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Domenico34 – Giacobbe... L’uomo trasformato da Dio –. Sommario, presentazione e introduzione. Capitoli 1-6

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2011 00:14
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12/12/2011 00:04

Ma per Giacobbe, che Dio gli aveva parlato a Bethel intorno alla sua discendenza, si apriva un nuovo orizzonte, con riferimento anche all’augurio che suo padre Isacco gli aveva fatto, per la futura sposa che avrebbe preso dalla famiglia di Labano, fratello di sua moglie. Tutto era in piena armonia: da una parte c’è stata la calorosa accoglienza di Labano in casa sua; poi la figlia Rachele che si trova nello stesso stabile, dall’altra parte, c’è il chiaro adempimento che Dio lo ha guidato durante il suo viaggio e lo ha fatto arrivare nel luogo giusto.

Se tutto era chiaro nella mente di Giacobbe, egli seppe aspettare un mese, durante il quale rimase in casa di Labano, senza rivelare i suoi sentimenti che già lo legavano a Rachele.

Sapere aspettare il ‘momento giusto’, senza precipitare gli eventi, è segno di credere a quello che Dio ha detto. A volte Dio ci promette di darci delle cose, e noi, per mancanza di discernimento, vorremmo abbreviare i tempi e anticipare l’adempimento delle promesse divine. Sapere aspettare in silenzio la salvezza dell’Eterno, è una cosa buona (Lam. 3.26). Questo è un principio divino per tutti i tempi e per tutti gli uomini.

Se al termine del capitolo 5 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura



Capitolo 6




PATTEGGIAMENTO PER IL MATRIMONIO DI GIACOBBE


Poi Labano disse a Giacobbe: «Perché sei mio parente dovrai servirmi per nulla? Dimmi quale deve essere il tuo salario».
Ora Labano aveva due figlie: la maggiore si chiamava Lea e la minore Rachele.
Lea aveva gli occhi languidi, ma Rachele era avvenente e di bell’aspetto.
Perciò Giacobbe amava Rachele e disse a Labano: «Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore».
Labano rispose: «È meglio che la dia a te piuttosto che darla ad un altro uomo; rimani con me».
Così Giacobbe servì sette anni per Rachele; e gli parvero pochi giorni, per l’amore che le portava
(Genesi 29:15-20).

Anche se la Bibbia non dice niente come ha trascorso Giacobbe il mese in casa dello zio, dall’offerta di rimunerazione che Labano gli fa, si può giustamente intuire che Giacobbe non è restato, con le mani in mano, cioè senza fare niente. Dalla maniera con cui Giacobbe si impegnava nel servizio di Labano, quest’ultimo avrà riconosciuto le capacità lavorative del nipote, tanto da spingerlo ad offrirgli un salario adeguato. Il fatto stesso che Labano parla con Giacobbe in termini di salario, si intuisce subito che egli non vuole approfittare dello stato bisognoso del nipote. Ecco perché gli chiede: «Perché sei mio parente dovrai tu servirmi per nulla? Dimmi quale deve essere il tuo salario».

Dalla risposta che Giacobbe diede, si manifestano subito quali erano le sue vere intenzioni. D’altra parte, se egli era venuto in Paddan-Aram, presso la casa di Labano suo zio, non era certamente perché in Canaan, gli mancasse il lavoro. Se egli aveva lasciato la casa di suo padre, era stato principalmente per mettersi in salvo dalla furia vendicativa di suo fratello Esaù e poi per trovare moglie tra il parentado di sua madre. Il fatto stesso che Giacobbe non chieda un salario per il servizio che rende a suo zio, dimostra chiaramente che egli pensava principalmente al suo matrimonio. Perciò, risponde: «Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore». Labano che capisce subito che tra sua figlia Rachele e Giacobbe, c’è già un legame di amore, non esita ad accettare la richiesta del nipote, e, per fornire la prova che la richiesta gli sta bene, la suggella subito con la frase: rimani con me. Poiché i termini del patteggiamento per il matrimonio sono stati raggiunti, non c’è nessun problema da parte di Giacobbe di servire Labano sette anni. Infine, visto che veramente Giacobbe amava Rachele, quei sette anni di servizio gli parvero pochi giorni. Davanti a questi particolari che il racconto biblico ci fornisce, si possono ricavare degli utili insegnamenti di vita pratica.

