esistita. Ci sono particolari omissioni nelle Scritture, che probabilmente in questa terra non saremo mai capaci di capire e spiegare; solo l’eternità saprà dirci come sono andate le cose.

Scontato il fatto che Gesù fece realmente le guarigioni, in occasione dell’evento della prima moltiplicazione dei pani, passiamo ad esaminarli, per cercare di capire quello che Dio vuole che noi comprendiamo.

Abbiamo affermato in precedenza che Gesù nel guarire gli infermi, compì un atto spontaneo, vale a dire non ebbe bisogno che qualcuno fece presente quale era la reale necessità di quelle persone. Fu Lui, il divino compassionevole, che vide il bisogno che c’era. È sempre Dio che vede per il primo il bisogno dell’uomo; qualunque esso sia, corporale o spirituale.

Questa considerazione dovrebbe indurci a confortarci e nello stesso tempo ispirarci fiducia in Dio, nel senso più completo che questo termine, per tutti i nostri bisogni. Se Egli sa ogni cosa, dirà qualcuno, come mai che tante volte non risponde subito ai vari bisogni dell’uomo e dei suoi figli in particolar modo? Questa domanda non dovrebbe essere usata per combattere la veracità della Parola di Dio. Non dovrebbe neanche essere sfruttata come “prova” che se Dio non dà subito quello che gli viene domandato, è segno che non si interessa del caso. Non dobbiamo mai dimenticare il detto della Scrittura:

Poiché la visione è per un tempo già fissato, ma alla fine parlerà e non mentirà; se tarda, aspettala, perché certamente verrà e non tarderà (Habacuc 2:3).

Anche se questo verso di Habacuc, si riferisce specificatamente alla visione, lo stesso Dio, è chi potrebbe ritardare nel dare una risposta ad un particolare bisogno. Quando parliamo del “ritardo di Dio”, non sempre riusciamo a comprenderlo. Sovente, collochiamo l’attesa, a proposito dei nostri bisogni e non teniamo conto del piano e della volontà divina. Che cosa intendiamo dire con ciò? Semplicemente questo: per ogni cosa, Dio ha un preciso piano ed una precisa volontà da esprimere. Se Gesù ritardò nell’andare nella casa di Marta e di Maria, per guarire Lazzaro, non lo fece perché il caso non lo interessava; se Egli permise che Lazzaro morisse, lo fece affinché la sua potenza si manifestasse in misura più abbondante.

Se Gesù fosse andato subito nella casa di Lazzaro, come avrebbero voluto le due sorelle, Marta e Maria, si sarebbe visto la manifestazione della potenza di Dio, in relazione ad una guarigione; mentre il suo ritardo (non sempre apprezzato e valutato dagli stessi suoi discepoli), fu motivo di far vedere una differente manifestazione miracolosa: la sua potenza sulla morte.

Se il Signore si comporta così nelle Sue azioni, non è certamente perché non tenga conto della sofferenza in cui si trova l’uomo, o che goda nel vederlo soffrire. Niente di tutto questo! Egli agisce così, per un preciso scopo del piano della Sua Volontà, in modo che tutto alla fine risulti per la maggior gloria del Suo nome. Questo pensiero dovrebbe spingerci ad una maggiore resa nelle mani del Signore e ad una maggiore certezza che tutto è sotto il controllo di Dio e che alla fine, ...tutte le cose cooperano al bene per chi ama Dio... (Romani 8: 28).

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19/03/2012 00:51

E guariva quelli che avevano bisogno di guarigione. Questa frase ci fa vedere Gesù in azione. La gran compassione divina, si mette in moto, e va incontro al bisognoso. Non ci viene specificato che tipi d'infermità guarì Gesù. Le varie infermità, in parte gravi, non hanno nessun'importanza per l’onnipotenza di Dio.

Per Lui non esistono problemi insolubili o malattie inguaribili. Egli tutto può e tutto è possibile anche a chi crede (Marco 9:23). Se Dio è potente da far ritornare alla vita un morto e raccogliere le ossa secche disperse di una nazione (Ezechiele 37), perché mai non potrebbe guarire una malattia inguaribile, dal punto di vista della scienza medica? Tante volte si rimane scettici davanti al racconto di una guarigione e si chiede: “Hai tu visto questo miracolo?”