La prima osservazione che facciamo è la seguente: perché Giacobbe offerse sette anni di servizio in cambio di Rachele? «Secondo alcuni calcoli sembra che Giacobbe avesse circa settantasette anni quando servì per una moglie (Osea 12:12)» [M. Henry, Commentario Biblico, (versione italiana), Vol. 1, pag. 236].

È probabile che la stessa Rachele fosse ancora troppo giovane per il matrimonio. Perciò Giacobbe, considerando l’età di Rachele, e tenendo presente anche l’amore che lei aveva per lui, invece di forzare le cose, preferì piuttosto aspettare sette anni in silenzio, tenendosi nello stesso tempo impegnato con il suo lavoro. I sette anni di servizio, infine, possono essere anche interpretati come riferimento alla condizione economica in cui si trovava Giacobbe. Siccome egli non aveva possibilità economiche per dare una dote al padre della ragazza, (come l’usanza di quei tempi imponeva) la volle dare con i suoi sette anni di servizio gratuito [Per conoscere le usanze dei tempi patriarcali in materia di ‘dote’ da versare al padre della sposa, cfr. Ralph Gower, Usi e costumi dei tempi della Bibbia, pagg. 64-69; R. De Valux, O.P. Le Istituzioni dell’Antico Testamento, pag 36].

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13/12/2011 00:09

Il vero amore (diverso da quello ‘passionale’), è pronto a tutto. Non forza mai le situazioni, e neanche si approfitta delle circostanze favorevoli. Se si deve affrontare un ‘sacrificio’, lo fa con prontezza; se c’è da soffrire, lo fa con pazienza e bisogna aspettare, lo fa senza ‘sospirare’ e senza ‘mormorare’. Non pensa che è troppo lungo il tempo che sta attendendo; non si lamenta se durante l’attesa passa qualche avversità. Egli ha un preciso scopo davanti a sé, e tutto viene inquadrato con riferimento a quanto si è prefisso.

Anche se i giorni saranno molti e gli anni tanti, in vista di raggiungere lo scopo, non si abbandona alla pigrizia, ma si tiene attivamente impegnato con perseveranza. Un simile atteggiamento non è solamente da lodare per ciò che riguarda la vita terrena, come per esempio: il lavoro, il matrimonio, la casa, gli impegni sociali, ecc., ma anche e soprattutto per il modo di vivere spirituale, come riferimento all’amore per il Signore e al Suo servizio.

Le libere scelte che si fanno, comportano di solito impegni precisi che vanno sempre rispettati con puntualità. La lealtà e la sincerità che si dimostrano nei confronti degli altri, quando si presta il proprio ‘servizio’, rappresenta una valida testimonianza cristiana, che è molto più importante delle migliori parole che si possono pronunciare. Se poi si aggiunge che tutto quello che si fa, dovrebbe avere come fondamento l’amore, ogni azione che si compie, piccola o grande che sia, serve ad autenticare la propria vocazione e la propria missione in mezzo agli uomini. Che questi siano parenti, secondo la carne, o no, tutto deve essere compiuto con attitudine altruista, pensando sempre al detto della Scrittura: stimando gli altri più di se stessi (Filippesi 2:3).

Arriva il giorno del matrimonio


Finiti che furono i sette anni di servizio, Giacobbe si trova in pieno diritto legale di avere Rachele quale legittima moglie. Perciò dice con risolutezza a Labano, suo zio e padre della ragazza: «Dammi mia moglie, poiché il tempo è compiuto e lascia che mi accosti a lei» (Genesi 29:21).