Se non si è disposti a credere a quello che la Bibbia dice intorno alle guarigioni divine, non si crederà neanche a colui che dirà: “Questo miracolo l’ho visto coi miei occhi”. Lo scopo della guarigione divina non è quello di mettere in mostra l’uomo (anche se questi viene spesse volte usato quale strumento nelle mani di Dio), ma unicamente Dio che glorifica così il nome del suo Figlio Gesù (Atti 3:12,13). Pertanto, colui che viene usato dal Signore in questo particolare settore del ministero, deve ricordarsi che quando avviene un miracolo,

non (è) per potenza né per forza (umana)... , ma per il mio Spirito, dice dell’Eterno degli eserciti (Zaccaria 4:6),

e che l’uomo (lo strumento) non deve gloriarsi, poiché la gloria spetta di diritto, solamente a Dio, l’operatore dei miracoli.

6. L’INTERVENTO DEI DODICI PER QUELLA SITUAZIONE PARTICOLARE


Or il giorno cominciava a declinare; e i dodici, accostatisi, gli dissero: congeda la folla, perché se ne vada per i villaggi e per le campagne d’intorno a trovare alloggio e nutrimento, perché qui siamo in un luogo deserto.

A giudicare dalle parole che i dodici rivolsero a Gesù, sicuramente nei loro volti si poteva leggere facilmente l’inquietudine e la preoccupazione, per il reale bisogno di quella folla, e, nello stesso tempo capiscono che si trovavano in un «luogo deserto», in cui non ci sono, vitto e alloggi. Trattenere ancora quella gente mentre il giorno sta per declinare, non è certamente una delle scelte migliori che Gesù può fare, così pensano i dodici.

Considerando la preoccupazione degli apostoli, giustificabile solo da un punto di vista umano, non si può ignorare che questo loro intervento, ha lo scopo di far vedere a Gesù la reale situazione di quel momento, come se Egli non sappia che quel luogo «era deserto», il giorno sta per declinare, non c’è cibo ed alloggio per quella folla. La seria preoccupazione dei dodici, era anche soprattutto costituita dal fatto, che non vedevano uno sbocco dignitoso a quella situazione, e, in conseguenza, la loro fede stava venendo meno.

Gesù è molto sensibile a questa nuova situazione; e, considerando l’inesperienza dei dodici, non pronuncia contro di loro nessuna parola di rimprovero, perché sa molto bene, che non è solamente la gran folla che ha bisogno di lui (sebbene il loro sia di carattere materiale), ma anche i suoi discepoli, sotto un altro aspetto.

Il voler far credere che «qui il punto centrale cui mira il racconto sia il banchetto miracoloso nei suoi aspetti insoliti ed allusivi, e che questa narrazione abbia anche il «carattere di parabola » [Cfr. H. Schürmann, Il Vangelo di Luca, I, pag. 808]: ciò non è ammissibile! Com’è possibile che cinquemila uomini, con donne e bambini, trovino alloggio e più tardi, venuta la sera, vitto, nei villaggi e dintorni?» Se si dovesse accettare una simile interpretazione e riconoscere il “carattere di parabola” nel racconto evangelico, la prima moltiplicazione dei pani perderebbe la sua storicità, e tutta la manifestazione miracolosa ne sarebbe seriamente danneggiata [Cfr. R. Pech, Il vangelo di Marco, I, pag. 542, specialmente nota 1, dove vengono riportati le parole di K. Kertelge. «Entrambi i resoconti non hanno raggiunto la forma conclusa di una tipica ‘storia di miracoli’. Comunque, essi non presentano alcun interesse per l’avvenimento miracoloso in quanto tale, né accennano affatto allo stupore della folla»].