Anche se lo sposalizio tra lui e la sua amata Rachele, non era stato ancora ufficialmente celebrato, Giacobbe la considerava ‘sua moglie’, a tutti gli effetti, pensando soprattutto al patteggiamento che era avvenuto sette anni prima. Poiché in quei sette anni trascorsi, non c’era stata nessuna contestazione da parte di Labano e neanche si erano verificati ripensamenti nelle persone interessate, da potere invalidare quello che era stato pattuito, non esisteva nessun motivo perché Rachele non fosse data a Giacobbe come sua legittima sposa. Se Giacobbe avesse chiesto a Labano di dargli Rachele come sua moglie, prima del compimento dei sette anni, egli non avrebbe avuto nessun diritto di farlo e neanche Labano si sarebbe trovato in obbligo per dargliela.

C’è una buona lezione da imparare: quando si stipula un ‘contratto’, con il consenso d’ambo le parti, naturalmente, i termini dell’accordo, vanno rispettati in pieno. Ma se invece uno dei contraenti ignora l’osservanza dell’accordo, (a parte che il contratto stesso perde il suo valore legale), ma neanche chi non l’ha rispettato, ha diritto di chiedere la parte spettante. La fedeltà di una persona va giudicata se saprà tenere fede alle sue parole, alle sue promesse e ai suoi impegni.

Si indice il banchetto nuziale

Visto che Giacobbe ha rispettato i termini del patteggiamento, Labano non può rimandare la festa nuziale. Allora Labano radunò tutti gli uomini del luogo e fece un convito (Genesi.29:22). Questo è il convito della celebrazione del matrimonio tra Giacobbe e Rachele.

Anche se il testo adopera il termine ‘uomini’, non bisogna pensare che il convito matrimoniale fosse riservato al solo sesso maschile ed escludesse quello femminile. Inoltre, il convito, di cui parla il testo, non deve essere interpretato come se fosse una festa di famiglia; è allargato ad altri parenti, amici e conoscenti, come del resto si addice alla celebrazione di un vero matrimonio.

Quanti furono gli invitati al convito nuziale, tra Giacobbe e Rachele, non ci viene dato di sapere. Del resto non ha tanta importanza pensare al numero dei partecipanti. Se il convito in questione riguardasse il matrimonio di due monarchi, il numero dei partecipanti (di solito rilevante), avrebbe la sua importanza, perché la ricchezza d’ambo le parti, verrebbe messa in evidenza in simili circostanze. Siccome il convito nuziale riguardava due persone comuni, anche se la famiglia di Labano si può considerare benestante, non così era Giacobbe in quel tempo.

Tutto si svolge secondo l’usanza di quei tempi: il cibo accuratamente preparato e servito, soddisfa il palato degli invitati. Il vino, la bevanda preferita e messa abbondantemente a disposizione dei presenti, allieta le persone e rende festante tutta la cerimonia nuziale. La circostanza non è solamente lieta per gli sposi, i loro genitori e tutto il resto delle due famiglie (anche se dei familiari di Giacobbe, non c’è nessun altro che lui), ma anche di tutti quelli che sono stati invitati. Tutti i presenti, contribuiscono a rendere gioiosa la cerimonia. Durante tutto il tempo del trattenimento non si mangia e si beve solamente; si ascolta musica adatta per la circostanza, si esibiscono cantanti all’indirizzo degli sposi, si vedono gruppi di persone di ambo i sessi danzanti e si odono anche auguri che si formulano ai coniugi per un'abbondante prole.

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14/12/2011 00:14

La prima notte

Ma quando fu sera, egli (Labano) prese Lea, sua figlia, e la condusse da Giacobbe, che entrò da lei (Genesi 29:23).

L’azione che Labano compie, nel prendere sua figlia Lea e condurla da Giacobbe, è detto che fu fatta ‘la sera’, cioè al termine della prima giornata di festino, dato che di solito il convito nuziale durava alcuni giorni. Questo però non significa che quella idea gli spuntò all’improvviso, in quel preciso momento. Senza incorrere in un giudizio di esagerazione, crediamo con ragione che quel piano, sarà stato concepito ed elaborato prima. Durante lo stesso giorno del convito? (o forse nel giorno che venne stabilita la cerimonia nuziale?)