7. LA RISPOSTA DI GESÙ E LA SUA CONSEGUENZA

Alla proposta dei dodici di congedare la folla, Gesù rispose: “Date voi a loro da mangiare”. Luca evita le parole di Matteo: Non è necessario che se ne vadano, e nel dare il comando, Gesù, cerca di far comprendere ai suoi, non solo che bisogna dare da mangiare a quella folla, ma che la loro proposta di congedare la moltitudine, anche se è motivata dal fatto che sono in un deserto, è priva di senso di responsabilità.

Essere un discepolo di Gesù, non è soltanto questione di privilegio, comporta anche una precisa responsabilità; consapevolezza che c'impegna non solo sul piano personale, ma soprattutto per quanto riguarda gli altri. Trovarsi sempre disponibili per gli altri, è veramente altruismo e riflette incontestabilmente il principio divino: Stimando gli altri più di se stesso (Filippesi 2:3). Quando si tiene presente la nostra responsabilità, non si cercherà mai di evaderla, adducendo motivi plausibili solamente dal punto di vista umano.

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20/03/2012 00:05

La somiglianza che c’è tra il comando di Gesù ai suoi e le parole di Eliseo al suo servo (2 Re 4:42–44), è senza dubbio evidente. Dare però il senso di un «futuro» «in cui si terranno i banchetti del Signore, e dove i discepoli, non solo celebreranno di comunità in comunità l'«eucaristia», «spezzando il pane» [Cfr. H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, pag. 809], non ci sembra che nell’intenzione di Gesù e di Luca, vi fosse nascosta una simile verità, cioè che la moltiplicazione dei pani, avrebbe dovuto prefigurare l’eucaristia [R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, pag. 549. Anche J. Gnilka la pensa nella stessa maniera, cfr. Il vangelo di Matteo, II, pag. 21. Condividiamo in pieno quello che dice Gnilka a proposito di quello che ha scritto Van Jersel: NT 7 (1964/65) 192s,: «Matteo rappresenta qui i discepoli di Cristo come i ministri liturgici». Questa è un’interpretazione eccessiva e non giustificata].

L’ordine di Gesù: Date voi a loro da mangiare, spinse i dodici a rispondere:

Noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci, eccetto che andiamo noi stessi a comprare dei viveri per tutta questa gente.

Se i dodici risposero in quella maniera, fu perché probabilmente non si aspettavano un simile comando, e neanche era prevedibile, dal punto di vista della logica umana, pensando soprattutto alle loro reali possibilità economiche. Però, nel dare la risposta, dissero a Cristo quello che egli non aveva detto. Per i dodici era inconcepibile dare da mangiare a cinquemila uomini (Luca omette la presenza delle donne e dei bambini), con soli cinque pani e due pesci, senza dover pensare di andare a comprare dei viveri.

Indubbiamente i dodici, di fronte al preciso comando di Gesù, capiscono che si trovano davanti ad una folla di cinquemila uomini, col preciso ordine di dare loro da mangiare da una parte, e dall’altra, pensando alla loro piccolissima scorta di cinque pani e due pesci, non sapendo come avrebbero potuto eseguire l’ordine del Maestro, decidono giustamente di andare essi stessi a comprare i viveri. Gesù però, non aveva detto di far questo, (ammesso che i dodici avessero avuto il denaro per fare fronte a quella spesQuando le parole del Cristo non vengono capite, si ricorre facilmente all’alternativa umana.

Anche in questo caso Gesù avrebbe potuto rimproverare i suoi di non aver capito la sua parola e di avergli dato un diverso significato. A che serve, a questo punto, rimproverare e spiegare in quale maniera doveva essere compresa la Sua parola? Quello che serviva in quel momento non era tanto intavolare una discussione chiarificatrice con i discepoli, quanto di dare uno sbocco alla situazione, e nello stesso tempo infondere speranza nel cuore dei dodici, mettendoli in uno stato di attesa, in vista della gran manifestazione miracolosa di Gesù.