Lea, la figlia maggiore, era stata prevenuta che, al termine della prima giornata di festa nuziale, avrebbe dovuto andare a letto con Giacobbe al posto di sua sorella Rachele? Non ci sembra che Labano abbia elaborato un simile progetto con il consenso della figlia, senza crearle seri problemi nella sua vita. Anche se è vero che in quei tempi erano i genitori a decidere il matrimonio dei propri figli, e che gli stessi, a volte, agivano passivamente nell’accettare la volontà del padre, in modo particolare, nel senso che la loro decisione, non era sempre rispettata.

Dalle poche parole che il testo sacro impiega per descrivere questa scena, a noi sembra abbastanza chiaro che tutta la faccenda debba essere addossata a Labano e che Lea, fu una vittima della volontà assurda del padre. Un simile agire non è certamente da lodare; si deve fermamente biasimare e condannare. Un padre che agisce in questo modo, considerando la figlia come se fosse una prostituta, porta disonore alla famiglia e degrada la dignità del ‘ruolo’ di padre.

Sembra una favola che Giacobbe, durante la prima notte di rapporti sessuali con la donna che egli credeva fosse la sua amata Rachele, non se ne fosse accorto per nulla, e che dovette aspettare la luce di un nuovo giorno per conoscere che, in effetti, la donna che ha avuto tra le sue braccia durante quella notte, non era Rachele ma Lea. Anche se si accetta il fatto che in quei tempi, la camera degli sposi, (che poi era una tenda) dove la coppia si effondeva nel rapporto coniugale non era illuminata da nessuna lampada che permettesse di vedere l’ambiente e le persone, e che il velo che avvolgeva la faccia della sposa venisse tolto dallo sposo nell’oscurità. È impensabile però che non si tenga conto del fattore ‘parlare’. Altresì è impensabile sopporre che durante la prima notte di miele, gli sposi si siano chiusi nel mutismo.

Ammettendo per un'assurda ipotesi che nella prima notte si parlasse poco, le poche parole che venivano dette, da ambo le parti, sarebbero state sufficienti per fare comprendere agli sposi: la voce della donna che sento, è quella di mia moglie e quella dell’uomo, di mio marito. Pensare che Giacobbe non conosceva la voce di Rachele, dopo sette anni trascorsi in continui contatti, è almeno fantasiosa e priva della logica umana.

Allora, perché il racconto biblico ha affermato che Giacobbe conobbe solo al ‘Matteoino’, che la donna che aveva avuto tra le sue braccia tutta la notte, era Lea? Crediamo che alla domanda in questione, si possa dare la seguente risposta. Lo scopo dell’autore del racconto biblico, non è quello di raccontare la prima notte di ‘luna di miele’ di due sposi, come si direbbe in termini moderni. Se questo fosse stato il suo obbiettivo, sicuramente non avrebbe usato le parole che si leggono nel testo, perché appunto non hanno nessun filo di logicità.

Mentre se si tiene presente che il vero scopo del racconto biblico è quello di farci conoscere l’inganno che ha subito Giacobbe da parte di Labano, allora l’ostacolo apparente può essere superato facilmente e la logica umana non si oppone al buon senso.

L’inganno subito da Giacobbe

Allora Giacobbe disse a Labano: «Cosa mi hai fatto? Non è forse per Rachele che ti ho servito? Perché dunque mi hai ingannato?» (Genesi.29:25).

Le parole di Giacobbe rivelano due cose. 1) Lea non viene considerata responsabile dell’accaduto. Questo prova che in quella faccenda, la ragazza è stata usata solamente come ‘strumento’, contro la sua volontà. 2) Il vero responsabile dell’azione, è solamente Labano, perché è stato lui il vero ideatore di quella strategia. Quindi, l’inganno che è stato perpetrato ai danni di Giacobbe, va attribuito totalmente a Labano.