Fateli accomodare a gruppi di cinquanta. Davanti a questo secondo comando, appare ormai chiaro ai dodici, che il pensare di andare a comprare i viveri, non rientrava nella logica dell’intenzione di Gesù. Quando Gesù ordina, anche se non si capisce, è importante però ubbidire. L’ubbidienza alla parola di Dio, che è un elemento essenziale, ci porta a predisporci ad assumere un'esatta attitudine, in virtù della quale saremo condotti, immancabilmente, sul terreno della manifestazione della sua potenza.

Il Signore non compirà il miracolo sulla base della nostra comprensione della Sua parola; vuole semplicemente la nostra ubbidienza e non necessariamente che si comprenda innanzi a tempo, nei dettagli, quello che egli ci comanda. Sarà, infatti, questa nostra ubbidienza che preparerà e faciliterà la manifestazione del potere miracolo del Signore. Come si può ben vedere, anche se sarà Gesù che compirà il miracolo, nondimeno egli richiede la nostra collaborazione, intesa come disponibilità a quello che egli vorrà fare. Quando l’uomo, si mette a disposizione del Signore, prepara e facilita l’intervento del potere di Dio.

Solo quando il comando di Gesù venne eseguito, cioè che la folla venne fatta accomodare per gruppi di cinquanta,

Egli allora prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero alla folla.

Che i cinque pani e i due pesci si fossero moltiplicati man mano che i discepoli li distribuirono alla folla, non è detto chiaramente; ma è in questo senso che dobbiamo comprendere la manifestazione miracolosa. Se le ceste per raccogliere i pezzi avanzati furono dodici, senza dubbio, questo numero deve essere anche messo in rapporto alla quantità degli apostoli che erano appunto dodici, non tanto per stabilire un'equazione, ceste = discepoli di Cristo, quanto per vedere dei recipienti nelle mani degli allievi, che servirono per mettere i pezzi dei pani spezzati.

Quanti pezzi ha fatto Gesù da quei cinque pani, non ci viene dato da sapere; neanche ci viene affermato che grandezza avevano le ceste, se erano state riempite o no quando cominciò la distribuzione. Dato per scontato che la moltiplicazione si verificò nelle mani dei dodici e sotto i loro occhi, la logica ci porta a pensare che quei pezzi che erano stati messi nelle ceste, mentre la folla le prendeva, si moltiplicarono. In questo modo, i pezzi di quei pani, non si esaurivano, perché il miracolo continuava a manifestarsi, fino al punto che quando tutti mangiarono a sazietà, quello che rimase e fu raccolto, riempì di nuovo le dodici ceste.

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21/03/2012 00:33

Chi crede all’azione miracolosa divina, soprattutto quando si tiene presente il fatto che Dio può fare tutto, non si ha difficoltà ad accettare la narrazione evangelica, anche se non si trova il modo per spiegarlo col proprio raziocinio. Quando si vuole comprendere e spiegare il miracolo in se stesso, con l’aiuto della ragione, si finisce spesso col rigettarlo, per il fatto che i due campi, razionale e miracoloso, sono in opposizione reciproca. È in virtù della fede soltanto che l’azione miracolosa può apparire nella sua luminosità, senza dover ricorrere necessariamente alla ragione o farla coincidere con lei. Quando viene a mancare la fede, elemento essenziale che valorizza l’azione miracolosa, tutte le spiegazioni che si riescono a dare, non sempre sono compatibili con la logica umana e non sempre si rimane soddisfatti. A questo punto, è utile ricordare il detto della Scrittura, che suona come un imperioso nomito: Beati coloro che credono senza vedere (Giovanni 20:29).

PS: Se al termine del capitolo 3 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura



Capitolo 4




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL RESOCONTO DI GIOVANNI




1. Il testo

Dopo queste cose, Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade. E una grande folla lo seguiva, perché vedevano i segni che egli faceva sugli infermi. Ma Gesù salì sul monte e là si sedette con i suoi discepoli. Or la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina. Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva da lui, disse a Filippo: «Dove compreremo del pane perché costoro possano mangiare?» Or diceva questo per metterlo alla prova, perché egli sapeva quello che stava per fare. Filippo gli rispose: «Duecento denari di pane non basterebbero per loro, perché ognuno di loro possa avere un pezzetto. Andrea, fratello di Simon Pietro, uno dei suoi discepoli, gli disse: «V’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due piccoli pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» e Gesù disse: «Fate sedere la gente!» Or c’era molta erba in quel luogo. La gente dunque si sedette ed erano in numero di circa cinquemila. Poi Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì ai discepoli, e questi alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E, dopo che furono saziati, Gesù disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati perché niente si perda». Essi dunque li raccolsero e riempirono dodici cesti con i pezzi di quei cinque pani d’orzo avanzati a chi aveva mangiato. Allora la gente, avendo visto il segno che Gesù aveva fatto, disse: «Certamente costui è il profeta, che deve venire nel mondo». Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo (Giovanni 6:1–15).

2. Preambolo

A differenza di Matteo che indica un luogo imprecisato, denominato “posto deserto”, Marco “sito solitario” e Luca, una località definita “Betsaida”, Giovanni parla che Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Gallilea, cioè di Tiberiade, e non viene fatta nessuna menzione del motivo essenziale dello spostamento di Gesù.

Secondo quello che hanno riferito i Sinottici, si trattava di dare un po’ di riposo ai suoi discepoli, visto che le persone che andavano e venivano da Gesù, erano tante da non permettere neanche il tempo di mangiare (Marco 6:31). Omettendo i diversi particolari dei Sinottici, Giovanni redige il racconto della prima moltiplicazione dei pani, con più scioltezza, senza essere troppo vincolato dal tempo (l’ora tarde dai particolari bisogni della folla, (gli infermi) per presentare, specie «il giorno seguente», Gesù come il «Figlio dell’uomo», che darà il cibo che dura in vita eterna (Giovanni 6:27).

Si discute se Giovanni conosceva la tradizione sinottica o se quello che egli dice debba essere considerato un documento a sé stante, vale a dire senza nessuna dipendenza dai Sinottici, e quindi pensare addirittura al resoconto giovanneo come il più originale. Indipendentemente del come inquadrare questo testo, secondo il parere degli esegeti, dobbiamo considerarlo per quello che egli dice, per capire come sono andate le cose in quel giorno.

3. LA FOLLA CHE SEGUE GESÙ

E una grande folla lo seguiva, perché vedevano i segni che egli faceva sugli infermi.

Il fatto che Giovanni precisi che questa folla che seguiva Gesù, era particolarmente attirata per i «segni» che Egli faceva sugli infermi, denota chiaramente, che i miracoli che Gesù compiva, avevano un effetto particolare sulla vita di questa folla. Che Giovanni chiami «segni», i miracoli di guarigione, rientra nel suo modo di concepire e definire le cose, dato che è accertato che solo lui adopera questo termine, si è portati a pensare essenzialmente al significato teologico che egli dava, ai miracoli di guarigione di Gesù. Indubbiamente, i «segni» di cui parla Giovanni, non solo hanno a che fare con i diversi miracoli di guarigione, ma indicano chiaramente una connotazione del ministero di Gesù, come inviato dal Padre.

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[Modificato da Domenico34 21/03/2012 00:35]
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22/03/2012 00:25

È vero che il «giorno seguente», Gesù, fu chiaro, preciso e severo con quella stessa folla che ha mangiato il pane, quando disse loro:

In verità, in verità vi affermo che voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati (Giovanni 6:26);

nondimeno, non si può negare l’effetto benefico che esercitava su quella folla, la manifestazione miracolosa di Gesù.

Gesù non faceva pubblicità per attirare le folle a sé; ma quello che faceva, era molto più efficace della moderna campagna pubblicitaria; e, senza che Gesù invitasse le persone a seguirlo, erano sempre molti a seguirlo.

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4. GESÙ SALE SUL MONTE


Ma Gesù salì sul monte e là si sedette con i suoi discepoli.

La particolare menzione del monte, anche se l’evangelista non specifichi di che monte si trattasse, ha indotto gli esegeti a pensare che Giovanni non gli dia un particolare significato teologico, ad eccezione del Gherizim (Giovanni 4:20), rispetto ai Sinottici.

La «salita sul monte», senza dubbio rientrava nel piano di Gesù, fin da quando si diresse sulla sponda del Tiberiade, (per fare riposare i suoi discepoli?) altrimenti l’evangelista l’avrebbe specificato, come fece Matteo quando afferma: Ed egli, vedendo le folle, salì sul monte... (Matteo 5:1) e il suo «sedersi» con i suoi discepoli, ci suggerisce l’idea di un tempo in cui Gesù si appartò con i suoi discepoli, non certamente per rimanere indifferente e inattivo. Senza dover fare sforzi d’interpretazione, non ci troviamo qui sul «monte delle beatitudini», in attesa dei precisi insegnamenti che Gesù darà ai suoi discepoli e neppure nell’aspettativa che gli infermi saranno guariti, perché di tutto questo, Giovanni non ne fa la minima menzione. Questo però, non vuol dire che Gesù volesse rimanere passivo, senza che avesse programmato qualche cosa.

Si chiede perché mai Giovanni non menzioni la salita di Gesù sul monte, fin dall’inizio del capitolo, e si cerca nello stesso tempo di capire questa sua ascesa sul monte. C’è una tendenza di vedere una certa affinità con Mosè, per quanto riguarda la sua ascesa sul Sinai. Se questa era l’intenzione dell’evangelista, non ha torto Schnackenburg, quando afferma:

«Così Gesù appare come la guida del popolo, che opera in nome di Dio e si mostra come l’inviato di Dio» [R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, pag. 549. Anche J. Gnilka la pensa nella stessa maniera, cfr. Il vangelo di Matteo, II, pag. 21. Condividiamo in pieno quello che dice Gnilka a proposito di quello che ha scritto Van Jersel: NT 7 (1964/65) 192s,: «Matteo rappresenta qui i discepoli di Cristo come i ministri liturgici». Questa è un’interpretazione eccessiva e non giustificata].

La menzione che la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina, (è solo Giovanni che lo riporta), viene fatta, per indicare la primavera, o per dare solamente un significato teologico al discorso che Gesù terrà sul pane della vita, in rapporto con la manna? (Giovanni 6: 31–35,58). A noi sembra che Giovanni voglia alludere alle due cose.

La menzione della Pasqua, per ciò che riguarda la durata del ministero di Gesù, ha una grande importanza, soprattutto a proposito di quelli che sostengono che l'ufficio di Gesù abbia durato solo un anno. Per quelli che avallano una simile ipotesi, questo riferimento è sicuramente molto scomodo, soprattutto quando si pensa all’altra Pasqua, durante la quale Gesù fu crocifisso (Giovanni 19:14) e a quella prima della moltiplicazione dei pani (Giovanni 2:13).

5. GESÙ VIDE LA GRANDE FOLLA E SI' PREPARA PER OPERARE

Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva da lui...).

A differenza di Marco che parla che Gesù vide la folla «come pecore senza pastore», Giovanni, si limita solamente al fatto che la gran moltitudine è diretta verso lui, e che Gesù vide questo, alzando gli occhi. Il fatto che Giovanni non dia nessun'indicazione di orario, come fanno i Sinottici, già ci dimostra che lo scopo per quest'egli inserisce questo racconto nel suo evangelo, non è quello di presentare Gesù che trascorre un’intera giornata con la folla, insegnando e guarendo, ma il Signore che compie il miracolo della moltiplicazione dei pani.

Gesù non può rimanere indifferente davanti a quello che si presenta ai suoi occhi; sa molto bene (e Giovanni ci tiene molto a precisarlo) che la gran folla «veniva da lui». Gesù non è solo; si trova assieme ai suoi discepoli seduti sul monte. Egli non aspetta che la folla arrivi da lui; già da lontano, prima che questa arrivi, comprende che quelle persone sono dirette a lui. È pertanto giustificata la precisazione che fa l’evangelista, per il fatto che la grande folla non è attratta da Pietro, da Filippo o da Andrea; è attratta da Gesù, perché è lui che fa i «segni sugli infermi».

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