La stessa giustificazione che Labbano adduce: «Non si usa far così nel nostro paese, dare cioè la minore prima della maggiore, (Genesi.29:26) non è valida e neanche ha senso di logicità per il semplice fatto che a rigore, avrebbe dovuto parlar a Giacobbe di questa ‘usanza’, nello stesso giorno che chiede Rachele per moglie, e non aspettare la prima notte, a matrimonio celebrato. Se Giacobbe è molto risentito, e, nello stesso tempo offeso nella sua dignità personale, per quello che aveva subito, non ha tutti i torti per chiedergli, prima di aver sentito la giustificazione: che mi hai fatto? Dal momento che Labano non può contestare a Giacobbe nulla di ‘malfatto’, e che il patteggiamento concordato era esplicitamente per avere Rachele, Giacobbe ha tutte le ragioni per sentirsi ingannato.

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15/12/2011 00:14

A questo punto i commentatori fanno rilevare che, come Giacobbe ingannò Isacco suo padre, quando si fece passare per Esaù, ora viene lui ingannato da Labano. In altre parole, Giacobbe stava raccogliendo quello che aveva seminato, per usare un detto dell’apostolo Paolo (Galati 6:7). Il parallelo è senza dubbio appropriato e rientra soprattutto nella logica divina. Spesso l’uomo dimentica ‘come semina’, credendo che non si verificherà la cosiddetta ‘legge della corrispondenza’. Le cose che Dio ha stabilite come ‘principi universali’, cioè che si adattano per tutti gli uomini e per tutti i tempi, non possono essere cambiate da nessuno.

Il seme che si semina, buono o cattivo che sia, non nasce subito e neanche subito arriva a maturazione per essere raccolto. A volte, passa molto tempo; passano molti anni, prima che arrivi il tempo della raccolta. Però, una cosa è certa: se vogliamo raccogliere, dobbiamo seminare; in mancanza della semina, non si può pretendere di raccogliere.

Ci sono usanze che non hanno niente a che fare con la parola di Dio, anzi a volte sono contro di lei. Il credente, in modo particolare, farà bene a dare più importanza agli insegnamenti divini, anziché seguire le usanze del mondo, di chi non segue l’evangelo di nostro Signor Gesù Cristo. Essere sincero ed onesto con se stesso, significa avere una buona base per manifestarla nei confronti degli altri. Dal punto di vista generale, nessuno può dare agli altri qualcosa che non ha; ognuno dà quello che possiede.

Se non vuoi ricevere torti od offese nella tua vita, studiati a non procurarne a nessuno. Anche se è vero che a volte chi fa il bene riceve male, è meglio però riceverlo anziché farlo. Se una pietra è pesante per portarla sopra le tue spalle, non cercare di scaricarla sugli altri. La ‘regola d’oro’, così definita da molti: tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge ed i profeti (Matteo 7:12).

Le due mogli di Giacobbe


Finisci la settimana di questa (cioè di Lea) e ti daremo anche l’atra, per il servizio che presterai da me per altri sette anni.
Allora Giacobbe fece così, e finì la settimana di Lea; poi Labano gli diede in moglie la figlia Rachele.
Inoltre Labano diede la sua serva Bilhah per serva a Rachele, sua figlia.
E Giacobbe entrò pure da Rachele ed amò Rachele più di Lea; e servì da Labano altri sette anni
(Genesi.29:27-30).

Senza volerlo e senza cercarlo, Giacobbe finì per avere due mogli. Per avere come moglie Rachele, che era la sua prediletta amata, offrì sette anni di servizio gratuito a Labano, mentre per Lea, che poi non aveva scelto, e che neanche rientrava nei suoi piani per averla, ha dovuto pagare altri sette anni di servizio, che egli non offre ma che gli vengono richiesti da Labano. Se Giacobbe si fosse rifiutato di finire la settimana con Lea, sicuramente Labano non gli avrebbe dato Rachele. Così Giacobbe si trova ‘tra l’incudine e il martello’, come si direbbe in termini proverbiali, e, contro la sua volontà, acconsente, per amore di concordia e di pace. Questo ci viene confermato dalla frase: allora Giacobbe fece così, e finì la settimana di Lea.

Passare una settimana in rapporti amorosi con una donna che Giacobbe non aveva la minima intenzione di averla come sua moglie, certamente non sarà stato un evento delizioso per lui. Però, siccome le condizioni erano queste per avere la donna che egli amava, ha dovuto acconsentire alla volontà del padre. Facendo ciò, Giacobbe, non aderisce solamente a quello che gli viene chiesto, salva anche la dignità di Lea. Infatti, completando la settimana, (che era di solito il tempo della durata del convito nuziale) si dimostravano i segni della verginità, così che tutti potevano considerare Lea, come una legittima moglie e non come una prostituta. Sotto quest'aspetto, quello che fece Giacobbe, è ammirevole e merita un plauso.

Se stiamo descrivendo questa scena, non lo facciamo per giustificare una relazione sessuale illecita fuori del matrimonio. Anche se in quei tempi simili relazioni potevano essere tollerate, non possiamo dire lo stesso oggi. Infatti, alla luce degli insegnamenti del N.T. ogni relazione sessuale fuori del matrimonio, è illecita, quindi è considerata peccaminosa.

L’agire di Giacobbe, in questa parte specifica della sua vita, merita una particolare riflessione di carattere generale, in quanto ci permette di affrontare temi di grande attualità. Compiere azioni che hanno di mira la concordia e la pace, cioè, prevenire un qualcosa che arrecherebbe danno ad altri, questo si trova in piena armonia con l’insegnamento di Gesù e la morale cristiana.

Se uno vuol farti causa per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello (Matteo 5:40) o come dice Luca: Se qualcuno ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra; e a chi ti toglie il mantello, non impedire di prenderti anche la tunica (Luca 6:29).

Portare via qualcosa che ci appartiene, che è di nostra proprietà, significa un’appropriazione indebita, punibile, secondo il codice penale. I figli di Dio sono conosciuti come figli di pace. Beati coloro che si adoperano per la pace, perché essi saranno chiamati figli di Dio (Matteo 5:9). Adoperarsi per la pace, non significa solamente intervenire là dove c’è un litigio, una contestazione, una rissa, ma anche prevenirle, cioè non farle succedere.

L’apostolo Paolo dal canto suo, rivolge la seguente esortazione ai credenti di Roma: non rendete ad alcuno male per male; cercate di fare il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile e per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini (Rom 12:17,18).

L’epistola agli Ebrei ammonisce con fermezza: procacciate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore (Ebrei 12:14).

Questi pochi versetti a sostegno di quanto abbiamo detto a proposito dell’agire di Giacobbe, sono insegnamenti per tutti e validi per tutti i tempi. Se poi si aggiunge il detto paolino: perché non subite piuttosto un torto? Perché non vi lasciate piuttosto defraudare? (1Corinzi 6:7), allora si capisce subito quale deve essere l’atteggiamento cristiano davanti a certe provocazioni, o davanti a certe manifestazioni che toccano da vicino la nostra vita, la nostra reputazione, il nostro prestigio, la nostra onorabilità. Infine, non farsi vincere dal male ma vincerlo col bene (Romani 12:21), rappresenta la migliore manifestazione di coerenza cristiana, tra professare una verità e viverla.

SP: Se al termine di quanto abbiamo scritto ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura. I sei capitoli che abbiamo scritto, l’abbiamo tratto dal nostro libro: “Giacobbe... L’uomo trasformato da Dio”. Infine, per quanti fossero interessati all’acquisto del presente libro per leggere tutti gli altri capitoli, potranno rivolgersi all’Editrice Hilkia, presso la quale è disponibile la presente pubblicazione ad un prezzo modestissimo di 3,00 euro. Grazie!
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